Una degustazione tra biodinamica, fanciulle russe e Elle Macpherson che rotola in un campo di fragole

C’erano una volta due italiani, un tedesco apocrifo, due russe canoniche e un’importatrice bulgara esperta di vini naturali. Tranquilli, non è l’inizio di una barzelletta boccacesca ma quello di una degustazione piuttosto spiazzante…

Ecco, provate a spiegare voi la biodinamica a due ventenni russe senza distrarvi. Insomma è difficile: ho parlato di armonia, di cosmo, di filosofia, loro annuivano ma non so se hanno capito, intanto bevevano, ma per le russe non è difficile.

Nicoletta Dicova a sinistra

Nicoletta Dicova a sinistra

Al netto delle mie fantasie enosovietiche – che ometto in quanto tremendamente banali – vi devo comunque raccontare cosa abbiamo bevuto. Intanto due parole  su Nicoletta Dicova (a sinistra nella foto): questa tipa ha del genio, seleziona vini naturali in giro per il mondo con precisione e sagacia. È appassionata, è solare, è brava, ogni volta che vado ad una delle sue degustazioni scopro gioielli inattesi e prospettive nuove, a prezzi assolutamente interessanti (parlo di vino, malpensanti).

Nicoletta infatti evita la Francia, dove anche nel mondo naturale gira solo roba cara, e punta sui talenti sconosciuti, sugli underdog che diverranno (giustamente) famosi; dopo aver setacciato l’Italia adesso ci propone perle spagnole e argentine come in questo caso. Nella gioiosa foresta di bottiglie stappate stavolta hanno  brillato due latinos.

Vinello

Vinello

Il primo si chiama Vinello viene dalla Catalogna ed è un rosé. Lo so che state per farmi una pernacchia, ma stavolta è diverso: sette varietà autoctone – Garnatxa, Ull de Perdiu, Sumol, Queixal de Lop, Samsò, Garrut e Trepat – pressate con i piedi, lasciate a macerare brevemente con i raspi  e fermentate con lieviti autoctoni.

Nessuna filtrazione o chiarifica, nessuna aggiunta di solforosa o di alcun altro prodotto. Soli 11,5 gradi di alcol per un vino color lecca-lecca al lampone che esplode in bocca col la gioia di una fanfara in un giorno di festa.

Ora immaginate di rotolarvi con Elle Macpherson in un campo di fragole nel mese di maggio, mentre da lontano vi arrivano le note della banda del paese. Questo vino è così, indimenticabilmente leggero, con il sapore del primo bacio della primavera.

Antonella e Massimo Marchiori Gerosa, piemontesi, sono i proprietari di questa cantina che si trova a Bonastre, sulle colline vicino a Tarragona. Le uve vengono da una piccola vigna biologica, lavorata con un asino e una giumenta. Pochissime le bottiglie prodotte.

Per secondo si cambia registro: questo vino tira fuori i muscoli, ma tesi, scattanti, eleganti. Più Van Basten che Gattuso tanto per intenderci. Si tratta di un Malbec di Mendoza, Argentina, e vedo già i primi sorrisetti: Malbec + Argentina = morbidone, facilone, playboy internazionale per tedesche tardone. Mi spiace per voi, ma col Cuatromanos siamo a millemila miglia di distanza da questo stereotipo.

Cuatromanos

Cuatromanos

Il Cuatromanos è un vino polifonico e suadente come l’ouverture di Manon; ma dopo un preludio facile e fruttato (14% vol.), viene fuori un’acidità affilata come una katana, che scintilla al sole mentre falcia campi di violette. Intenso, incisivo, persistente, assolutamente inatteso.

Viene elaborato a quattro mani per conto della famiglia Cecchin da Vincent Wallard, già gestore di wine bar ed Emile Heredia, vignaiolo naturale della Loira partito missionario in Sud-America.

Le uve sono ottenute da agricoltura biologica e vengono fermentate con un approccio inconsueto attraverso una sorta di fermentazione progressiva: prima un terzo di uva diraspata, poi un terzo a grappolo intero e poi ancora un terzo diraspato, in tini di cemento da 120 hl. Il vino è stato imbottigliato senza chiarifica o filtrazione, aggiungendo solo una piccola quantità di solforosa.

Le russe ne erano entusiaste e magari, dopo un paio di bicchieri, anche voi sarete pronti per invadere la Crimea.

 

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