Finalmente arrivo da Giovanni Maione (foto sotto il titolo), nella sua una piccola vigna che pare un giardino alle prime pendici del monte Somma, che più in alto diventa Vesuvio.
Giovanni è nato e abita in una delle masserie sparse attorno al centro di Somma Vesuviana. Si tratta di microvillaggi formati all’inizio da due famiglie numerose, adesso da una decina, tutte imparentate tra loro. Probabilmente evoluzione delle numerose villae rusticae di cui era ricco il territorio in epoca romana.
La semplice bellezza delle case in tufo nero è in parte svanita sotto i colpi di ampliamenti e colori più vivaci, ma le profonde cantine sono ancora lì, buie e umide, e la terra è ancora viva. Le masserie sono circondate da frutteti “commerciali” più a valle ma – salendo verso la montagna – campagna e bosco si mescolano.
Come nella vigna di Giovanni dove piccole querce nate spontaneamente, grazie alle ghiandaie, servono da pertiche per le viti e gli alberelli di prugne selvatiche innestati da Giovanni danno succose albicocche.
La terra scura e sabbiosa, frammista di pomice, cenere vulcanica e tanto profumatissimo humus. Terra leggera e molto drenante. La vigna è a piede franco, con i ceppi più antichi che hanno più d’ottant’anni, si riproduce per talea ed è punteggiata di margherite seminate dal nonno di Giovanni per arricchire il terreno con i sovesci.
E poi c’è un vero reperto storico o, per noi appassionati, reliquia: un solo impianto tradizionale superstite con le viti disposte in cerchio, vecchio di un secolo, sbilenco e contorto, come la storie che avrà vissuto il maniero-masseria che domina la campagna con sue le sue torri scure.
Il vitigno è la catalanesca, la cui presenza nella zona vesuviana, sembra risalire al 1500. Si tratta di un’uva con maturazione molto tardiva che si raccoglie tra ottobre e novembre ed era – sino agli anni 50 – il vitigno principale per la produzione del Lacryma Chisti bianco.
Ha una resa bassa ma elevato grado alcolico. Dal punto di vista aromatico il vino presenta note fruttate di albicocca secca e miele, ma già al secondo anno d’invecchiamento l’odore evolve in note minerali dominanti.
Giovanni è un vinificatore attento e coscienzioso placidamente pasoliniano, erede di una tradizione arcaica che trascende in una moderna semplicità. Racconta che suo padre non vendemmiava mai prima della metà di ottobre e che gli ha insegnato fare il vino partendo da una campagna bella: amava le margherite mica i diserbanti.
La fermentazione è spontanea con lieviti sconosciuti. Il mosto viene lasciato a macerare 4-6 giorni insieme ai raspi. La chiarifica avviene solo tramite successivi travasi. Me ne ha regalato tre bottiglie alla fine di questo viaggio nel tempo, unico ed emozionante.
Grazie Giovanni.
“Lieviti sconosciuti”: definizione programmatica. Qualcuno afferma di non essere interessato ai lieviti bensì al risultato nel bicchiere per difendere in realtà l’utilizzo di lieviti selezionati. Mi piace invece l’approccio-Maione. Mi pare una cosa del tipo “non mi interessano i lieviti tant’è vero che non ce li metto nemmeno”.
@Nic Marsél, caro NIc quella vigna è talmente piena di vita che c’è lo zoo dei lieviti
@Nic Marsél, “Lieviti sconosciuti” è una definizione grandiosa 🙂
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