Da buon enosnob conosco a memoria la posizione di ognuna delle 227 bottiglie appisolate sulle rastrelliere della mia cantina. Ma come sempre ci sono le eccezioni e così di tanto in tanto, nella frazione di sottosuolo dove mantengo diritto di estrazione e sfruttamento, rinvengo qualche ignoto reperto senza etichetta in grado di accendere in me più di un dubbio esistenziale.
Mi trovo quindi a raccontare di un prosecco col fondo (tappo a corona) che mi rappacifica con la categoria: pera matura e crosta di pane caldo di forno, bolla finissima e nessun finale amaro. Perfetto per accompagnare i tagliolini all’uovo che insaporisco con aglio, rosmarino e squartone (filetto di pigo – pesce del Lario più proletario – esiccato e salato) del mio fornitore Ceko pescatore. Un piccolo, inaspettato, momento di godimento. Alla fine rammento: mi era stato donato da un ormai ex-collega di lavoro col quale non ho mantenuto contatti (sic!). Succo di glera da un’indefinita damigiana, da un’indeterminata località del nord-est, imbottigliato durante un rito primordiale-tribale-annuale da un’allegra combriccola di buontemponi. Nessuna possibilità di reperire una qualsivoglia ulteriore notizia sul prodotto, l’annata o il produttore. Una cosuccia che oggi dovrebbe attestarsi attorno ai 3 euro al litro (il doppio del prezzo medio del gasolio ad agosto 2018!).
Proseguo con una seconda bottiglia parimenti senza etichetta (tappo in sughero) ma con l’enigmatica scritta “RV amfore 2016” in pennarello indelebile. E’ un vino slovacco acquistato alla cieca (gulp!) dopo un assaggio fulminante ad una fiera profondamente enosnob. Mato Vdovjak, il suo barbuto creatore, me l’aveva presentato come Riesling non filtrato senza aggiunta di solfiti aggiunti né altro, passato per 6 mesi in qvevri georgiano. La zona di produzione (il villaggio di United Tŕňa nella regione di Kosice) è una propaggine oltre confine della regione ungherese del Tokaj, ma il titolare dell’azienda Vino Vdovjak ha deciso di non conformarsi alla plurisecolare tradizione locale (troppo banale) per dedicarsi a vinificazioni d’ispirazione più arcaica con un approccio filosofico completamente naturale. Il risultato è uno dei vini più peculiari che mi sia capitato di bere di recente. Servito a temperatura di cantina, all’olfatto si palesa in una profusione di erbe di campo, una tisana di malva che attende in infusione e un cestino di albicocche secche nei paraggi. In bocca è delicatamente agrumato, minuto, sottile, d’una gracilità elegante che sfida senza timori la lunga macerazione sulle bucce. Chiude morbido con un tonico colpo di coda che rimanda piacevolmente al chinino. Mato dice che nessun altro produce vini alla sua maniera in quella zona. Dommage!
La terza ed ultima bottiglia (tappo a corona) che mi ritrovo tra le mani è la più facile da decifrare. La prendo per il collo e lei mi mostra il culo recante un’originale (se non altro per la posizione) scritta a mano: “Nudo Crudo”. E’ il Grignolino d’Asti, annata 2013, imbottigliato (senza solfiti) da Nadia Verrua di Cascina Tavijn per un particolare progetto realizzato in collaborazione con un’amica e mai più replicato. Un vero peccato, perché qui si intravede la stoffa del grande vino. Il Grignolino è difficile in ogni senso: poco redditizio in vigna e problematico da gestire in cantina a causa della spiccata acidità e del tannino ruvido, è un rosso travestito da rosato che in gioventù si mostra scorbutico e nervoso. Non essendo neppure di moda, risulta altresì difficile da promuovere. Va dimenticato in vetro qualche anno e ciò, in tempi di “tutto e subito”, è considerato difetto imperdonabile. Il “Nudo Crudo” (8 euro franco cantina) bevuto ad un lustro dalla vendemmia ha gli spigoli armoniosamente smussati e l’eleganza carezzevole della seta cotta. Provaci ancora Nadia!
Giunto a questo punto mi fermentano spontaneamente nella scatola cranica le seguenti e poco allineate considerazioni:
1) un’etichetta “troppo trasparente” costringe ad un estenuante sforzo mnemonico ma libera il degustatore dall’ansia da prestazione
2) possiamo ritagliarci qualche piccolo istante di felicità anche al di fuori dei circuiti imposti dal potere costituito dell’enomondo (qualunque cosa sia);
3) alle fiere enosnob si possono trovare piccoli gioielli che il potere costituito dell’enomondo (qualunque cosa sia) di regola schifa, ma che noi (profondamente enosnob) sappiamo essere capolavori purtroppo (o per fortuna) irripetibili;
4) tappo a corona batte sughero 2 a 1;
Bonus: “nel bel mezzo del progresso di diversi colori tra il quale il nero, il verde, il moderno, tifiamo rivolta!” (cit.)
“alle fiere enosnob si possono trovare piccoli gioielli che il potere costituito dell’enomondo (qualunque cosa sia) di regola schifa, ma che noi (profondamente enosnob) sappiamo essere capolavori purtroppo (o per fortuna) irripetibili” 🙂
Addendum al bonus : “but when you talk about destruction, don’t you know that you can count me out”