Vi prego di capire quanto io sia rimasto scosso, scioccato, direi sconvolto, da una rivelazione che non mi sarei aspettato e che comunque mi ha dato la risposta che cercavo da almeno una trentina d’anni.
Dopo 43 anni sono riuscito a ritrovare, in quel di Ghemme, il mio più caro amico degli anni ruggenti della nostra scuola, l’ITIS Omar di Novara degli anni che vanno dal ’67 al ’71: Alberto Imazio. Avevamo 43 anni da raccontarci, ma dopo gli abbracci e le lacrime di commozione sono venuto subito al sodo con l’unica domanda che mi ha sempre tormentato: «Perché non trovo più in giro i buoni vini di una volta, quelli che mi entusiasmavano per la profondità degli aromi?») sapendo che lui, da vignaiolo bio-tutto (miele compreso) nonché amico sincero, leale e con un’encomiabile profondità di pensiero, mi avrebbe risposto con la sua abituale chiarezza e una precisione che non ha pari.
Alberto non ci ha messo molto, ma neanche troppa fatica, a rispondermi. Si era già dato quella risposta lui stesso, quando ha deciso di riprendere a fare il vino alla Baraggiola, con il sostegno determinante di Pierangelo e di Davide.
Mi ha detto che in 43 anni sono successe tre cose fondamentali.
1) Si è abbandonato il sistema d’allevamento a maggiorino, inventato dall’Antonelli, perché effettivamente richiede un lavoro superiore (e di molto) rispetto ai filari. La vigna della Baraggiola è sempre la stessa, ma allevata diversamente da suo padre Giuseppe (soprannominato “al muretu”), che fece un capolavoro con la sua annata 1974, l’ultima della sua vita. Pertanto tutti hanno estirpato alla prima occasione le vecchie vigne si sono andate a comprare le barbatelle di nebbiolo a Rauscedo, per esempio, non certo in zona. Qualche piccola vigna a maggiorino c’è ancora qua e là, ma a livello amatoriale e prima o poi scomparirà, perché il filare assorbe invece la metà del lavoro necessario e ormai nessuno tornerebbe a faticare più del dovuto. Nel vino ciò che conta sono le uve sane ed il sistema che te le fornisce a minor fatica è quello sicuramente più affidabile.
2) Nel disciplinare del Ghemme ci sta sempre il nebbiolo come base, con la possibile aggiunta di Vespolina e Bonarda Novarese (detto anche Uva Rara), ma non c’è più la Croatina, tanto non la usava più nessuno. La Vespolina, però, matura molto prima, anche un mese prima e siccome una volta si faceva un “uvaggio”, bisognava cioè ingegnarsi per raccogliere tutt’e tre le uve in pochi giorni e produrre il vino (cosa che penalizza le piccole aziende), oggi si tende piuttosto a raccoglierle e a vinificarle separatamente, facendo in seguito un assemblaggio. E c’è anche chi fa il Ghemme con il solo nebbiolo, per esempio, visto che può.
3) Una volta le cantine erano piuttosto nere. C’era il Racodium Cellare, una muffa che rivestiva le pareti e che interagiva con i vini rossi in modo stupendo, come ancora oggi avviene a Eger, in Ungheria, dove però possono ancora farlo perché non hanno le leggi assurde che qui da noi danno uno strapotere alle singole ASL, che le interpretano in ogni posto secondo le convinzioni del dirigente di quella sezione (a volte in maniera opposta a ciò che capita altrove). Adesso sono bianche, verniciate addirittura con ciò che t’impongono loro, che hanno il potere di chiuderti perfino la cantina se non fai come ti dicono loro. Le cantine profumano di qualcosa di diverso dal Racodium Cellare che imperava una volta e che a Eger difendono con le unghie, con i denti e forse con le doppiette caricate a pallettoni. Eppure è Europa anche lì. Cos’hanno di diverso da noi? Noi abbiamo dovuto arrenderci. Sostengono che così sono più sane. Non lo so. Sono però certamente diverse da una volta, ma tanto. Tra un po’ si dovrà fare il vino come vorrà il dirigente della ASL del luogo e non il genio del contadino. Metteranno il naso anche in vigna e sarà la fine. Quindi ci si dovrà adeguare ad un appiattimento degli aromi e dei gusti voluto dalla pazzia legislativa che la dà sempre vinta indovina a chi? Ai grandi industriali del vino.
Che piacere (e dispiacere, per i contenuti) leggerti Mario! Sì, temo proprio che finirà così, non solo per le ASL ma per le sempre più diffuse standardizzazioni: cloni selezionati, lieviti selezionati, sistemi di allevamento sempre più uniformati, tecniche che devono mirare a rendere i vini “adeguati alle esigenze dei mercati” e via discorrendo. La maggiorina si trova anche a Boca, qualcuno ne conserva qualche filare, ma indubbiamente è un sistema che tenderà a morire, soprattutto se non se ne comprende l’efficacia sul risultato in bottiglia.
@Roberto Giuliani, sono stato anche dagli Olwen Fogarty (Antonio Vallana e figlio) a Boca e mentre stavano piantando barbatelle sopra il santuario e poi in cantina a degustare un vino che assomiglia molto a quello del nonno Bernardo. Ma anche li si va a filare, poco maggiorino ancora qua e la’. Il problema e’ che il maggiorino richiede il doppio di lavoro, come mi ha detto Alberto Imazio. Ma le cause della scomparsa dei vini di una volta sono anche le altre due e forse e’ proprio l’ultima quella piu’ determinante, perché la stessa cosa avviene anche in altre zone dove le ASL interpretano le leggi a capocchia, secondo il dirigente del momento, dipingendo a loro insindacabile giudizio le cantine. Magari un giorno le vorranno pure viola a stelline verdi. E quando metteranno i piedi in vigna saranno dolori!
@Roberto Giuliani, devo anche fare una precisazione sul sistema d’allevamento. Io parlo di “maggiorino”, vale a dire il “quadretto maggiorino” dell’Antonelli, che è un perfezionamento geometrico ben definito (perfezionato) dall’Antonelli della “maggiorina”, un sistema d’allevamento che esisteva già da secoli nella zona. Alberto Arlunno dell’azienda Cantalupo mi ha fatto sapere che lo era almeno dal ‘600 e mi sta mandando un documento che lo dimostra. Anche a Boca l’azienda Le Piane lo scrive giustamente nel suo sito. Pertanto non sarebbe proprio preciso dire che l’Antonelli ha “inventato” quel sistema (come purtroppo ho fatto io nel testo del post e di ciò me ne scuso con i lettori), ma lo ha “perfezionato”. Quell’aggettivo “inventato” non va bene e se Massimiliano me lo potesse cambiare lo ringrazierei fin da subito: “inventato” è una forzatura di ciò che ha scritto M.G:Virgili nel suo libro “Vite e vino nella nostra terra” e che riporto testualmente: “… I vigneti di Maggiora retti a pali verticali, sotto la spinta del vento, non sempre reggevano il peso del carico e, talvolta, crollavano trascinando nella loro rovina i grappoli quasi maturi. Fu l’architetto Antonelli, il geniale costruttore di miracoli di statica muraria … a trovare una soluzione pratica: egli per primo, sfidando il sarcasmo dei viticoltori locali, studiò la “campanatura” dei pali di sostegno, ossia mise i pali stessi obliqui in modo che la loro inclinazione compensasse la forza traente dei tralci, ottenendo così una situazione di equilibrio”.
Questo era dovuto, per la precisione.
… e segnalo in proposito anche questo bellissimo reportage, con le foto in galleria che si possono ingrandire: http://tinyurl.com/qzqv3ry/
Grazie Mario, da te s’impara sempre!
ll tuo pezzo è intriso anche di tanta malinconia, l’ARTE della maggiorina è una grave perdita non solo per l’agricoltura ma anche per il patrimonio culturale del nostro paese.Oggi solo qualche anziano contadino conserva il ricordo dei filari anche attraverso l’immagine di qualche foto d’epoca sbiadita.
Un caro saluto 🙂
@Patrizia, devo confessare che la malinconia un po’ mi è passata bevendo (non degustando, ma bevendo…) un Collis Breclemae del 2005. ). Per la mia bisnonna e per me 9 anni è il minimo per un nebbiolo che si rispetti. Questo era stupendo. Non come una volta, ma stupendo. E ancora giovane. La prossima volta che lo berrò sarà fra cinque anni almeno, quando credo che si posizionerà fra i migliori vini della mia vita, nonostante non sia più come i Ghemme di una volta, che purtroppo non trovo più, mannaggia alle ASL. Che Dio le possa far saltare per aria, come Sodoma e Gomorra.
Pazzesco come il mondo del vino stia diventando quello più popolato di persone che guardano in avnati utilizzando la nuca… e comunque ti sei scordato di scrivere che non ci sono più le mezze stagioni.
@Robji, non l’ho dimenticato. Secondo me non è proprio una delle ragioni più evidenti. Le variazioni climatiche sono cambiate, è vero, ma all’interno di una stessa zona si può dire (come ha sostenuto benissimo Stefano Cinelli Colombini che conserva tutta la storia di ciò che è accaduto a Montalcino) che producono soltanto una migrazione delle migliori condizioni da alcune vigne ad altre, esposte un po’ diversamente, orientate un po’ diversamente, un po’ più alte o più basse. Si spostano i cru migliori, ecco: alcuni cessano di essere eccezionali ed altri lo diventano. Il fattore climatico è comunque importante e fai bene a rammentarlo. Io vivo in Polonia e in questo Paese del Baltico si sta reintroducendo la vitivinicoltura come 400 anni fa proprio perché siamo usciti da una micro-glaciazione e la temperatura media è aumentata di 3 gradi rispetto alla media degli ultimi secoli, che sono un’enormità. Quest’anno, poi, alcuni produttori hanno deciso di non produrre il Ghemme, perché l’annata non è proprio eccellente, perciò tutti gli altri vini della zona a base di Nebbiolo ne beneficeranno, in quanto anche le migliori uve che erano destinate al Ghemme finiranno stavolta nelle loro bottiglie
Non conosco il radicodium cellare, forse è un nome antico di quella che è attualmente chiamata Torula coniacensis. Coniacensis da Cognac: perché le antiche distilleria di COgnac ne sono tappezzate, ovviamente loro dicono che ce l’hanno solo loro ma sono le solite palle dei Galli (fanno bene, per carità).
E se un ispettore sanitario osasse dire qualcosa lo metterebbero alla gogna con pece e piume, come nel West.
@maurizio gily,
http://tinyurl.com/jvuxgnd
gli Inglesi la chiamano Mouse-skin rag-leather, posizione 412 del libro Outlines of botany di Gilbert Thomas Burnett.
ed è esattamente descritta così:
412 The Mouse shin rag leather Racodium cellare is very common in wine cellars forming a kind of whimsical tapestry on the walls and roofs covering the casks and investing the bottles with adventitious tunics when compressed it resembles the skin of a mouse and is said to be an excellent styptic In the wine cellars under Welbeck chapel Marylebone the Racodium is so abundant that it forms a really curious and interesting spectacle The long vaults in several of the cellars where wine is kept or where the casks and full bottles are or where the bottling is carried on are covered with it hanging so low as to knock against the men’s heads as they go along In the cellars where the empty bottles are stored very little of the Racodium is seen
@maurizio gily, grazie mille. Io so soltanto che questo fungo all’inizio fa delle macchie nere che poi nei decenni diventano grigio molto scuro e producono un pelo morbido. At tatto sembra di accarezzare la pelliccia di un roditore che nei secoli diventa spessa un paio di centimetri e in certi punti può anche staccarsi dal muro. Sono funghi microscopici che si nutrono di componenti volatili del vino che giace nelle botti a stagionare.
Premetto che conosco poco questa zona, ma i vitigni Uva Rara, Vespolina e Croatina sono pressoché gli stessi che coltivo (insieme alla Barbera) nei miei vigneti di Buttafuoco a Canneto Pavese. Ebbene, quando parlo di vigneto di Buttafuoco, intendo dire che tutte e quattro le uve che ho menzionato sono già tradizionalmente presenti nelle percentuali previste all’interno del vigneto stesso. Per mitigare le differenze del periodo di maturazione, essendo questi miei vigneti posti su versanti collinari piuttosto ripidi, è buona regola avere nella parte alta le varietà a maturazione più tardiva come Uva Rara e Croatina, mentre nella parte bassa quelle più precoci come Barbera e Vespolina (qui chiamata Ughetta di Canneto). Poi, anche il tipo di portinnesto utilizzato ed il clone possono ulteriormente mitigare queste differenze.
@Massimo Piovani, ho 61 anni e da quando ne avevo 5 ho cominciato a venire a Canneto Pavese, anzi meglio: Colombarone. C’era la mia maestra Fraschini che aveva la casa lì e quando mia nonna mi metteva sul tavolo di granito all’inizio del vigneto vedevo Broni in lontananza. Un posto meraviglioso, appena sopra Scuropasso. Un vino meraviglioso. Poi ci sono sempre venuto con la bicicletta da corsa in questa tua terra che una volta si chiamava Antico Piemonte e che ha pure dei vitigni molto simili a molti della Valsesia. Sei in un vero paradiso e mi fa piacere che tutti possano leggere questo mio invito a venirti a trovare. La maestria la si vede appunto dalle tue note, la vera genialità consiste appunto in quello, ma sai bene che per poter fare tutto questo si deve attendere che un vigneto piantato dal nonno sia ormai vetusto e si possa estirpare e cambiare. E’ molto importante quello che hai scritto, lo farò girare senz’altro. Grazie
@Mario Crosta, grazie molte per i complimenti che mi ha fatto. Anche i miei genitori trent’anni fa rimasero stregati da queste colline; vi comprarono una casa con annesso piccolo vigneto per trascorrerci la domenica. Ebbene, proprio quel piccolo vigneto scosceso di Buttafuoco mi ha fatto appassionare, tanto che da quattro anni mi sono trasferito qui a fare il viticoltore a tempo pieno.
I problemi però sono tanti: negli ultimi vent’anni in particolare, è aumentato l’abbandono dei vigneti considerati poco remunerativi e di difficile meccanizzazione, in quanto situati nei versanti più ripidi, quindi è proprio la zona migliore del Buttafuoco (tra Canneto Pavese, Castana, Broni e Stradella), quella ad essere più abbandonata. Ad aumentare invece sono i vigneti piantati nei fondovalle, quei terreni che fino a non molti anni fa erano sempre stati solo dei seminativi…
Come se non bastasse, chi testardamente vuole continuare a curare le viti su queste colline, spesso si trova circondato da vigneti incolti che sono focolai della tremenda “Flavescenza Dorata”, e nel giro di pochi anni ci si può ritrovare completamente contagiato persino un impianto giovane di 5 – 6 anni!
La politica locale sono almeno 10 anni che fa promesse di cercare di risolvere questa situazione (obbligando a pulire i vigneti incolti), ma evidentemente ormai la maggioranza degli elettori sono possessori di incolti, quindi la vedo dura…
@Massimo Piovani, come ti capisco! A Mezozombor, in Ungheria (presso Tokaj) ho trovato anch’io un vigneto incolto, abbandonato, proprio incuneato fra quelli di Disznoko (che è diventato proprietà della AXA Millesime francese da una quindicina d’anni) e anche lì mi hanno detto dei rischi della flavescenza dorata. Ma come, si riesce a imporre di pulire le tombe nei cimiteri e non si riesce a imporre di pulire le vigne oppure di estirparle con annullamento dei diritti d’impianto? E il Consorzio che fa? E’ talmente impegnato con quella bischerata della “Bonarda style” che dimentica le eccellenze vinicole della tua zona? Sapevo che c’era qualcosa che non quadrava in quel Consorzio (da quando è morto il duca Denari sembra in balìa di mezze calzette) fin da una dichiarazione di Panont a Franco Ziliani e Patrizio Chiesa di una decina di anni fa, quando il neoarrivato dichiarò che in fondo il Buttafuoco non superava in tutto le 40.000 bottiglie, il che mi fece capire perfettamente che razza di strategie intendesse (non) adottare in proposito per quel gioiello di vino, lasciando appunto che i suoi produttori prima o poi si arrendano “convinti” (magari dalle malattie delle vigne) a fare soltanto Bonarda…
@Mario Crosta, ha descritto perfettamente un altro grosso problema dell’Oltrepò, ossia il (non) funzionamento del suo consorzio di tutela dei vini, le cui strategie oggigiorno coincidono con quelle della cantina sociale più grande (quella di Broni), a causa del vigente metodo di voto nelle assemblee consortili: chi fattura di più, conta di più. Questa cantina, quasi il 90% della sua produzione la vende in cisterna, quindi delle piccole produzioni di nicchia non gliene può fregare di meno.
Ci sarebbe tanto altro da dire in proposito, ma non vado oltre per non risultare stucchevole e non andare troppo fuori tema.
@Mario Crosta, “stucchevole”? No, no, no. Quello che hai da dire faresti bene a dirlo. Siamo tra noi. Siamo tra appassionati di vino. Io sono vivo grazie al vino, altrimenti mi avrebbero trapiantato il cuore. Perciò fai come a casa tua. Scrivi quel che pensi, che non vai di certo fuori tema. Se proprio non ti va di farlo in quel di Ghemme… puoi sempre scrivere un post in proposito tutto tuo a Massimiliano Montes, che te lo pubblicherà. E io sarò felicissimo di commentarlo. Si parla troppo poco di Oltrepò Pavese e di Buttafuoco, ma altrove. Qui se ne può parlare quanto se ne vuole. Ciao!
@Massimo Piovani, fai parte del Club del Buttafuoco Storico?
@Nic Marsél, no, ma apprezzo molto ciò che, pur a fatica, riescono a fare. Io per ora conferisco le mie uve alla “Cantina di Canneto Pavese”, tranne una piccola parte che vinifico io a livello casalingo.
Ciao Mario, i vini si adeguano alle richieste del mercato, e tu sai bene cosa intendo….
Purtroppo non é semplice trovare vini concepiti come anni fa, cambiano le norme, cambiano i disciplinari, cambia il mercato, purtroppo.
Sarò in quella zona a degustare, settimana prossima, e spero di trovare qualcosa di particolare, non dico interessante, perché qualcosa di interessante lo trovo sempre, tra l’altro é una zona che anche Roberto ama, quindi perché non constatare di persona?:-)
Un abbraccio Mario e spero di vederti presto.
Max
@max beretta, la mia porta è sempre aperta per te e per Kamila. Guarda che una volta al mese mi faccio sempre una settimana in Sardegna.
@Mario Crosta, si la tua porta é sempre aperta, come la nostra:-)
Magari ci scriviamo in privato, così capiamo dove ci si potrà trovare…
Magari selzionero’ un Ghemme o un Gattinara o un Boca o altro, vediamo