Quando un vino del 1891 in una degustazione alla cieca risulta il migliore

Sfogliare il sito internet dell’Azienda Biondi Santi è come leggere un libro antico rilegato in pelle, un saggio di qualità sulla storia del vino italiano.

Rileggere della famosa Verticale delle Riserve voluta da Franco Biondi Santi il 28 settembre 1994 ammutolisce. Credo che pochi al mondo possono vantare una simile storia familiare, pietra miliare del settore, punto fermo nella storia del vino.

Parlando di vino naturale spesso si portano ad esempio i grandi classici del XX secolo prodotti naturalmente: Romanée-Conti, Chateau Latour, Penfolds, Chateau Cheval Blanc, tanto per citarne alcuni.

Grandissimi vini ottenuti da fermentazione spontanea, senza lieviti selezionati, e senza l’aiuto chimico delle moderne tecniche enologiche.

“Ma il gusto negli anni cambia” viene spesso ribattuto.
“Che ne sai tu che un vino di quegli anni non fosse tecnicamente scomposto? Con volatili alte o altri difetti? Per l’epoca potevano essere accettabili, oggi no”.

Col gusto del 1994, Nicolas Belfrage, un famoso Master of Wine di 54 anni (quindi non un Matusalemme abituato a vini paleolitici) decretava che la migliore Riserva Biondi Santi degustata era quella del 1891. Gli affibiava anche il magico punteggio di 100/100.

La Verticale delle Riserve spaziava tra le annate 1888, 1891, 1925, 1945, 1955, 1964, 1968, 1970, 1971, 1975, 1981, 1983, 1985, 1987 e 1988.

Franco Biondi santi aveva deciso di aprire le sue cantine private per dimostrare al mondo, e alla stampa che spesso con tanta faciloneria scriveva di vino, di cosa fosse capace la tenuta Il Greppo.

Così invitò 16 autorevoli critici da riviste specializzate di tutto il mondo: Wine, Vinum, Vinotheque, Wine Enthusiast, Decanter, Gambero Rosso, Civiltà del Bere e Luigi Veronelli.

Nicolas Belfrage, classe 1940, era uno dei cofondatori di Decanter e forse il più conosciuto wine-writer internazionale presente.

La possibilità di scelta tra grandissimi millesimi, anche moderni, c’era. Eppure un vino di 103 anni, fatto in un’epoca in cui l’agricoltura era ancora un mestiere e la vinificazione un’arte, sbaragliò tutti.

Inutile dire che leggere queste cose mi emoziona come appassionato e suscita profonda invidia verso i prescelti che hanno potuto condividere questa esperienza di trascendenza non solo sensoriale, ma culturale e storica.

Nel 1891 non si conoscevano i lieviti selezionati. Non si sapeva cosa fossero i batteri malolattici. Non si usavano comode scorciatoie di cantina.

Però c’era chi il vino lo sapeva fare.

 

 

22 thoughts on “Quando un vino del 1891 in una degustazione alla cieca risulta il migliore

  1. Mario Crosta

    Ricordo ancora il Nipozzano 1871, degustato dopo ben 109 anni, consegnato all’Enoteca Italiana di New York. Per essere esposto (e in vendita) dovevano essere minimo 12 bottiglie, di cui 2 venivano aperte e degustate per essere giudicate vendibili. Allora, naturalissimo, è stato capace di tanto invecchiamento. Era poi scomparso come cru ed è ricomparso nel 1974 come una buona riserva. Adesso, invece… mannaggiaaaaaa!!!!

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    1. Massimiliano Montes Post author

      @Mario Crosta, qualcuno mi ha scritto in privato dicendomi che un vino di 103 anni non può essere bevibile.
      Di sicuro i vini elencati sul sito di Biondi Santi come i migliori vini al mondo del XX secolo (Chateau Margaux 1900, Chateau Petrus 1961, Quinta do Naval Vintage Port Nacional 1931, Inglenook Cabernet Sauvignon Napa Valley 1941, Domaine de la Romanée-Conti Romanèe-Conti 1937, Brunello di Montalcino Biondi Santi Riserva 1955, Penfolds Grange Hermitage 1955, Chateau d’Yquem 1921, Heitz Cabernet Napa Valley Martha’s Vineyard 1974, Chateau Mouton Rothschild 1945, Paul Jaboulet Ainè Hermitage La Chapelle 1961, Chateau Cheval Blanc 1947) non sono stati fatti con prodotti enotecnici che all’epoca neanche esistevano.
      Forse soltanto il Heitz Cabernet Napa Valley Martha’s Vineyard 1974 rientra in epoche dove l’industria enotecnica già commercializzava additivi e coadiuvanti di cantina.
      Gli altri sono sicuramente da fermentazione spontanea senza inoculo di lieviti o batteri vari, senza polverine e chips.

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      1. Mario Crosta

        @Massimiliano Montes, chi ti ha scritto non ha assaggiato quel vino del 1871 che ti ho scritto, che è stato provato nel 1980 alla presenza di Pino Khail e Giacinto Furlan di Civiltà del Bere nonché di Lucio Caputo dell’Italian Wine & Food. L’Enoteca Italiana lo avrebbe esposto e messo in vendita esclusivamente se 2 campioni (su un minimo di 12 di fornitura) risultavano bevibili. Così è stato. Se chi ti ha scritto ritiene di essere più intenditore di quei tre esperti, significa che non ha mai bevuto vini vecchi e quindi non ha competenza oppure che è un millantatore ed ha, in questo caso, tutta la mia disistima.
        Personalmente non ho esperienze di altri vini centenari, ma dall’annata 1926 ne ho per alcuni vini rossi italiani con più di 50, bianchi libanesi secchi e Tokaji o Massandra dolci di più di 40, che ogni anno sono all’asta a Vienna, per esempio. Sconsiglio tutti di comprare annate così vecchie proprio perché il rischio che non siano bevibili è appunto troppo alto. Altra cosa è assaggiarli e berli direttamente dal produttore. In genere il rischio è molto più ridotto se non hanno mai lasciato cantine profonde e perfette, anche se c’è sempre.

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        1. Mario Crosta

          Nei numeri del 1980 in archivio di Civiltà del Bere c’è traccia abbondante di quel vino. A me non serve, ma ai santommasi cui servisse non costerebbe nulla chiedere a Torcoli di dare un’occhiata e quotare ciò che è stato scritto in proposito.

        2. Massimiliano Montes Post author

          @Mario Crosta, mi sono perso… perché Frescobaldi?

  2. Lorenzo

    Premesso: ovviamente Franco Biondi Santi è un mito al quale noi dobbiamo tantissimo. Sia come enofili, sia come cittadini italiani.

    Pongo delle riflessioni generiche e non legate alla degustazione in oggetto.

    La domanda che vi pongo è: ma lo avete mai assaggiato un vino “antico” ?

    Le valutazioni che si fanno su di un vino del genere sono diverse, non sono quelle che si fanno su di un vino ancora nella sua parabola di invecchiamento. Non conta sapere o meno di che anno è la bottiglia, conta il colore, l’olfatto. Già ti dicono il vino a che punto è della sua vita. E su questo, si pone il giudizio.

    Detto questo qui ci sono dei problemi di carattere storico.

    1) indipendentemente dalla scoperta dei lieviti, la fermentazione ed il suo controllo era già ampiamente conosciuta da almeno 4 secoli

    2) la tecnologia in cantina c’era e, forse, per alcune cose, era molto più “tossica” di quella attuale. Cito sempre i sali di piombo per abbassare il tono acido del vino.

    3) le prime colture di lieviti selezionati utilizzati in enologia sono databili al 1884.

    Lorenzo

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    1. Massimiliano Montes Post author

      @Lorenzo, ma che stai dicendo? Luis Pasteur ipotizza che la fermentazione sia mediata da microrganismi solo nel 1863. I lieviti freschi non sono di nessuna utilità commerciale. Sono stati selezionati a puro scopo sperimentale a cominciare da Muller-Thurgau.
      Il lievito fresco per la conservazione necessita di basse temperature e all’epoca non esistevano neanche i frigoriferi! Ti rendi conto degli anacronismi storici delle tue affermazioni?
      I lieviti selezionati assumono valenza commerciale solo quando si riesce a sottoporli a procedimento di liofilizzazione mantenendone la vitalità.
      I cosidetti lieviti secchi attivi (LSA), che poi sono i lieviti per vinificazione, si diffondono commercialmente negli anni ’70.
      Non puoi falsificare la storia per adattarla alle tue convinzioni. E’ più logico adattare le tue convinzioni ai fatti storici.

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      1. Lorenzo

        @Massimiliano Montes,

        Io non sto falsificando la storia e ti prego di non offendermi dato che non mi sembra che io l’abbia mai fatto.

        Semmai ti consiglio di documentarti un pò più approfonditamente quando scrivi delle informazioni che vengono pubblicate su internet e vengono prese, ahimè, come verità senza validazione.

        Quando scrivi ricordati sempre che hai un “dovere” etico e morale nei confronti della società.

        Detto questo, passiamo alle fonti storiche, così ti documenti un pochino anche tu. Da oggi in poi tutte le citazioni che facciamo le faremo usando la bibliografia di riferimento: ci stai ?

        riguardo il punto 1) bibliografia a riguardo è ricchissima, puoi partire dal De Re Rustica di Columella databile intorno al 60-70 D.C. in cui veniva ampiamente descritta la fermentazione del vino e i suoi criteri tecnologici d’utilizzo. Non so se sai, ma Columella aveva dei vigneti sperimentali nel lazio in cui faceva selezione genotipale e micro vinificazioni.
        Poi, sempre per rimanere sull’enciclopedico, direi che uno “Storia del Vino” di Hugh Johnson dovresti leggerlo, c’è descritta tutto l’andamento tecnologico delle fermentazione.

        Per quello che concerne il punto 2 direi che puoi trovare spunti interessantissimi sia sul libro di Johnson. Ma basta che cerchi su Wikipedia “Saturnismo”, c’è tutto l’ex cursus storico.

        Veniamo ora al punto 3, Innanzitutto, come già detto, la fermentazione e le sue tecniche erano già note indipendentemente da Pasteur, d’altronde, sicuramente uno come te lo saprà, molto della relatività generale veniva già utilizzata prima di Einstein… a partire da Galileo!

        Riguardo l’utilizzo dei lieviti selezionati, mi dispiace contraddirti, ma il primo laboratorio ufficiale di creazione e vendita di lieviti selezionati nacque nel 1894 a Geinenheim (o come si scrive), ma ciò non toglie che prima non si potessero già usare, è noto, infatti che già nel 1884 in Olanda esistevano parecchi laboratori di lieviti selezionati, principalmente utilizzati per la produzione della birra, ma anche per il vino.
        In Italia, le prime fermentazioni documentate con lieviti selezionati, sono state effettuate nel centro enologico di Asti già nel 1889, addirittura ci fecero una pubblicazione. “Esperienze di fermentazione con lieviti purificati e selezionati” di Ravizza

        Pensa, la prima guida per l’utilizzo di lieviti selezionati è del 1900! una GUIDA! tale ““I Fermenti selezionati applicati al governo dei vini” scritta da PAsserini dell’accademia dei Georgofili.

        … devo continuare?

        Ah, dimenticavo, buona lettura!

        Reply
        1. Massimiliano Montes Post author

          @Lorenzo, non voglio offenderti, per carità. Io ho una formazione scientifica e per me fermentazione significa microbiologia, apiculati e saccharomyces. Uno che mi parla del De Re Rustica di Columella (nonostante abbia fatto studi classici) viaggia in un territorio molto lontano dal dal mio.
          Il fatto che si vedesse il mosto ribollire non significa che i contadini capissero perché accadeva.
          Nonostante ciò, vignaioli illuminati avevano affinato tecniche di gestione delle fermentazioni (pur senza sapere dal punto di vista microbiologico come accadesse), specialmente in aree particolarmente vocate per la viticoltura.
          Di fermentazione intesa come processo metabolico e microbiologico si discute, inevitabilmente ed obtorto collo (checché ne pensi tu), dopo la scoperta dei lieviti e del batteri da parte di Pasteur. Questo è un fatto storico.
          I laboratori che dici tu di coltivazione (più che di selezione) di lieviti (lievito di birra, quello che usiamo anche per fare il pane) erano laboratori sperimentali e provavano le loro colture con le produzioni di birraioli e vignaioli geograficamente adiacenti, per il semplice motivo che i lieviti freschi non si potevano spedire o viaggiare (se non in condizioni protette e al fresco magari con neve o ghiaccio). Ti ho fatto proprio io l’esempio di Muller-Thurgau che fu il primo a coltivare il lievito di birra proprio in quegli anni (ma sempre dopo che Pasteur aveva scoperto che era lui la causa delle fermentazioni).
          La commercializzazione su larga scala dei lieviti selezionati enologici inizia nell’epoca dei LSA.
          Se non ti fidi di me chiedi ai produttori e alle cantine in che anno hanno iniziato ad usare i lieviti selezionati enologici, o lieviti commerciali che dir si voglia.

        2. Lorenzo

          @Massimiliano Montes,

          per inciso, io lavoro per una multinazionale che si occupa di ingegneria genetica, che, per inciso non ha nulla a che fare con il mondo del vino.
          Quindi diciamo che con un apiculato ho molta più confidenza che con un Columella 🙂

          Quello che sto cercando di dire è che posso essere anche d’accordo con te che la massificazione dell’utilizzo industriale dei lieviti selezionati avviene negli anni ’70 del ‘900, ma ci sono prove provate che l’utilizzo di lieviti selezionati in vinificazione avvenne appena dopo la scoperta di Pasteur, quindi, man mano che ci allontaniamo da questa data diventa sempre più difficile dire che venivano utilizzati lieviti endogeni. Semplicemente non possiamo dirlo, la tecnologia c’era e si sapeva come utilizzarla (come ti ho detto, le prime guide di divulgazione sono del 1900!)

          Per farti capire, leggiti com’è nato il Barolo che conosciamo oggi, dal punto di vista storico.

          Tutto qui.

          Il resto è poesia, anche a me, da consumatore, piace pensare all’ipotetico vigneron di Volnay pigia l’uva con i piedi e va a fare la nanna e la mattina dopo si sveglia e trova la fermentazione. Ma NULLA, ci può provare che lui non usi lieviti selezionati da almeno 70 anni. Ed il fatto che quando lo vai a trovare vedi la botte ammuffita, non vuol dire che lui non ha un bustone di lievito liofilizzato chiuso nello sgabuzzino.

          Massimiliano, trovami un esame di laboratorio che dica che lieviti si sono utilizzati nella fermentazione partendo dalla bottiglia. Se me lo trovi, do le dimissioni domani, vengo dove sei tu e ti offro una cena.

          Tornando a Varrone, Columella & Co. io ti consiglio di sfogliarli, troverai che Pasteur ha scientificamente descritto quello che gli antichi avevano già visto e… un pò controllato!

          Daltronde di esempi nella storia ce ne sono, all’epoca degli egiziani non esistevano le equazioni di calcolo strutturale, eppure le piramidi le hanno costruite! 😀

        3. Massimiliano Montes

          @Lorenzo, va bene… stamo dicendo le stesse cose o quasi. Anche senza alcuna dimissione te la offrro io la cena 🙂

    2. Massimiliano Montes Post author

      @Lorenzo, Il controllo della fermentazione spontanea esisteva eccome. Veniva effettuato mediante pied de cuve anche in ambienti freddi e umidi come la Borgogna.
      Ben vengano queste tecniche, mal vengano i lieviti selezionati 🙂

      Reply
      1. Lorenzo

        @Massimiliano Montes,

        Ecco perchè la Francia riuscirà sempre a vendere più vino di noi.
        il Marketing. Da loro funziona davvero benissimo.

        🙂

        Reply
  3. Eretico Enoico

    Leggere queste sciabolate colte e’ entusiasmante ma Lorenzo ,tu hai cultura specifica ,sei uno che in modo illuministico va molto in profondità però il fatto che ad inizio secolo si ascoltava musica riprodotta su dischi con grammofoni ,giradischi ,musica analogica non vuol dire che i produttori dell’epoca usassero il digitale e le sequenze di 0 e 1 …credo tu abbia capito il senso di ascoltare ottima musica riprodotta con un metodo ( quindi una tecnica ) analogico e volerla per forza assimilare alla musica riprodotta in modo digitale ( tecnica anche qui ma che necessita di altre tecniche quali il laser che a fine ottocento non credo fosse noto)…i vini di inizio 900 o fine 800 certamente erano frutto anche di tecnica ma non nel significato odierno di tecnica enologica e questo credo sia incontestabile.
    Giuseppe

    Reply
    1. Massimiliano Montes Post author

      @Eretico Enoico, direi di no… 🙂 I vini di quell’epoca non erano inoculati con lieviti selezionati. Qusta tecnica enologica si diffonde negli anni ’70
      Ai primi del 900 si sperimentava, si cercava di scoprire e di capire questa “novità”.

      Reply
      1. Eretico Enoico

        @Massimiliano Montes, mi esprimo sempr e in modo contorto ma Massimiliano concordo con lei ed anzi e’ stato ampliamente esaustivo nell’argomentare con Lorenzo. La parola tecnica( il saper fare) che ho inserito e’ intesa nel suo significato piu’ puro e non e’ riferita alla moderna tecnica enologica.
        Sante’
        Giuseppe

        Reply
        1. Massimiliano Montes

          @Eretico Enoico, ti esprimi benissimo! Tranne quando mi dai del lei 🙁

        2. Eretico Enoico ( aka Giuseppe)

          @Massimiliano Montes, era un Lei istituzionalgiornalistico aahahah allora aspetto di incrociare con te i calici in giro per il mondo.

        3. Massimiliano Montes Post author

          @Eretico Enoico, in giro per il mondo non so… in qualche manifestazione, Villa Favorita per esempio, possibile.

    2. Lorenzo

      @Eretico Enoico,

      perdonami, ma qui non si è posta la domanda “è più poetica la musica analogica o digitale”, qui si sta ponendo come libellum exempla una pseudo tradizione storica in cui il “vino di ieri” era più… come dire… naturale di quello di oggi.

      Questo è assolutamente falso e contestabile.

      Ieri ci mettevano le bacche di ginepro, oggi ci mettono lo stesso principio attivo. Qual è la differenza?

      Albert Marcellin già agli inizi del ‘900 fondò il movimento del vino naturale…

      Potrei continuare per ore a descriverti le tecniche di sofisticazione “ancestrali”. La differenza è che ieri se ne conoscevano solo le conseguenze di tali pratiche… oggi cause e conseguenze. Quindi, dal punto di vista dell’uso “della chimica”, il consumatore è più salvaguardato.

      E con questo non sto dicendo che la chimica bisogna usarla e che tutti la usano, mi fa solo “sorridere” il fatto che che il consumatore medio, molto spesso, si faccia fregare da qualcuno che si è travestito da contadino. Io non la voglio la chimica nel vino, ma allo stato delle cose di oggi tutto ciò è romantico, non c’è una demarcazione netta tra l’enologia convenzionale e quella naturale, ci sono solo dichiarazioni unilaterali in etichetta che, troppo spesso, lasciano il tempo che trovano.

      Poi, detto inter nos, ritorno sul concetto di prima, anche a me piace pensare che il vigneron pigia l’uva con i piedi… ma poi… se non vedo un’imbottigliatrice… penso solo ad una cosa: l’autocisterna che porta il vino ad imbottigliare in qualche industria, con tutte le stabilizzazioni del caso che… ovviamente, non sono identificabili in laboratorio!

      Altro consiglio: andatevi a leggere COSA è rilevabile in un vino e COSA NON LO E’.
      E’ molto istruttivo.

      Reply

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