I vini della famiglia De Montille sono un mito per gli appassionati. Non solo perché Hubert è stato uno dei protagonisti del cult Mondovino, ma per la qualità e le caratteristiche dei suoi vini.
Acuminati come una spada, di elevata acidità, austeri, e, soprattutto, con un legno ben dosato. Mai un vino di Hubert ha avuto aromi dominanti di vaniglia, né tantomeno di caffè e cioccolato.
Un suo Pommard “Le Pezerolles” del 1988 è stato per me una rivelazione. Per questo quando un amico enotecaio mi ha detto di avere qualche bottiglia del Beaune Premier Cru “Les Perrières” 2009 ho colto la palla al balzo.
La delusione è stata netta. Un vino, per quanto gradevole, che nulla aveva a che fare con quelli di Hubert. Il figlio Etienne, che oggi gestisce l’azienda, ha modificato il taglio austero dei vini del papà, addolcendoli e rendendoli più fruttati e meno acidi.
La cosa più sgradevole però sono stati i sentori legnosi, a cavallo tra la vaniglia e la resina, che demolivano completamente la struttura di un potenziale grande vino.
Deluso ho riportato indietro una bottiglia di Premier Cru rimasta all’amico enotecaio e ho preso in cambio due Bourgogne base sempre del 2009.
Stappare la bottiglia di Bourgogne base è stata una graditissima sorpresa: seppur lontano dagli standard di Hubert questo è un vino eccellente.
Nessun sentore legnoso, un frutto evidente ma non eccessivo. Già il colore affascina, rosso rubino trasparente con l’unghia tendente al granato.
Il naso è chiaro: un netto goudron (in italiano sarebbe “bitume”, però goudron fa più fico) che qualcuno chiama mineralità, intensi aromi di frutti di bosco e viola.
Roteando lavanda e sottobosco, l’odore della campagna dopo la pioggia, profumo di funghi di prato.
Al palato è di buona acidità, intenso e ampio. In retrolfazione ritorna il goudron e i frutti di bosco. La persistenza è lunga e fragrante.
Insomma un gran bel vino.
Volo sul sito del produttore e su altri di appassionati di Borgogna e scopro che il vino base, a differenza di quelli più “pregiati”, matura per metà in acciaio e per metà in vecchie barriques di quarto passaggio. Niente legno nuovo.
A questo punto mi chiedo come sarebbe stato il Beaune Premier Cru “Les Perrières” se fosse stato vinificato con mano meno interventista, senza quegli aromi legnosi che lo stravolgono.
Etienne De Montille ha tutte le carte in regola per produrre grandi vini. La famiglia De Montille possiede alcune tra le migliori parcelle della Côte d’Orient. Il Bourgogne base proviene da quasi due ettari di vigneto, per metà a Volnay in contrada “les Longbois”, vicino Meursault, e per l’altra metà da “les Esquinces”, nella porzione più bassa di Puligny-Montrachet. Insomma grandi terroir, per un vino che stento a definire “base”.
Il Domaine De Montille ha abbandonato l’uso di fertilizzanti chimici ed erbicidi dal 1985, e conduce i vigneti in biologico dal 1995. Dal 2005 è certificata Ecocert Bio. Insomma, è sufficiente che Etienne non ci metta troppo lo zampino.
Domaine de Montille
Rue du Pied de la Vallée
21190 Volnay, Francia
Tel. +33 3 80 21 39 14
contact@demontille.com
http://www.demontille.com
A questo punto la domanda è:
E se invece Etienne ce lo mette (lo zampino)????
Resteranno i sentori legnosi????
Scherzo, sono però d’accordo con te sul fatto che i “sentori legnosi” sono sgradevoli…..
A questo punto credo che mi orienterò verso altri tipi di Bourgogne…… 🙂
@Carlo Garaffo, purtroppo si 🙂
Però loro fanno anche altri premier cru, migliori del Beaune Les Perrières. Il problema Etienne comunque permane…
* errata corrige: c’è lo mette…….
Scusa Massimiliano, sono in macch. con il cell.
🙂
E’ una cosa che capita spesso. Il produttore crede di poter migliorare un vino esagerando con il suo genio, mentre un ottimo vino è frutto di una simbiosi della terra, del sole e del genio. Guai se uno prevale sull’altro. Nel caso di un Grignolino, per esempio, il vino ti castiga subito.
Mi è capitato sia con un Lugana normalissimo di Zenato, che ho preferito a quello da esportazione con passaggio in barrique (differenza di prezzo: 1 a 8), per fare l’esempio di un bianco, sia con un Colline Novaresi rosso di Imazio rispetto al suo Ghemme (quando il vino lo faceva suo padre, fino all’annata 1974, il suo canto del cigno, accadeva invece l’esatto inverso). Diciamo che i figli studiano di più enologia e spesso intervengono maggiormente, con una certa mano a volte anche pesante, in un processo naturale che invece dovrebbe essere quello di un “accompagnamento” dell’uva a fare il vino e non quello di una “forzatura”. Una volta rispettavano di più i pochi insegnamenti dei nonni e dei bisnonni che non quelli dei libri e dei manuali. Speriamo che fra 100 anni esista ancora il vino…
@Mario Crosta, assolutamente d’accordo con te. Capita sin troppo spesso anche con i nostri vini: i top di gamma italiani sono sovente stucchevoli.