Se mi giudico mi deprimo se mi confronto mi esalto. Per questo preferisco le orizzontali alle verticali.
Avendo a portata di mano due pinot neri naturali, un italiano e un francese, della stessa annata, non ho mancato l’occasione di berli insieme.
L’intenzione era quella di sfatare il mito che in Italia non si riesce a fare del Pinot Nero buono come quello dei cugini d’oltralpe, ma forse questo non era il confronto adeguato per tale dimostrazione.
Elisabetta Dalzocchio produce il suo Pinot Nero a Rovereto, su colline ai piedi delle Dolomiti, a pochi chilometri dal lago di Garda. Le sue vigne sono certificate biologiche dal 2001, il vino viene prodotto con fermentazione spontanea sulle bucce e sui raspi in tini di rovere senza l’aggiunta di lieviti e di enzimi, e senza filtrazione.
Matura in fusti di rovere da 228 litri per 18 mesi. Da notare che le dimensioni dei fusti sono quelle dei barili dello Jura.
Jean-François Ganevat, chiamato affettuosamente “Fanfan” dai compaesani, possiede 8 ettari e mezzo di vigne a La Combe de Rotalier, nel cuore della Côtes du Jura, una piccola regione dedita storicamente alla viticoltura, incastonata tra le colline boschive prealpine nel sud-est della Francia.
Jean-François coltiva in biodinamica dal 1999 e dal 2006 ha completamente eliminato l’uso di solforosa, eccetto piccole quantità per il Florine e il Billat.
Anche i suoi mosti sono fermentati spontaneamente in tini troncoconici da 500 litri rigorosamente non nuovi. Il vino non è filtrato né chiarificato.
Abbiamo provato una bottiglia di Cuvée Julien del 2009, Pinot Noir in purezza proveniente da due vigne, Julien e Grusse en Billat, senza solforosa aggiunta.
Lo abbiamo confrontato con un Pinot Nero Dalzocchio 2009.
Devo dire subito che il confronto è stato impari. Non perché il Dalzocchio sia brutto, anzi è discretamente buono. Però senza lode e senza infamia, un vino della terra di mezzo.
Il Cuvée Julien 2009 è esaltante. Un grande vino, capace di unire spessore, intensità e serietà degli aromi, a una bevibilità che definire fluida è eufemistico: la bottiglia è finita in tempi record.
Il colore è quello del Pinot Noir, rosso rubino tendente al granato. Trasparente, seppur evidentemente non filtrato.
Ti inebria con intensi aromi che oscillano tra la frutta rossa e più austere note di cuoio e sottobosco.
La prugna, il ribes e il lampone fanno a gara con sentori selvatici, di campagna e di sottobosco, il muschiato rincorre il ginepro.
La retrolfazione vira con decisione verso gli agrumi, timo ed altre erbe aromatiche. Le sensazioni acide sono nette e la persistenza è lunga e piacevole.
Il Dalzocchio 2009, dopo cotanta grazia, lascia perplessi. E’ come vedere un artista di circo eseguire un mirabolante esercizio ginnico, subito seguito da un’altro che ti fa semplicemente una verticale o la ruota.
Il naso è lineare e semplice, tutto arroccato tra una fruttosità un po’ leziosa, un troppo evidente chiodo di garofano, seguito da cannella e vaniglia.
Lo definirei un vino molto femminile.
Ripeto, non è brutto, però da un naturale fermentato spontaneamente ci si aspetterebbe un carattere più deciso.
Il colore è simile al Ganevat, rosso rubino tendente al granato. Trasparente con una sottile velatura. Al palato è di media acidità, in retrolfazione le speziature si colorano di zenzero e biancospino, per lasciare emergere poi sensibili aromi di arancia rossa e piccoli frutti rossi. Anche la persistenza è media.
Sono comunque entrambi espressione di un grande vitigno, capace di dare il meglio della produzione enoica mondiale. Il Dalzocchio forse risente di un legno troppo invadente e di una mano vinificatoria che lo ha smussato e domato, cosa che in un vitigno gentile come il Pinot Nero andrebbe sempre ponderata.
Domaine Ganevat
La Combe, 39190 Rotalier
Tel/Fax 0033 03 84 25 02 69
Cantina Dalzocchio
Via Vallunga Seconda, 50
I-38068 Rovereto (Tn)
Tel. +39 333 9695989
elisabetta@dalzocchio.it
http://www.dalzocchio.it
Massimiliano, complimenti per le descrizioni accurate, ma permettimi un parere terra terra anche se il Ganevat non l’ho mai assagggiato (ok vado dietro la lavagna)
Il Dalzoccio 2009 mi piace assai e se costasse un pochino meno mi riempirei la cantina
L’esercizio da circo, pur mirabolante, rimane fine a se stesso mentre una semplice verticale puo’ , talvolta, risultare più efficace 😉
@Nic, non dico che sia brutto. Penso che queste note vanigliate lo rendano un po’ lezioso, la speziatura è intensa, il frutto in evidenza, e di contro non ci sono note austere. Credo che paghi lo scotto di legni nuovi. Appena esci da dietro la lavagna assaggia Ganevat 😉
@Massimiliano Montes, dopo il tuo post e quello di Niccolò comincio a soffrire della sindrome da accerchiamento 🙂
@Nic, e tu disaccerchiati! Questa è la seconda bottiglia che bevo in poco tempo. Dopo la prima ne parlammo a telefono, se ricordi. Bevendolo da solo pur non entusiamandomi ho in qualche modo minimizzato i suoi difetti. Confrontandolo con un altro vino simile la situazione è sensibilmente cambiata, non sono più riuscito a passare sopra agli stessi difetti.
Ora ti posso confermare che a mio parere i problemi di questo vino sono proprio due: un legno invadente, una mano in cantina invadente.
@Massimiliano Montes, quell’aggettivo invadente, usato ben due volte sia per i legni che per la mano, sono un giudizio più pesante di quello che traspare nel tuo articolo. O sei stato fin troppo tenero prima o sei fin troppo severo adesso. Quelli che giocano con i legni e con le mani pesanti non mi piacciono proprio. Più che vignaioli li considero fattucchieri, alchimisti. Allora non capisco perché non l’hai detto subito nell’articolo, velando invece i tuoi toni iniziali. Se per caso ci ripensi e condividi di più il testo iniziale che non questa tua frase in un commento, con la quale cozza, faccelo sapere, perché un giudizio troppo severo sul produttore fa strada fra gli enoappassionati e fa arrabbiare il produttore, soprattutto quello che ha voluto provare per migliorare e che va convinto a non proseguire su quella strada perché invece ha peggiorato. Va convinto. Ci sono produttori che si fanno un culo tanto dall’alba al tramonto, faticano, non hanno sabati e domeniche, non hanno feste e ponti, sono sempre impegnati a dare il meglio (anche quando sbagliano, questi qui non lo fanno apposta) e sentirsi dire di essere invadenti… fa girare un po’ le cosiddette, no?
@Mario Crosta, è il medesimo giudizio. E’ comunque un buon vino, non lo nego, che poteva essere a mio parere eccellente se meno fruttato e vanigliato.
E’ solo un opinione. Che rispecchia il mio gusto. Non entro in meriti lavorativi, altrimenti dovremmo privarci nell’esprimere opinioni.
Poi è solo un annata, non è detto che l’evoluzione in futuro si mantenga uguale. Fortunatamente i vini naturali cambiano.
@Massimiliano Montes, il mio livello di sopportazione della barrique (soprattutto nuova) è notoriamete più elevato del tuo 🙂 comunque ti prometto che lo riassaggerò tra un paio di settimane facendo tesoro delle tue note di degustazione.
@Nic Marsél, anche perché il Pinot Noir di Borgogna non sarebbe uno fra i migliori vini del mondo in assoluto senza la barrique che da trecento anni fa parte integrante della sua maturazione in legno, vedi Romanée-Conti, La Tâche, Richebourg, Romanée-St-Vivant, Grand Echézeaux, Echézeaux e Montrachet.
C’è da dire che in Borgogna questo legno in quel vino non si sente, non predomina, non esagera, non copre, non modifica, non sovrasta, non aggiunge e infatti la botticella da 225-230 litri a spacco per quel vitigno è indicata (per la stragrande maggioranza degli altri no). Se Max sente una mano invadente del legno in un Pinot Nero, vuol dire che si è esagerato davvero e questo è quello che accomuna tanti produttori italiani che con le barrique non fanno l’uso intelligente dei borgognotti, ma fanno piuttosto l’abuso secondo la moda.
Massimiliano,
sono felice che il Pinot nero Italiano non ne sia uscito male, l’unico appunto che ti faccio è che lo hai paragonato a un Pinot Noir di una area vitivinicola un po’ anomala e non certo famosa per il PN in più prodotto da un “estremista” dei vini naturali, un vigneron che accentua il territorio con vinificazioni molto personali e con una cotè ruvida, l’esatto opposto delle tecniche “dolci” e femminili di Elisabetta.
comunque sia Kempè
Luigi
@luigi fracchia, in realtà hanno molto in comune. Dicono entrambi di vinificare spontaneamente senza inoculo, lo fanno entrambi in tini tronco-conici aperti, Elisabetta Dalzocchio vinifica addirittura con i raspi. Maturano il vino quasi per lo stesso periodo in piccole botti delle medesime dimensioni, 228 litri. Inoltre è la stessa annata, uguale periodo di affinamento in bottiglia.
Sarebbe stato peggio se lo avessi paragonato ad uno di Borgogna, anche perché in vinificazione spontanea in legno credo siano veramente pochi (mi viene in mente Vergé, Leroy).
Forse la varietà riesce a raggiungere vette elevate soltanto nella propria casuccia, in Francia. Anche se in altre parti del mondo ci sono buoni Pinot non vedo nessuna eccellenza al pari dei francesi.
Ciao
@Massimiliano Montes, sono perfettamente d’accordo con quest’ultima frase e da almeno 40 anni, cioè da prima ancora che tu cominciassi a bere. Risparmiami il chiodo di garofano….
@Mario Crosta, non farmi pesare la tua veneranda età. Guarda in alto invece: il fiore della passione
@Massimiliano Montes, a me purtroppo pesa. Mi attendeva il trapianto di cuore…
@Mario Crosta, uffa! 🙂 e va bene, però allora non dobbiamo più bere Pinot Nero che non sia francese? Quanto dovrò rimanere dietro la lavagna? Che poi il chiodo di garofano non mi piace e mi stupisco di non averlo notato 🙁 Ci farò più caso alla prossima bottiglia (già programmata) tra un paio di settimane 😉
@Nic Marsél, uffa un corno! Non ho mica detto che si debba bere soltanto il Pinot Noir francese. Cereda, guarda che l’oculista ti aspetta. E niente faccino per castigo! Ci sono Pinot Noir cileni molto buoni, franciacortini, altoatesini, oltrepadani di notevole fattura e a prezzi inferiori, talvolta di molto, a quelli francesi. Che si bevano! Ma un conto è dire che ce ne sono appunto di ottimi, di molto buoni anche altrove, pur ammettendo, dopo 40 anni di bevute, che le vette più elevate le raggiungono in Francia, in particolare in Borgogna e soprattutto nella Cote d’Or. A proposito di chiodi di garofano, preferisco sempre avere visioni celestiali quando alzo lo sguardo al cielo.
@Massimiliano Montes, in Borgogna sono molti a vinificare in legno (spesso nelle stesse barrique in cui affinano per un po’ i vini) e molti stanno riusando i raspi, per cui il parallelo lo si poteva fare, anche se tutte e due le zone vitivinicole francesi sono molto più a nord di quella italiana, forse per maggiore correttezza geografica avresti dovuto sgamare un pinot delle Ardeche (ad esempio).
Infine mi pare che lo stile, il manico di Ganevat sia così forte da segnare i suoi vini e farli sbilanciare verso il vino del vigneron piuttosto che non quello del territorio o della varietà.
Comunque sono pronto adessere smentito.
Colgo l’occasione per unirmi al dolore di Nic Marsel depresso e dolente per la stroncatura del PN Dalzocchio, ho un cuore debole 😉 mica come te e Niccolò.
@luigi fracchia, ma non l’ho stroncato. Anzi ho detto che è buono. Ho solo fatto una graduatoria di quale dei due mi piace di più.
Non voglio fare pubblicità (anche perché non me ne viene nulla) però sul link in alto a destra dell’Enoteca Galli li trovi entrambi, a prezzi onesti. Provali.
Nic caro, qualcosa che può competere con la Francia si trova SOLO in Germania (AHR o Keysersthul)…vieni a trovare a Brux. che di rendo edotto…magari… un abbaccio
@A3C, bene bene … abbiamo in sospeso anche la visita da Cantillon 😉
Ti aspettooooooooooooo
Ho incontrato Elisabetta qualche giorno fa: a memoria ricorda di aver usato nel 2009 tre barrique di primo passaggio che conti alla mano fanno un 15% circa del totale (6500 bottiglie).