No, non mi riferisco alla principessa Leila tra le grinfie di jabba the hutt, ma al rosato frizzante naturale da metodo ancestrale di Martin Gojer, Weingut Pranzegg.
Attratto dalla descrizione del vino, un metodo ancestrale imbottigliato a fine fermentazione con 14 g/l di zuccheri, che termina la fermentazione in bottiglia, con soli 22 g/l di solforosa totale, l’ho scovato online, ho trangugiato la prima bottiglia e valutato con miglior capacità critica (si spera) la seconda.
Quello delle bollicine naturali è un tema caldo, fonte di continua discussione nell’universo del vino naturale. C’è chi sostiene che un metodo classico “naturale”, ottenuto facendo rifermentare in bottiglia un vino base fermo, non sia possibile.
Questo perché la presa di spuma, o rifermentazione in bottiglia, viene ottenuta aggiungendo zuccheri esogeni e lieviti selezionati. Trovo la posizione di chi sostiene questa tesi condivisibile: un metodo classico con inoculo di lieviti selezionati e liqueur non è naturale.
Mi ha sempre affascinato invece il metodo veramente naturale dei francesi per ottenere la presa di spuma, quello che viene descritto come “metodo ancestrale”.
A differenza del metodo classico che prevede una seconda fermentazione di un vino pronto, chiamato vino base, il metodo ancestrale prevede che la prima fermentazione alcolica invece di terminare in aria aperta si consumi in bottiglia. Non appena il mosto in fermentazione ha raggiunto il grado zuccherino residuo voluto, si imbottiglia tappando con tappo a corona, e si lascia terminare la coda di fermentazione nell’ambiente sigillato della bottiglia stessa. Così facendo l’anidride carbonica prodotta dai lieviti rimane intrappolata generando il frizzantino.
I lieviti trasformano lo zucchero in alcol etilico e anidride carbonica. Bisogna ricordare che 24 grammi di zucchero fermentando generano circa 6 atmosfere di pressione in anidride carbonica, questa è la pressione dei metodo classico. Se un mosto in fermentazione viene imbottigliato a 1.8 gradi Babo residui, e svolge completamente la fermentazione, trasformando tutto lo zucchero residuo in alcol, genera circa 4.5 atmosfere di pressione in bottiglia. Ottimo per un vino frizzante.
Questo metodo evita l’uso di zuccheri esogeni e lieviti selezionati ed è veramente naturale. Il mosto in fermentazione all’imbottigliamento può subire una filtrazione grossolana che lascia comunque passare i lieviti, per eliminare le fecce più grosse.
Oppure, come ha fatto Martin Gojer col Miau, può subire il processo del “degorgement”, la sboccatura, con cui si eliminano i residui solidi raccolti nel collo della bottiglia. La vacanza viene poi colmata con altro vino, Martin ha usato lo stesso vino da altre bottiglie.
Il risultato giustifica un grande complimento al vignaiolo, per l’intraprendenza, la capacità di affrontare le sfide e risolvere i problemi.
Il Miau è fresco e godibile, con una buona corona di schiuma al calice e una bollicina intensa anche se non persistente come in un metodo classico. Da un punto di vista aromatico e gustolfattivo è lieve e non impegnativo anche se allo stesso tempo austero e poco fruttato. Ha un elevato potere dissetante e di freschezza al palato che induce a riempire subito il calice per continuare a bere.
Il Miau è vinificato sui colli di Monte Pozza, sui pendii a sud del fiume Isarco alle porte di Bolzano, da uno degli autoctoni prìncipi della regione, la schiava.
Esistono tre varietà di schiava: grossa, gentile e grigia. Non chiedetemi le differenze organolettiche tra i tre sottotipi perché non le conosco, posso immaginare che con la schiava grigia si ottenga un vino più milf, con la schiava gentile qualcosa di elegante, e la schiava grossa piacerà a Robert Parker.
Scherzi a parte, sulle scheda tecnica del Miau si legge solo “schiava”, da un vigneto di 0.3 ettari allevato a pergola trentina in forte pendio, in coltivazione biodinamica. Come dicevamo prima il Miau ha solo 22 g/l di solforosa totale, da fermentazione spontanea, sulle bucce per un giorno e mezzo, pressatura e imbottigliamento a fine fermentazione con circa 14 g/l di residuo zuccherino che continua a fermentare in bottiglia.
Non è filtrato, il colore al calice è rosa rubino tenue, opalescente per la lieve sospensione.
Se dovessi trovargli un difetto direi che lo avrei gradito meno austero e con un frutto più presente, più mediterraneo e meno teutonico. Non saprei come ottenere questo risultato, forse con qualche ora di macerazione in più, o con qualche giorno di maturazione dell’uva in più. Giro il quesito a Martin Gojer.
Martin Gojer
Weingut Pranzegg
via Campegno 8 – 39100 Bolzano
+39 328 4591961
info@pranzegg.com
https://www.pranzegg.com/italiano