“Ho un Cabernet Sauvignon da farti assaggiare…”
Che è rimasto ignoto fino al momento del nostro incontro al ristorante, quando, mostrandomi la bottiglia, c’è mancato poco che fossi colta da una vera e propria estasi.
E’ il Mas de Daumas Gassac, Languedoc, France! Millesimo 2007.
Stento a crederci, conoscevo solo l’ottima fama di quel vino prima di adesso.
Il locale ahimè, non suggeriva una degustazione tecnica, troppo chiasso, poca luce, tanta gente, inesistenza di calici adeguati, considerando il tutto, forse non avrei dovuto aprirla, me ne rammarico un po’ ma l’istinto sommelliero mi ha travolto e senza rifletterci su un secondo, complice anche la mia famelica curiosità, (questo va detto) stappo con fare solenne la bottiglia.
Il vino si mostra molto giovane, ha un bellissimo colore melanzana coeso, l’unghia concorda. Lo spettro aromatico al naso non è ampio ma indirizzato solo verso sentori empireumatici: chiodi di garofano, cuoio, orzo, carbone e brulè, e una flebile nuance erbacea cruda, simile al fieno. E…non è possibile, la frutta e il resto, dove sono? Mi dico…
In bocca il vino ha un’insolita freschezza con tannini manifesti, ma è stringato.
Ne discutiamo a tavola, ma in fondo in fondo il vino non mi sorprende più di tanto. Quel sottile sentore erbaceo però mi svia, lo devo riassaggiare penso.
E cosi a fine pasto, con eccezionale sfrontatezza, tale da non riconoscermi, chiedo di portare casa con me la bottiglia con quel che resta del vino, col proposito di assaggiarlo in un ambiente più confortevole per me e per lui, casa mia.
Il giorno dopo…
Il mio balloon è concretamente più indicato, permette al vino di respirare, metto su il brano di Nina Simone, Feeling good, e intanto verso il vino.
Già nel versarlo, dal suono che emette scivolando dolcemente sulle pareti del calice, approda all’anima.
I profumi adesso sono variegati, al top della gradevolezza. Non c’è ordine ma un vivace trambusto tra gli odori, come se la musica desse origine a una sorta di ritmo fra i sentori. Roteo il calice, paprica e glicine, cannella e narciso, more, mirtilli e visciole volteggiano insieme ai chiodi di garofano, le note balsamiche di fieno si concedono con generosità. C’è un piacevole sentore di umido e fresco come buccia di anguria, poi ancora incenso, tabacco e curcuma, saldi. In bocca è caldo e avvolgente, la frutta bluastra matura si rinnova con charme, avanza la freschezza con una nerbata decisa e ben definita che sposta l’equilibrio sulle durezze, incoraggiando l’incedere di una succulenza misurata che si manifesta alla deglutizione. Freschezza e tannicità ne stabiliscono la persistenza con originale slancio gustativo. Un vino esaltante di coinvolgete eleganza.
Questo è il Mas De Daumas Gassac che mi aspettavo!
Aimè Guibert, ex fabbricatore di guanti, è divenuto prestigioso viticultore nel sud della Francia nel comune di Aniane nella regione Languedoc. Acquistò dalla famiglia Daumas nel 1970 il terreno e la vecchia dimora colonica vicino al corso del fiume Gassac.
L’intenzione iniziale di Gubert, era quella di coltivare ulivi e mais, in seguito decise per le viti, cosi sottopose il suo terreno alla perizia dell’amico Henri Enjalbert , noto professore ed esperto di geofisica all’università di Bordeaux nonché specialista nel rapporto suolo/uva. Henjalbert entusiasta scoprì essere suolo di Grèzes litèes, formato da detriti stratificati di ghiaia, calcare e argilla, genesi di un ghiacciaio periglaciale.
L’esito della perizia, stabilì essere un suolo addirittura migliore di quello della Côte-d’Or in Borgogna, “il Daumas Gassac, ha un potenziale unico per produrre vini rossi”. Nondimeno attestò che ci sarebbero voluti almeno 200 anni prima che fosse riconosciuto, come Gran Cru, per tanto, si dimostrò sfavorevole all’impianto della vite.
Tuttavia le parole di Henjalbert furono accolte come una sfida da Guibert, e incoraggiato anche dall’enologo Emile Peynaud, già consulente-enologo anche di Chateaux Margaux e Haut-Brion, nel ’70 Guibert impiantò la vite di Cabernet Sauvignon, portando alla luce la sua prima annata del Mas de Daumas Gassac nel 1978.
Vitigni e vino non rientrano ovviamente nel disciplinare dell’appellation d’origine controlée, AOC, della Languedoc. Ma Guibert non volle piegarsi al diktat, il suo mantra è sempre stato: “L’uniformità è nemica della qualità”. Principio ispiratore anche di J. Nossiter nel film cult Mondovino, nel quale proprio Guibert in una scena afferma: “Il vino è morto”.
Il Mas De Daumas Gassac è stato iscritto come “vin de pays de l’Herault”, ovvero comune vino da tavola. Nonostante la vigna e il vino hanno ricevuto negli anni i massimi riconoscimenti, note encomiabili riportate su Times e sull’illustre guida gastronomica francese Gault Millau, che indicano la vigna e vino di Guibert, provocatoriamente come Gran Cru de Languedoc.
Il Mas de Daumas Gassac è un vino naturale, prodotto con 80% di Cabernet Sauvignon e il restante 20%, con dieci varietà di uve non specificate. La fermentazione avviene spontaneamente, la vigna e i vini sono trattati senza l’uso di prodotti chimici di sintesi, il diserbo e la vendemmia sono manuali. Il vino matura in botti rovere vecchie di sette anni, dai 12 ai 15 mesi, e il titolo alcolometrico è 12,5% del volume.
Non abbiate fretta di berlo una volta stappato, decantate il vino con almeno quattro ore di anticipo, i tempi propedeutici o preliminari, chiamateli come vi pare, sono necessari per caratterizzare un vino. 18°/ 20°, un balloon e buona musica, sono sufficienti per appagare i sensi. Il mio brano l’ho scelto, a voi lascio il libero arbitrio.
Mas de Daumas Gassac
Haute vallée du Gassac
34150 Aniane, France
Tel. 0467578845 fax 0467574103
prives@daumas-gassac.com
http://www.daumas-gassac.com
In attesa di un orso… http://www.enotime.it/zooms/d/mas-de-daumas-gassac-rouge-2001
L’orso arriva… 😉
Dovremmo farci qualche bevuta insieme, ovviamente anche con Patrizia
@Massimiliano Montes, sono a Marina di Sorso dal 17 giugno al 15 Agosto, ma farò anche un salto a Roma a fine settembre: vediamo se ci riusciamo. Hai scritto bevuta, non degustazione, vero?
Il concetto, comunque, è questo: quanti vini naturali mi sono piaciuti, sono piaciuti al panel dei miei amici degustatori polacchi (di cui ho tradotto gli articoli dal 2001 per Enotime) senza sapere che erano vini naturali come li concepiamo adesso. Ne abbiamo scritto e parlato senza fare casino. E quanti altri ce ne sono in giro! I migliori Nebbiolo, Barolo, Barbaresco, Brunello e chissà quanti altri vini del nostro Paese sono classificabili naturali, eppure i loro produttori non se ne vantano, non ne fanno una moda, non ne fanno una bandiera commerciale, come Mas de Dumas Gassac. Della serie: parlare poco e fare tanto.Il contrario mi è sempre puzzato di ipocrisia o marchetting (con due t).
@Mario Crosta, con quel “vediamo se riusciamo” io già ci conto eh?
Un caro saluto!
@Patrizia, ti rispondo volentieri. Mi sto facendo di nuovo una base in Sardegna e tu sai benissimo che prima o poi da quell’isola ci si deve passare, come dalla Sicilia, perché sono troppo belle. Per chi sta sulle isole è sempre un piacere ricevere visite di amici continentali ed è per questo che dopo vent’anni di foreste e ghiaccio e neve e freddo cane (anzi lupo) a nord e a est sto cercando di tornare a fare base d’appoggio a Marina di Sorso per chi approda nell’isola. Le bevute lì sono assicurate (le degustazioni scordatevele, tra l’altro non so nemmeno come si traduce in sardo questa parola e comunque vi caccio via se provate a sputare una goccia vino, con tutta la fatica si fa per produrla …), ma anche la carriola per riportare tutti a casa e anche un giaciglio di fortuna accogliente nel caso si sbagliasse porta. Un altro pianeta, vero? Ma questo è il pianeta dei vini naturali, no?
Ancora una cosa, scusa: provo dolore per la chiusura d’ufficio del post precedente, perché chiudere il dibattito per eccesso di animosità è come il riconoscimento di una sconfitta. Te lo dico qui per rendere merito a Patrizia che ha pensato bene di proporre una via positiva, come un brindisi, come dovrebbe sempre essere anche durante discussioni accese e puntualizzazioni necessarie, per sedare animosità perfettamente inutili e quindi fuori luogo. La polemica del vino deve essere condotta fino in fondo, deve essere precisa, non lasciare ombre, ma c’è una soglia da non varcare mai: la piacevolezza del discorrere, come quella di un vino. Sono fuoriuscito da altri siti che sonio condotti in modo diverso, che hanno un’altra filosofia, proprio perché la contesa tra i commenti era come una battaglia a tirarsi addosso le bottiglie (vuote, spero!) e ci perdevo soltanto del tempo. L’argomento naturalità mi attrae, ma non mi piace proprio quando amici veri che operano da anni nel settore del vino e proficuamente, a vantaggio della naturalità e della salubrità, mi scrivono che in quell’ambito ormai c’è una litigiosità infinita e che se ne tengono ben lontani, come se ci si fosse passata la parola che lì ci sono gli appestati. Ecco.tutto. Riportiamo il dibattito alla semplicità e alla capacità descrittiva che è davvero favolosa in articoli come questo, di cui sono affascinato, di cui mi sono sentito parte (ecco perché ho mandato quel link).
@Mario Crosta, gran bella persona 🙂 grazie!
Non ho mai sputato un goccio di vino, preferisco fermarmi semmai o tutt’al più una bella sbronza, di quelle che non mi fa smettere di ridere, bellissima sensazione… garantito!
Spero vivamente di conoscerti.
Ciao
@Patrizia, io da cinque anni devo fermarmi comunque, per via del cuore. Ho una cardiomiopatia dilatativa, volevano pure trapiantarmelo, poi si è ripreso grazie alla dieta e alle pastiglie e adesso porto un ICD, ma forse è meglio così: avevo la sbronza triste. Lo champagne in abbondanza mi faceva pure piangere da ragazzo, come mi ha raccontato mia madre. Secondo il professore non dovrei bere una bottiglia intera al giorno e durante i pasti (i famosi due calici). Ne bevo una, invece, per non lasciarla aperta. Raramente sforo, ma non posso più superare la soglia come una volta, devo limitarmi comunque. Ho ancora tre o quattro anni davanti in cui si deciderà, se il cuore continua ad andare bene in questo modo, di abbandonare anche l’idea di un trapianto. Oltre i 64-65 anni in Polonia di trapianti non se ne fanno, da una parte sarebbero inutili per via dell’invecchiamento anche di tutti gli altri tessuti cui si connetterebbero e dall’altra parte, data la scarsità di donatori, è meglio lasciare i pochi cuori disponibili a gente più giovane. Ho deciso di inserire questo commento non senza pensarci su due volte, ma poi ho preferito farlo, anche perché la sincerità, secondo me è rivoluzionaria. Infatti i due professori che mi hanno in cura sono rimasti scioccati, sorpresi, dalla capacità di ripresa di questo cuore dopo un mese in cui ho fatto una cura ricostituente a mezzo litro di Prosecco a ogni pasto. Per questo mi stanno tenendo particolarmente sotto osservazione: il vino naturale e più leggero mi tiene le coronarie libere, permette una benefica ossigenazione impossibile con gli alcoolici o con vini troppo medicati e alcoolici.
Quando si parla di qualità del vino, di qualità della vita, bisogna tener presente anche questo aspetto della salubrità di ciò che beviamo e mangiamo e della possibilità di evitare il più possibile le medicine finché ci si può curare in modo alternativo. La scelta di produttori come Guibert è determinante per dimostrare che si possono ottenere risultati eccezionali con un’enologia libera da pastrocchi e anche quelli che qualche pastrocchio lo usano, secondo me è proprio da Guibert e dagli altri come lui che possono capire che conviene ridurli al minimo se non addirittura rinunciarvi.
Bisogna scriverne tanti di articoli come il tuo su questi eccezionali vini naturali. E’ il modo giusto per far del bene anche ai malati come me e per rinnovare daccapo l’enologia che aveva intrapreso una strada infelice. Si credeva di migliorare i vini per via farmaceutica. Guibert dimostra il contrario. Grazie, Patrizia.
@Mario Crosta,
Il dibattito è sempre utile. Si impara sempre qualcosa.
Soltanto con la discussione si può fare chiarezza, certamente non nascondendo la polvere sotto al tappeto, come alcuni produttori/organizzatori di fiere vorrebbero fare.
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Di vino naturale è bello parlare ma anche strano, perché credo che sia una spia della decadenza e della corruzione di tutta la nostra società.
Fino a una trentina di anni fa non esistevano lieviti selezionati, enzimi, e quant’altro.
La chimica in enologia è un’acquisizione relativamente recente.
Fino a una trentina di anni fa tutti i vini erano naturali. sarebbe stato superfluo (e stupido) specificarlo.
Le migliori annate di Chateau La Tour o di Romanée-Conti del secolo appena trascorso sono tutte state fatte con metodi assolutamente naturali. E sono dei grandi vini.
Il fatto che oggi dobbiamo specificare come viene fatto il vino mi sembra pura follia.
Frutto di un mondo folle in piena decadenza.
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Bevuta certamente. Non degustazione. Col massimo rispetto per il tuo cuore, ovviamente.
Patrizia mi raccomando…
@Massimiliano Montes, mi trovi d’accordo in pieno con tutto quello che hai appena detto, perché risponde esattamente a un fatto che ho rilevato in questi 43 anni di bevute e che ho confidato spesso a molti produttori anche famosi e cioè che ad ovest non trovo più il vino di una volta e assisto ad un’omologazione che elimina le eccellenze. Per questo mi limito a cercare all’Est e curo una rubrica sui vini dell’Est. Anche voi che avete recentemente scoperto i vini georgiani potete confermarmi appunto che ad Est ce ne sono ancora molti di vini naturali (perché gli enologi costano e i prodotti che usano anche, meglio fare il vino come lo faceva il nonno, rinnovando semplicemente le attrezzature obsolete). Ma come ha ricordato Patrizia con questo articolo e come ricordi tu parlando dei grandi Borgogna, invece, queste esistono ancora qua e là ed è proprio da queste che l’enologia deve partire per farsi l’autocritica sulla strada che ha percorso negli ultimi trent’anni e rinascere daccapo. Questo volevo dirvi perché è per questo che sono venuto qui volentieri a dare una mano.