Io so che il dubbio vi tormenta da tempo.
Io so che l’enigma vi assilla.
Io so che ci avete passato lunghe notti insonni a interrogare il cielo stellato.
Io so che ci avete litigato col sommelier dell’osteria salesiana (chiunque esso sia), col vostro cane e persino con vostra suocera.
Io so, Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi.
Ma so che vi chiedete: “ma la Mourvèdre in purezza, ma come cavolo sarà mai?”
Stiamo parlando di un’entità misteriosa evocata agli esami da sommelier o quando volete fare gli splendidi ed annichilire la discussione a tavola sullo Sciatoneufdupap.
Io so che è la vostra arma finale. Quando con fare blasé sganciate la bomba che non ammette repliche: “cavolo come si sente la “Mourvèdre” in questo vino. Seguono cenni di assenso convinto da parte dei commensali.
Ma vi capisco, in questo caso bleffare è d’obbligo: provate un po’ a chiedere una Mourvedre in purezza al vostro enotecaro di fiducia: o chiama la polizia o vi porta subito nel retrobottega per darvene un po’ di quella buona (“è quella che usa Lapo”).
Importata dalla Spagna – dalla città di Murviedro – nel tardo medioevo e diffusa ampiamente in tutta la Francia mediterranea, questa varietà fu decimata dall’arrivo della filossera poiché difficile da innestare sui ceppi resistenti al bastardo parassita americano.
Per decenni è sopravvissuta solo nei suoli sabbiosi (e dunque a prova di fillossera) di Bandol, praticamente in riva al mare.
Dei portainnesti compatibili con il vitigno furono sviluppati solo dopo la seconda guerra mondiale,
e Jacques Perrin fondatore di Château de Beaucastel, che ha guidato la rinascita dello Châteauneuf-du-Pape, fece della Mourvèdre l’uva predominate nei suoi vini rossi. Dalla fine degli anni 1960, gli ettari totali nel sud della Francia sono aumentati in maniera esponenziale anche perché si tratta di un vitigno tardivo che fiorisce con il caldo estivo, e questo ritardo lo rende meno vulnerabile alle gelate primaverili. Inoltre, non richiede grandi cure e dà una buona resa.
Ecco, siccome Io so, adesso ve lo dico io com’è sta roba in purezza: colore mattone scarico, più trasparente dei vestiti da sera di Beyoncé, consistenza media (natural unfiltered), naso timido con spiccata prevalenza di note animali (gatto bagnato) e terrose di humus e sottobosco.
In bocca, ha un’acidità spiccatissima, tannini al velluto e media sapidità. Ne esce un vino abbastanza scombiccherato impossibile da bere solo e adattissimo alla tavola, e dunque ieri sera, al colmo dell’enodelirio, ho tentato io stesso il blend con una Grenache autoctona del sud di Francia. Percentuale 50/50%: il colore ne è uscito solo un po’ più carico ma il gusto era decisamente più equilibrato.
Della serie: se lo mischiano c’è un perché, ed io (adesso) lo so.
P.S. Naturalmente i prodotti utilizzati per “Il Piccolo enologo” sono vini naturali francesi dell’Herault, terra del leggendario Mas Dumas Gassac.
L’Immiscibile du Mas Laval
http://www.maslaval.com
Green H di Benoît Braujou Vigneron irréductible del Languedoc-Roussillon
http://www.fons-sanatis.fr
L’Immiscibile mischiata con la grenache de L’irréductible… corsaire 🙂
Interessante. Io vivo nella terra prediletta del (notare il maschile) Mourvèdre, cioè Bandol, e mi permetto umilmente di correggerti, il vitigno qui cresce su suolo argilloso calcareo sulle colline che danno sul mare, e non in terrreno sabbioso. Infatti, il vino prende il nome dal porto dove veniva carivcato sulle navi, mentre le vigne sono tutte nei comuni adiacenti a Bandol.
C’è qualche estremista che lo fa in purezza. Ma in genere viene assemblato con grenache, cinsault e magari carignan. Questo per tradizione e per logica enologica. Nei climi caldi hai vari vitigni che maturano in periodi diversi, questo ti permette di gestire meglio le vendemmie. E comunque in questi climi nessun vitigno in purezza da risultati affidabili (ci sono eccezioni, sempre). Il blend ha una logica tutta sua. Non si tratta quindi di “correggere” vitigni che da soli non stanno in piedi.
A Chateauneuf il mourvèdre è troppo a nord, ed è capriccioso (solo Beaucastel ne abusa, anche bene), mentre a Bandol praticamente tuttte le annate vengono perfette, e viene usato al 50-80% nel mix. Fortunatamente il brett che veniva dato per “tipicità” sta sparendo (era dovuto al fatto che molti avevano le botti più vecchie delle vigne…)
Se hai l’occasione di venire per di qui, bussa che ti porto dai migliori (che non sono quelli di cui si parla, necessariamente – vai dai mitici Ott e Pradeaux e assaggi Bandol… mediocre).
Mi raccomando, IL mourvedre ;-))))
grazie delle notizie Mike…certo che passerò a trovarti…passo ogni anno da quelle parti a fine luglio…ti scriverò su FB….un caro abbraccio….Armando
ti aspetto.
Bravo Mike mi hai tolto …il bicchiere di bocca ahahha .Il regno del Mou e’ Bandol ( sia rosso che in versione rose’) perché più a nord il suo bel carattere diventa spigoloso ,in purezza e’ una sorta di eresia e come tale meritevole ahahaha . Un vitigno che adoro ma e’ bene ricordare che ha bisogno che il tempo si accomodi ed aspetti che Mou sia pronto e magari maturo.
Grazie Armando per aver ricordato questo fantastico vitigno.