Non solo in botte scolma ma con tre dita di fioretta che ricopre la superficie del vino.
Una modalità di vinificazione tradizionale dello Jura, la piccola regione del sud-est francese dove il tempo non passa e il vino viene ancora fatto con metodi quasi arcaici.
L’incontro con quest’annata di Puffeney è stato quasi mistico: il Vin Jaune 2005 ha delle caratteristiche assolutamente particolari che lo rendono unico.
Da uve savagnin vendemmiate in piena maturazione, ha un colore giallo dorato.
L’intensita e la personalità sono quelle di un vino fortificato, tipo Sherry, senza però essere realmente fortificato (ovvero senza aggiunta di alcol).
Completamente secco, senza alcun cenno di residuo zuccherino, è di buona alcolicità (15% in volume) e con degli aromi netti e puliti a metà tra ossidazione e frutta secca.
Sa di datteri, legno stagionato, passiflora, tutto condito da sottili note speziate, esotiche, eteree.
Al palato è una lama, di consistenza elevata, amplia l’immagine gustativa, la irrobustisce. Non ha un’acidità vivace ma la persistenza gustolfattiva è stratosfericamente lunga.
Nonostante l’apparente “pesantezza” è un vino che invita a riempire nuovamente il calice, anche perché stimola la curiosità aromatica, nel costante tentativo di comprenderne aromi e sfumature.
E’ assolutamente atipico come vino, e lo vedrei molto bene con formaggi stagionati o semistagionati. Il suo corredo aromatico muta drasticamente in base all’abbinamento, sembra eccessivo ed invadente col pesce fresco, si sposa perfettamente con i piatti complessi e, come dicevo prima, con i formaggi.
Questo inusuale profilo è dato oltre che dalla lunga maturazione in botte scolma e dalla fioretta che vegeta in superficie, da molecole complesse della famiglia dei “lattoni” che negli anni si formano a partire dall’alcol etilico, in particolare il Sotolone.
Jacques Puffeney possiede quattro ettari e mezzo di vigne a Montigny Les Arsures, Arbois, e Villette des Arbois.
Il Vin Jaune da disciplinare si produce solo con uve Savagnin in piena maturazione. Il vino va lasciato in tini da 228 litri, scolmi per un quarto, per almeno sei anni e mezzo. Questo 2005 invece è rimasto ben otto anni in botte.
La vendemmia è manuale, la fermentazione spontanea, e, ovviamente, non è filtrato ma si illimpidisce perfettamente per semplice decantazione.
Jacques Puffeney
11 Rue du Quartier Saint-Laurent
39600 Montigny-lès-Arsures
Francia
Mi piace scoprire cose nuove e mi piacerebbe assaggiare questo vino che descrivi così bene, ma mi piace ricordare anche le nostre tradizioni.
Nella mia terra, in Sardegna si produce la Vernaccia di Oristano che vi inviterei a degustare.
Due anni fa ho avuto la fortuna di assaggiare, da alcune botti del “fondatore” di una cantina storica di Oristano, un vino eccezionale e sono rimasto affascinato..
Se qualcuno avesse voglia di scoprire di più:
http://www.brindisola.com/brindisola/speciale-cantina-contini/286-la-vernaccia-miracolo-di-vino.html
@Giancarlo Ripa, hai ragione Giancarlo. Oggi abbiamo abbandonato i sapori e i profumi veri in favore di un coca-cola-style internazionale che ha appiattito tutto.
Sta a noi ricominciare a emozionarci, anche bevendo un calice di vino.
Il problema è che le nuove generazioni sono totalmente annichilite da un gusto che si forma sin dall’infanzia con prodotti industriali, tutti uguali, tutti fatti con gli stessi aromi artificiali.
Il vino naturale ha per sua natura (scusa il gioco di parole) un sapore e degli aromi “diversi”. Veri, sicuramente.
Il coca-cola-style omologante ha anche incancrenito un problema culturale preesistente: la gente guarda con ostilità al “diverso”. Tutto ciò che è diverso da quello a cui siamo quotidianamente abituati viene percepito con sospetto: dall’immigrato al cibo dei ristoranti stellati.
Finche la gente era abituata a mangiare cibo genuino e a bere vino vero questa mentalità “conservatrice”, seppur retriva ed ignorante, poteva anche essere tollerata.
Ma oggi che il gusto si è stravolto, appiattendosi sull’aroma artificiale di vaniglia, sulla coca-cola e sulle merendine del mulino bianco, questo “conservatorismo” alimentare non è più accettabile.
P.S. I vini sardi che più mi piacciono sono quelli di Alessandro Dettori, che riesce a tramandare nelle sue bottiglie gli aromi tradizionali dei vini di una volta senza i difetti dei vini di una volta 🙂
Grande degustazione Massimiliano ,i vini della Jura cominciano ad avere la giusta ribalta e il fratello di un vin jaune e lo chateau chalon.Giustamente e non casualmente Giancarlo ci ricorda la magia della Vernaccia di Oristano …sarebbe bello degustare queste due vinificazioni affini aggiungendo una malvasia di Bosa vinificata secca.
Grazie Enoico, tra Eretici ci si ritrova 🙂
@Massimiliano Montes, sono tornato ieri da Porto Torres, ma ormai laggiù fa così caldo che sono restato soltanto in costa a mangiare pesce e bere soltanto Vermentini di Gallura, vedrò di farmi venire un’altra volta la voglia di salire a Badde Nigolosu a pranzare pietanze di terra e bere eccellenti rossi, forse a settembre. La sera, è tempo di Vernaccia di Oristano (occhio che ce n’è di stagionature in botte di legno per periodi di durata molto diversi…) e la notte è tempo di Malvasia di Bosa, vino d’alcova.
@Mario, da vino da meditazione a vino d’alcova. Mmhhh…. le trascorri bene le vacanze.
@Massimiliano Montes, non mi piace il termine “vino da meditazione”, perché in genere quando si medita si è soli con i propri pensieri e il vino, invece, si gusta molto meglio in compagnia. Vino da conversazione, piuttosto. Dei vini che ho citato nel mio commento non ce n’è manco uno da meditazione.