“O famo strano…?”
Chissà perché all’assaggio del prosecco Colfondo Casa Belfi, mi è venuta in mente l’ormai famosa domanda di quel film di Verdone!
Forse perché faccio parte e vivo nel “tempo moderno” dove il prosecco che conosco è il risultato di una tendenza modaiola, sempre più sofisticato, tecnologico e omologabile, e, se non altro per l’aspetto, sempre più simile ai blasonati spumantoni, tanto da dare dello strano ed estraneo a questo vino.
Io non sapevo che negli anni 70’, prima che fossero introdotte le autoclavi pressurizzate, quasi tutti i vini prosecco e non solo loro, erano rifermentati in bottiglia sui loro lieviti. Scopro piacevolmente un vero e proprio metodo di vinificazione, una pratica contadina, frutto di una radicata tradizione. Vini volutamente rustici, fatti in modo semplice, senza fronzoli, trucchi o manipolazioni di sorta, destinati all’uso intimamente familiare o tutt’al più al consumo conviviale in compagnia degli amici.”
“La Sampagna”, la chiamano ancora cosi i contadini veneti, forse per via di quelle vivaci e solleticose bollicine prodotte dai lieviti, talmente gradevoli da ricordare le nobili bollicine d’oltralpe, oggi sono chiamati “vini sur lié”. Chi sa bearsi di sane bevute di vino rifermentato sur lié, narra di un vino delicatamente profumato e frizzante, per nulla brillante, che da alcuni sarebbe definito torbido – io dico annuvolato – fosco e concentrato, il vino mostra con fierezza il sedimento sul fondo della bottiglia di vetro trasparente e prima della mescita, va addirittura delicatamente agitata per favorire la sospensione dei lieviti. Di piacevole beva, in bocca si ha quasi una sensazione di croccantezza.
Uno dei fortunati che ha conservato questo ricordo dal nonno, è Maurizio Donadi enologo dell’azienda Casa Belfi a San Polo di Piave (TV). Il Colfondo Casa Belfi è una tradizione tutta trevigiana, Maurizio ha impegnato e impiegato tutte le sue risorse sia con la sua laurea di enologo che con la conoscenza della coltura biodinamica, riuscendo a realizzare un vino assolutamente naturale in grado di affrontare anche l’inesorabilità del tempo per deliziare i suoi appassionati estimatori anche a distanza di anni. Un vino davvero singolare.
Per dare vita al Colfondo di Casa Belfi, le uve Glera sono vendemmiate a mano a fine settembre, i migliori grappoli sono pressati in modo soffice e fermentano con i lieviti indigeni a temperature controllate. Terminata la prima fermentazione, il vino trascorre l’inverno – circa sei mesi- in vasche di acciaio. Il vino è imbottigliato in primavera, subito dopo Pasqua come tradizione raccomanda, senza filtrazione né chiarifica e le bottiglie chiuse con tappo a corona, proprio come si faceva una volta.
Il vino pazientemente attende che le temperature miti della bella stagione primaverile favoriscano la ripresa della rifermentazione. Il Colfondo si rianima di briosa vitalità, consumando tutti gli zuccheri residui che diverranno alcol (11%) e anidride carbonica.
Il mio primo incontro con il Colfondo è avvenuto a Venezia non molto tempo fa, poi l’ho rincontrato con gioia a Vinnatur.
Il vino pronto, ha un bel colore giallo scarico satinato, allettante, simile… avete presente il granuloso miele di tiglio?
Al naso c’è l’appetibile fragranza di pane appena tostato, sono nitidi i sentori agrumati ed erbacei, simili a lime, kiwi e alloro che carezzano le narici come il soffio leggero di un’arietta mediterranea. In bocca torna la squisita fragranza, spinta da un’ arguta freschezza. Il Colfondo è citrico e dissetante, mostra nerbo e leggiadra effervescenza, che rende la beva briosa e vitale. Lascia in bocca una persistenza lunga e stuzzicante.
In questo vino naturale, c’è tutto il rispetto della natura che riconnette ad antiche pratiche legate alle tradizioni, profumi e sapori di un tempo lontano che tornano garbatamente accompagnati da un inebriante vortice di vitalità. Versatile nell’abbinamento con le svariate preparazioni gastronomiche regionali, tant’è che mi viene in mente di getto, un’antica ricetta siciliana, semplice e buonissima, “Le sarde Allinguate”.
Pulite e diliscate le sardine, le aprite al centro (devono somigliare a una farfalla), intingetele nell’aceto e imbiancatele con una leggera nuvola di farina, friggetele in abbondante olio evo bollente.
Le sardine allinguate pronte, saranno dorate croccanti e saporite fuori, ma tenere dentro, una tira l’altra ve l’assicuro, penso sia l’incontro perfetto con il Colfòndo, specialmente per il palato dei buongustai. Che ben venga questo ritorno alla semplicità!
E urlato a gran voce… Famolo strano!
Interessante la chicca sul procedimento che si utilizzava negli anni ’70 e interessante la recensione. Grazie
Patrizia, mi fai venire l’acquolina
E non buttate via le lische! mettetele in una fondina, copritele di latte e lasciatele 24-36 ore in frigo. Poi scolatele, passatele in uovo sbattuto e pane grattugiato e friggetele. Saranno croccanti come le patatine, ma naturali, potete servirle insieme alle olive con un Colfondo come aperitivo.
@Mario Crosta,
molto interessante!!!
grazie
A parte il commento precedente, di natura gastronomica, vorrei dire che il primo Colfondo che ho bevuto è stato nel 1966, a 14 anni, in gita col nonno sopra Conegliano, in un’osteria che cucinava le braciole su una griglia del camino e siccome il nonno non era certo povero, gli ho chiesto come mai comprasse quel vino con un’elica di velatura che si alzava dal fondo ogni volta che sollevavo la bottiglia invece di quelli belli trasparenti e cristallini. S’è messo a ridere, s’è acceso il toscano (Garibaldi) e mi ha ordinato un’altra bottiglia di un ottimo Prosecco, ma perfettamente trasparente. Era buono, ma non come il primo. Amo tutti e due i vini, ma mentre sul primo non avrei alcun dubbio per nessun produttore, sul secondo invece di dubbi ne ho sempre, perché ci sono in giro anche delle vere schifezze. Il secondo Colfondo che ho bevuto è stato un Cartizze di Varaschin Matteo del 1978 che mi ha portato in fabbrica il mio capo, Robertto Fontana, e che era la fine del mondo. Chi non lo sa, lo deve sapere: provate il Colfondo e scoprirete un mondo che non conoscevate prima, ma molto naturale, contadino, veneto. E bevetevelo con pietanze altrettanto naturali, non con la roba dei supermercati, ma delle botteghe specializzate, dove i sapori sono più forti e seducenti. Anche con delle alici salate pulite a mano e con lo straccio un po’ umido, non ha importanza, più è un piatto semplice e più lo gusterete. Grazie a Patrizia per avermi dato l’occasione di ringiovanire di almeno quarant’anni!
Brava Patrizia, l’accostamento è interessante ma del resto le classicissime “sarde in saor” hanno caratteristiche similari. Dalle mie parti si è sempre bevuto vino col fondo. Non solo prosecco. Rifermentazioni da ogni tipologia di vitigno, verduzzo, tocai, pinot bianco, bonarda, barbera, malvasia (anche dolce). Damigiane in gran numero arrivavano da veneto e oltrepo’ per imbottigliamenti primaverili che consenttissero la presa di spuma. In cantina potevano saltare tappi scoppiare bottiglie. Sono rimasti in pochi oggi a farlo, ma qualcuno ancora resiste. Il “Sampagna” è anche un interessante surlie di Firmino Miotti da Breganze a base di Marzemina Bianca.
Grazie per i vostri consensi, attraverso i vostri commenti e le vostre curiosità si arricchisce la mia conoscenza.
Ho avuto modo di appurare personalmente quanto scrive Nic Marsel sulle varie uve impiegate per la vinificazine sur liè, chiedendo informazioni anche in merito la famosa “sampagna” ai miei conoscenti sparsi per il Veneto. Pare che nel vicentino con questo sia un vezzeggiativo dialettale con cui chiamano i vini rifermentati sui lieviti, che sia merito del vino di Firmino Miotti?