“Ti faccio assaggiare un vino leggero, da bere fresco come aperitivo”. Mai descrizione fu più ingannevole di questa!
Il Gaio Gaio 2011 di Calabretta è un grande vino. Subito al naso e poi al palato ricorda i grandi Volnay o Pommard di un passato recente. Le note erbacee e vagamente balsamiche insieme ad un sottile goudron che fa tanto Borgogna. Afflati sottili e ondivaghi di amarena e ciliegia, cassis, violetta e ginestra.
Perfettamente temperato e bilanciato, tannini setosi, acidità palpabile ma non esuberante. Ha un finale medio-lungo e fresco.
Perché mi è stato presentato quasi come un vinello? Non so, forse per la sua bevibilità. Compulsiva: se non stai attento te ne scoli una bottiglia in un batter d’occhio. Per le sue trasparenze, per quelle note erbacee e balsamiche.
Tutte queste cose invece lo rendono molto simile a quei Pinot Noir tanto cari a Hubert De Montille, elevati con maestria, in cui il legno non faceva da padrone.
Questo vino proviene da uve nerello mascalese in purezza da vigne impiantate nel 2005 in contrada Calderara, 50% a piede franco e 50% su portainnesto. Contrada Calderara è forse la zona del versante nord dell’Etna che genera i vini migliori, con un perfetto compromesso tra eleganza e struttura.
Il mosto ha fermentato spontaneamente in fusti di acciaio con temperature controllate di 26° circa, ha avuto un contatto con le vinacce di 7 giorni, ed è maturato per circa 18 mesi in botti grandi usate. L’imbottigliamento è avvenuto a giugno 2013. Ne sono state prodotte circa 6.000 bottiglie.
Dell’azienda Calabretta abbiamo già parlato più volte. E’ una delle famiglie più antiche tra i produttori di vino etnei. Con sede a Randazzo, sono stati tra i primi a imbottigliare Etna Rosso invece di vendere le uve, già fin dagli anni ’80.
Massimo Calabretta, papà di Massimiliano attuale conduttore dell’Azienda, era stato soprannominato in zona Gaio Gaio, ed è a lui che è dedicato questo vino. Massimo-gaio racconta di come i contadini etnei abbiano sempre utilizzato metodi di coltivazione che oggi definiremmo biologici e/o biodinamici. I filari venivano concimati con piccole quantità di letame interrate insieme a foglie di felce, per rallentare la cessione delle sostanze nutritive. La potatura delle piante e la raccolta delle uve veniva fatta seguendo le fasi lunari, sistema che evidentemente ha radici e tradizioni profonde e antiche.
L’azienda Calabretta, infine, è una delle poche che consente di degustare annate vecchie e storiche di vini dell’Etna. L’annata di Etna Rosso Doc attualmente commercializzata è il 2004, e ancora si trova in giro per enoteche e ristoranti il 2003 e il 2002. Non è infrequente reperire in alcuni esercizi commerciali bottiglie risalenti agli anni ’90.
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Indecente!!! E’ colui che si chiude dietro un mercato che non propone autentici capolavori come Gaio Gaio un perfetto e armonioso piacere tutto da gustare dal più semplice piatto di pasta con polpette al più complesso filetto di persico in crosta di mele e spek .. Dal sud al nord a tavola non può mancare codesto vino !!! Vivi e migliori complimenti all’ azienda calabretta e a chi decide di mettere nella propria cantina un nettare come questo !!!
La bevibilità è una dote importante per un vino che si vuole consumare a pasto per esaltare i sapori delle pietanze, pulire bene la bocca senza fare a pugni con i sapori dei manicaretti e, non ultimo, aiutare la digestione e non massacrare i reni, anzi farsi pisciare con piacere. Anche la componente salubre fa parte della qualità di un grande vino. Alcuni la chiamano leggerezza. E’ una dote, non un difetto. Difendo l’amico tuo che ti ha detto quella frase. perché mai dovremmo sottovalutare la leggerezza? Dobbiamo imparare a considerare grandissimi vini anche quelli “leggeri”. Il fatto che siano “leggeri” non significa che siano dei vinelli da bottiglione o da tanica di polietilene alla pompa. Se così fosse, la Mosella insorgerebbe con i suoi famosi archibugi caricati a sale grosso da miniera e pallettoni. E io con essa!
Ho già scritto da un’altra parte che la moglie (oggi vedova) di Sergio Zenato mi offrì una costosa bottiglia di un Lugana da export e io le chiesi per favore di sostituirmela con un’altra del normalissimo Lugana (rapporto di prezzo 8 a 1), che preferivo maggiormente per la sua immediata, piacevolissima, bevibilità e leggerezza, un vinino nei confronti di un vinone. Beh, non avevo aggiunto che Sergio (buonanima) era presente e fece un sorriso larghissimo, indimenticabile come quella del gatto del Cheshire… e questo sorriso mi fa commuovere ancora adesso quando penso a quell’uomo con il quale ero in simbiosi istintiva.