Finesse Chardonnay 2012 de Wet

Confiteor Deo Omnipotenti, beatae Mariae semper Virgini, beato Michaeli Archangelo, beato Angelinus Maule, sanctis Apostolis Nicolaos Joly et Francus Cornelissen, omnibus Sanctis et vobis, fratres, quia peccavi nimis cogitatione, verbo et opere, mea culpa, mea culpa, mea maxima culpa… Insomma: confesso, ho fatto una cazzata…

Ma andiamo con ordine. La visita al supermercato, ogni supermercato, è diventata per me una sfida: crudele, sadica, spietata.
Consiste nel passare in rassegna gli scaffali del vino e guardare tutto con aria schifata, sdegnata, condiscendente, insomma con l’espressione che potrei avere appena uscito da una visita alle fogne di Roma, e alla fine concludere con aria trionfante: fa tutto schifo. Confortato nella granitica certezza che nessun vino convenzionale, da supermercato, mi può anche lontanamente interessare nella mia nuova vita di enocrociato naturalista (i talebani sono astemi e quindi la definizione non va bene).

Ma ieri no, non è successo. Un granellino di sabbia ha bloccato questa meravigliosa routine del venerdì sera. Nella solita picchiata radente a volo d’aquila sui vini del Nuovo Mondo (anatema) lo sguardo ha arpionato una boccia borgognotta: è pesantissima sembra fatta di vetro antiproiettile.

L’etichetta millanta Finesse a 10,09 euro. Il vino viene fatto in Sud-Africa da tale  Danie de Wet, che mette il suo nome a caratteri cubitali sull’etichetta manco fosse Dageneau… rob de mat.. come diceva mio nonno di Caianello.
E vai con la contro-etichetta in inglese. Leggo: in the belief that good vine is made in the vineyard and not in the cellar…ecc. Daniel prefers this wine unwooded (senza legno) to retain the maximum freshness in its full ripe flavours of apple and lemon while its Sur Lie complexity gives a long nutty finish….

La cosa comincia ad intrigarmi:  un’imitazione, con un packaging abbastanza volgare, di uno Chardonnay di Borgogna senza legno e affinato sur lie… –  ahahahahahah risatona sadica e irridente – e li butto questi dieci euro? Massì  va facciamola sta follia….

A casa prima di preparami  al nobile sacrificio del lavandino, mi documento: il vino viene fatto da una megacantina sudafricana proprietà della famiglia De Wet dal 1694,  http://www.dewetshof.com con tanto di casa coloniale tipo Via col vento e tantimila ettari a perdita d’occhio nella Robertson valley (non lontanissimo da Cape Town). Irrigano le viti, usano lieviti selezionati, chiarificano con la caseina, insomma c’è da scatenare l’inferno, in compenso dichiarano tutto (anche la caseina in etichetta) ed anche la solforosa totale per questo vino (44 mg litro).

Tuttavia Danie de Wet, proprietario assoluto e maestro di cantina è un graduate of the Geisenheim Institute in Germany, one of the world’s leading centres for the study of viticulture and cellar technology, (ovvero ha studiato nella migliore università enologica mondiale per i vini bianchi, culla della cultura del Riesling e della biodinamica in Germania) viene aiutato dai figli Johann (viticulture and marketing) e Peter (winemaker).

Un dubbio si insinua: per me Geisenheim è come Gerusalemme, ho bevuto solo vini ottimi dai vignerons che sono usciti da quella scuola.
Lo servo comunque freddissimo, per evitare un impatto troppo devastante coi miei sensi: al naso è delicato ed elegante, prevalgono i lieviti, e quindi la crosta ti pane, ma c’anche molta frutta gialla matura e note agrumate, insomma è gradevole, complesso, fine.

Al palato, dopo un primo assaggio, decido di non lavandinarlo immediatamente, insomma a 7 gradi si può bere. Comincio a sbocconcellare la mozzarella di bufala bevicchiando con circospezione e il miracolo avviene a circa mezz’ora dall’apertura, quando il vino arriva intorno ai 14 gradi (quindi caldo per quella che dovrebbe essere una schifezza galattica). Ebbene, invece di divenire imbevibile, il Finesse si sveglia comincia a correre e cantare con dinamica progressione: lieviti, freschezza e sapidità sono perfettamente bilanciati e chiude con un bel finale di discreta persistenza segnato da un lieve amaro di nocciola, tutt’altro che disprezzabile. Per farla breve: ho dovuto tappare e nascondere la boccia in frigo per evitare di scolarmela da solo.

Impressione complessiva: il vino è ben fatto, si beve bene è digeribilissimo e molto piacevole a tavola. Resta l’impressione di un’esecuzione fredda e lineare,  precisa e asettica. Manca quel pizzico di emozione picassiana che un vino naturale può  trasmettere. Sembra una scultura di Canova.

Confesso che ho molto peccato in pensieri parole opre e omissioni, che non berrò il quartino che resta e che non lo comprerò  mai più. Perdonatemi se potete.

 

4 thoughts on “Finesse Chardonnay 2012 de Wet

  1. graziano

    devo confessare che avendo avuto una enoteca ho dovuto mescolare la passione a necessità e di conseguenza girovagare per ipermercati, e sbirciando la rivista BBS – Ovvero: Bere Bene al Supermercato Avvinando , ho notato che anche la vendita al supermercato si è di molto raffinata avendo anche dalla loro un’arma molto convincente il denaro e la capacità di affidarsi ad esperti del tuo calibro, faccio un esempio alcuni anni or sono il responsabile organizzativo (Sommellier) dei corsi AIS al Wetin Palace di Milano era il responsabile reparto beverage della Metro di Cinisello il suo capo effettuava anch’esso corsi Ais………………………….ma questo probabilmente lo sai già.

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  2. Nic Marsél

    Dato che dichiarano TUTTO in etichetta (irrigano le viti, usano lieviti selezionati, chiarificano con la caseina, solforosa totale), ed essendoti pentito del tuo gesto, il tuo peccato dovrebbe essere perdonabile. Tuttavia l’indulgenza può giungere solo dal Pontifex Maximus.

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