Passo a trovare Rori Parasiliti. “So che hai qualche novità rispetto all’ultima volta che ci siamo visti”, lo apostrofo. E lui con la solita sobrietà mi risponde “qualcuna”. In realtà di novità ce n’è più d’una, tra cui un rosso che darà del filo da torcere ai vini più blasonati, senza tema di esagerazione.
Il primo approccio in cantina, immediatamente entrando, è con una cesta che contiene delle strane bottiglie che appena mosse diventano opalescenti, rosa brillante. Mi sento come un bambino col nuovo giocattolo in mano.
E’ un metodo ancestrale, risultato di una sola fermentazione alcolica che termina in bottiglia. Col manometro Rori misura la pressione del vino, poco meno di 3 bar. Quasi quanto un Satin.
Rosa rubino intenso, dai colori vibranti e a tratti cangianti, opalescente perché non filtrato. E’ una ostentazione di giovanile freschezza ed esuberanza, con un naso pulito e lineare, sobriamente fruttato, tenuemente vegetale, con ricordi minerali in retrolfazione.
Di una virginea brillantezza, che prosegue placida durante il sorso. E’ un vino che induce ad una golosa bevibilità senza scadere nel banale.
Proseguendo tra gli assaggi della cantina, ampia, ordinata e pulita come poche, intravedo due damigiane di vetro.
“E’ ciò che è rimasto da una nuova vigna che ho rilevato, in contrada Barbabecchi, oltre gli 800 metri di quota sul livello del mare. L’anno scorso è stata funestata dal maltempo ed abbiamo potuto vendemmiare solo questo”, mi dice Rori.
Aspira con la pipetta un paio di calici e si sofferma con me ad annusare e trangugiare.
Quello che annuso e bevo rappresenta quasi il mio vino ideale, colore rosso rubino con l’unghia granata, ricco di meravigliose trasparenze. Al naso ricorda tutti gli aromi varietali del Nerello etneo, dai piccoli frutti rossi alla melagrana, alle tipiche speziature, al torbato, misto a quella sapidità etnea che occhieggia di nuovo in retrolfazione. Tutto equilibrato ed elegante, senza eccessi, con una buona acidità al palato che supporta una netta e precisa conferma degli aromi di apertura, di lunga persistenza e ottimo ricordo gustolfattivo.
Se queste sono le premesse il Barbabecchi SRC sarà uno dei migliori vini rossi italiani, e non solo.
Infine, a cena dal sempre eccellente Leonardo Pennisi allo Shalai di Linguaglossa, l’altra sorpresa è il Pirao.
Un bianco da uve Carricante, con una breve macerazione, contatto con le bucce per 2 giorni, non filtrato. Riesce ad unire la freschezza aromatica del Carricante con una maggiore intensità e persistenza gustolfattiva data dalla breve macerazione e dall’omessa filtrazione. Rimango sempre dell’idea che la filtrazione sottrae qualcosa agli aromi, e che le brevi macerazioni siano la chiave di volta per ottenere grandi vini bianchi.
Di SRC e di Rori Parasiliti avevamo già parlato, i suoi vini viaggiano tra 4 e 8 mg/l di solforosa totale per i rossi e i rosati e non oltre 30 mg/l per i bianchi. Da vigne particolarmente vocate sul versante nord dell’Etna, sono tutti vini da fermentazione spontanea senza additivi enologici eccetto piccole dosi di solforosa per i bianchi.
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Etna: SRC, il vino intellettuale di Rori Parasiliti
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