Dove eravamo rimasti?

Avrei voluto parlarvi dell’amico Frank Cornelissen, del piccolo gigante Piero Badalucco, della new entry (o quasi) del naturale Battista Belvisi, del nuovo rifermentato di Paola Lantieri. Ed eccomi, nonostante gli scherzi del destino e i furbetti/e del quartierino, mascalzoni e criminali, eccomi qui alla faccia dei corvi (cit.)

Frank Cornelissen dicevamo. Nonostante le polemiche che lo seguono sempre, e l’abbandono di Villa Favorita che non condivido, continua a stupirmi.
A maggio, ospiti dell’ingegnere etneo della porchetta Enzo Raneri, con un bianco strappalacrime, il Munjebel 2015. Bianco da inginocchiatoio, 60% Carricante, 40% grecanico dorato e altri vitigni a bacca bianca: un vino da meditazione. Una mirabile contaminazione di tenui profumi fruttati e mielosi che richiamano alla memoria uve semiaromatiche, insieme a sentori di ginestra, fiori di campo, scorza d’agrume, cementate da una sulfurea mineralità tutta etnea. Al palato l’acidità è palpabile e la retrolfazione orientata ad una intensa mineralità.

Munjebel 2015, Frank Cornelissen

Munjebel 2015, Frank Cornelissen

 

Munjebel 2015 Frank Cornelissen

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In epoche più fresche il buon Frank assesta la sua stoccata con un Munjebel rosso CS 2014. Il Munjebel viene imbottigliato da uve provenienti da singoli vigneti, indicati con una sigla apposita in etichetta. Il CS è prodotto da uve di contrada Chiusa Spagnola, a 620 metri di altezza sul versante nord dell’Etna.

Munjebel 2014 CS, Frank Cornelissen

Munjebel 2014 CS, Frank Cornelissen

Chi lo definisce “spremuta di Etna in purezza” non sbaglia, perché è proprio questo: non si conosce l’Etna se non si conoscono i vini di Frank. Nerello Mascalese da vigne a bassa resa (20-25 quintali per ettaro), esprime una concentrazione di aromi che non ha pari, senza affinamento in legno (il legno serve a fare gli armadi, non il vino, ama dire il buon Frank). Nobile, sobriamente emozionante, ricorda l’eleganza di certi Pinot Noir di Borgogna. Il paragone non vi dovrà sembrare eccessivo, la sua fine tessitura e la sua complessità senza eccessi, mi hanno fatto tornare alla memoria alcuni borgogna di madame Leroy non affinati in legno, vini che con un termine equivoco vengono identificati come produzione di base della cantina. Stranamente il Munjebel, pur in assenza di affinamento in legno, rivela una concentrazione e una complessità aromatica, con incredibili note terziarie, di gran lunga superiore a qualsiasi altro vino che non passa da botti o barriques, superiore anche ai vini base della madame Leroy.

Orange 2016, Abbazia San Giorgio

Orange 2016, Abbazia San Giorgio

L’Orange 2016, altra spremuta, questa volta di Zibibbo di Pantelleria. Vinificato secco da Battista Belvisi e Beppe Fontana (Abbazia San Giorgio), ci inebria con il suo profumo intenso d’uva matura, sentori di fiori bianchi, scorza d’arancia e miele che giocano a rimpiattino con più seriose note minerali e vulcaniche. L’Orange proviene da antichi vigneti ad alberello allevati nella terra nera di Pantelleria ancora con metodi ancestrali. Vinificato senza alcuna aggiunta, nel senso letterale del termine: niente lieviti, né additivi, né andidride solforosa, con macerazione di oltre 15 giorni. Il naturale per antonomasia.

Lantieri, Malvasia delle Lipari frizzante

Lantieri, Malvasia delle Lipari frizzante

E poi, ma di che vi parlo se ancora non è in commercio, la Malvasia delle Lipari rifermentata in bottiglia e non filtrata o sboccata, delizioso frizzantino di Paola Lantieri che merita sprone ed elogio. Perdonatemi se lo penso e lo dico, ma va in diretta competizione con i migliori prosecco naturali non filtrati, soprattutto con quelli che sfruttano tecniche di maggiore estrazione e macerazione.

Al gigante Pierpaolo Badalucco, Dos Tierras, dedicheremo invece nei prossimi giorni un post dedicato e meritatissimo.
À bientôt!

 

11 thoughts on “Dove eravamo rimasti?

  1. Nic Marsél

    Avevo quasi perso la speranza. E adesso sotto col lavoro che si sono un sacco di bottiglie da svuotare 🙂

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