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Vini naturali e vini artificiali?

Fa piacere notare come la polemica sui vini naturali non sia soltanto un melodramma italiano.

La visita dei funzionari dell’Ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi all’Enoteca Bulzoni di Roma non è passata inosservata. Giornalisti e blogger stranieri hanno ripreso l’argomento, rivelando sentimenti contrastanti in merito, che vanno dallo stupore ironico alle infervorate difese dell’una o dell’altra ragione.
Per i non addetti ai lavori gli ispettori dell’ICQ hanno contestato a Bulzoni alcuni scaffali espositori con la dicitura “Vini Naturali”, perché a loro dire costituiscono una scorrettezza commerciale. In questi giorni ci è anche giunta la notizia di un’ammenda di qualche migliaio di euro.

La prima cosa che viene da pensare è che stranamente lo stato italiano si preoccupa poco delle sostanze chimiche, legali o meno, presenti nelle bottiglie che beviamo ogni giorno, e molto di più di diciture ed etichettature: quanta gente pagata per occuparsi più della forma che della sostanza.
La seconda cosa che lascia perplessi è questo accanimento terminologico (ed ideologico) nei confronti del vino naturale, sembra quasi che questo piccolo mondo di cultori ed appassionati faccia paura a qualche grosso squalo.

Coma fa notare sul suo diario Francesco Maule, Wikipedia non si pone tanti problemi legali o linguistici, e ci spiega chiaramente cosa è il vino naturale: “Il vino naturale è un vino fatto col minimo intervento chimico e tecnologico nella coltivazione dell’uva e nella sua trasformazione in vino. Il termine è usato per distinguere questo vino dal vino biologico. Il vino biologico è tale in quanto è stato prodotto da uve coltivate con metodi biologici, ma può essere soggetto a manipolazioni chimiche e fisiche nei processi di vinificazione.”
Wikipedia entra addirittura nel merito della differenza tra vino biologico e vino naturale.

Sul dizionario della lingua italiana si legge: “Naturale = Non artificiale, non alterato, genuino, aromi naturali, che non ha subito alterazioni o sofisticazioni di alcun genere.”
I detrattori del vino naturale invece interpretano l’aggettivo naturale come una totale assenza di intervento umano: “il mosto in natura diventa aceto” è una delle tante frasi a effetto che sistematicamente vengono proclamate.
Tale interpretazione è evidentemente faziosa e fuorviante, anche alla luce delle semplici e chiare definizioni di Wikipedia e di un banale vocabolario della lingua italiana. Naturale non significa che l’uomo non ci mette mano, ma che l’intervento umano non snatura le caratteristiche originali, non sofistica (letteralmente parlando) il prodotto naturale.
E’ ovvio che il vino richiede il pieno contributo dell’uomo, ma questo non ci autorizza ad alterarlo e sofisticarlo. Il contributo dell’uomo deve limitarsi a portare in bottiglia al meglio ciò che la natura offre. E’ illuminante la definizione che da di se stesso Nicolas Joly: “Nature assistant and not wine-maker”, assistente della natura e non wine-maker.

Resta da capire il perché di tanto accanimento. Forse le problematiche sono di natura commerciale ed economica: quella dei vini naturali è una nicchia privilegiata, riparata dalle oscillazioni del mercato generalista. Una nicchia in espansione, con la quale i produttori convenzionali non riescono  a competere.

 

Leggi anche: Vini naturali e giornalisti comodi

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26 thoughts on “Vini naturali e vini artificiali?

  1. Nic Marsél

    Massimiliano, ma quali sono i parametri oggettivi e per poter classificare un vino come naturale? Non esistendo legislazione (che anzi vieta l’utilizzo di tale denominazione) ma soltanto una serie di regole assicurate esclusivamente da autocertificazioni (discutibili), o da associazioni (Vinnatur, Vini Veri, Renaissance ecc…) che sono spesso in conflitto tra loro sul merito, risulta evidente che senza un protocollo condiviso, la parola “naturale” associata al vino lasci il tempo che trova e soprattutto la porta aperta speculazioni da entrambe le parti (pro e contro).

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  2. Nic Marsél

    La soluzione è tanto semplice quanto difficile da applicare : nel mondo ideale dovrebbero essere quelli che fanno trattamenti “invasivi” (cosa ricade in questa categoria poi è tutto da capire) in vigna e in cantina a doverli “certificare” (magari in etichetta) e non l’opposto. La parola naturale serve solo ad appassionati e addetti ai lavori per capire spannometricamente di cosa andiamo a parlare e nulla più, ma tecnicamente non identifica nulla.

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  3. Stefano Cinelli Colombini

    Se è vero che sul dizionario della lingua italiana si legge: “Naturale = Non artificiale, non alterato, genuino, aromi naturali, che non ha subito alterazioni o sofisticazioni di alcun genere.” allora io posso tranquillamente affermare che anche il mio vino è genuino, ha aromi naturali e non ha subito alterazioni o sofisticazioni di alcun genere. Per cui è naturale. Non ho assolutamente nulla contro Vinnatur e simili, ma se gli omosessuali si ribellano (giustamente) di fronte a chi definisce il loro rapporto “contro natura”, perchè non dovrei ribellarmi io se sento che “naturale” è solo il loro vino. per cui il mio sarebbe per definizione “non naturale”? Bene ha fatto l’ICQ a contestare l’apposizione di un termine che pretende di riservare ad alcuni una qualifica che appartiene a tutti.

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    1. Massimiliano Montes Post author

      @Stefano Cinelli Colombini,
      Scusa Stefano, ma tu un protocollo di vinificaziona naturale che vieta l’uso di determinati prodotti enotecnici in cantina lo firmeresti?

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      1. Stefano Cinelli Colombini

        Ma stiamo scherzando? E poi devo firmarne uno per certificare che sono italiano? Io rispetto le norme di vinificazione dell’uva (prodotto indiscutibilmente naturale) fissate dallo Stato e dalla UE, per cui per definizione e legalmente ció che faccio è naturale.

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        1. nico speranza

          Potresti spiegarmi perchè non vorresti una certificazione, come il biologico, che a mio avviso esalterebbe e darebbe un valore aggiunto al tuo prodotto.
          Vi trovo, tutti Voi, molto uniti in questo pensiero e non riesco proprio a comprendervi o meglio lasciate adito ad una condotta offuscata.

        2. Stefano Cinelli Colombini

          @nico speranza, mi pareva di essere stato chiarissimo. Il nome di una cosa non é un orpello inutile, è parte essenziale della sua identità. Ognuno é libero di fare il vino in qualunque dei mille modi permessi dalla legge, ma si ricordi che tutti sono per definizione e legalmente “naturali”. Per cui nessuno può riservare per una parte un termine che è proprio a tutti. Nomen omen. Trovino, se lo desiderano, un altro nome per definire ció che fanno e allora, se lo desiderano, potranno autoregolamentarsi con il totale plauso di tutti. Anche se questa mania burocratica di mettere regole e commi dappertutto proprio non la capisco.

        3. Nic Marsél

          @nico speranza, Non serve nessuna ulteriore certificazione. Piuttosto i produttori dovrebbero essere obbligati ad indicare tutto ciò che è stato aggiunto oltre all’uva. Questo chiarirebbe molte cose. E se poi il consumatore medio non sarà in grado di decifrare l’etichetta, peggio per lui. Che si informi. Del resto nessuno si lamenta degli incomprensibili ingredienti di un semplice doccia schiuma. Eppure sono lì presenti su ogni flacone. E la gente continua ad acquistare doccia schiuma.

  4. Massimiliano Montes Post author

    @Nic Marsél,
    sono daccordo con te. La mia opinione è che i produttori naturali dovrebbero stilare un protocollo comune. Una sorta di disciplinare, in cui elencano i prodotti che si possono usare e quelli vietati, sia in vigna che in cantina.
    Un disciplinare del vino naturale, tecnicamente dettagliato.
    Chiunque si riconosca in quelle regole lo può firmare, ma deve accettare eventuali controlli ed analisi.
    Credo che alcuni produtori naturali ci stiano seriamente lavorando.

    Altra soluzione, e in un paese ideale sarebbe la soluzione ottimale, modificare la legge ed impedire l’uso di certi prodotti enotecnici in cantina.
    Ma quì ci si scontra contro il lobbismo di chi fabbrica e vende i prodotti enotecnici.
    Si potrebbero raccogliere le firme per un referendum che abroghi singole parole o singoli periodi della legge.

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    1. Nic Marsél

      Non solo i prodotti ma anche i processi, e qui diventa dura : filtrazioni, concentrazioni, salassi, trattamenti termici, stabilizzazioni, ecc… Qual è il limite invalicabile? Ma anche tra i “prodotti” bisogna distinguere tra ingredienti e additivi. Considerare solo cio’ che si lega chimicamente al vino e di cui rimane traccia nella bottiglia o tutto ciò che viene a contatto diretto col vino stesso? Mica facile. Il problema è che le cose vanno a rovescio : se uso prodotti chimici in vigna e in cantina (come consentito dalla legge) o qualunque “scorciatioia” enologica, dovrei avere il DOVERE (obbligo per legge) di dichiararlo al consumatore, mentre se vinifico senza niente di tutto questo, dovrei avere il DIRITTO di scrivere semplicemente VINO. Invece oggi se fai vino industriale o convenzionale non devi dichiarare nulla, se fai “naturale” devi essere certificato Bio, e poi biodinamico, e poi essere associato a xxx, e poi autocertificarti e poi….ma perchè???

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  5. Fulvio

    La soluzione è semplice: il mio vino naturale = uva trasformata in vino punto.
    il mio vino biologico = uva trasformata in vino con ausiliari enologici!
    Ma non c’è tanta differenza di prezzo, perché mi rifiuto di partecipare a fiere dei “naturali” e alle varie “associazioni”!
    Per chi capisce, questi sono i miei vini, punto!

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    1. Massimiliano Montes Post author

      @Fulvio,
      “il mio vino biologico = uva trasformata in vino con ausiliari enologici!” enologici ma biologici 🙂
      Ahimé i disciplinari biologici (ma anche biodinamici) consentono di utilizzare praticamente qualsiasi additivo… purchè bio.

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      1. nico speranza

        sono prorio quegli ausiliari enologici che l’industria mette a disposizione per spingere i processi al massimo ed ottenere così i grandi vini blasonati che tutti amiamo.

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        1. Massimiliano Montes

          @nico speranza,
          Blasonati? Gli aromi artificiosi in un vino si riconoscono subito.
          Al Vinitaly giravo tra gli stand con un amico, un vecchio enologo convertito al naturale, anche per merito mio :-), ed era capace di riconoscere anche il marchio dei prodotti enotecnici usati!
          Mi insegnava ad annusare e capire: questo passion fruit lo fa quest’azienda, i sentori di pesca bianca invece li fanno questi altri.
          È stato molto istruttivo. Un grande vino non usa questi trucchi da baraccone.
          Ciao Nico

        2. nico speranza

          @Massimiliano Montes,
          hai perfettamente ragione, infatti l’uso dei coadiuvanti enologici ha il fine di esprimere al massimo la varietà del vitigno, il terroir ecc. Parlavo di sostanze comunque estratte dalla stessa uva che aiutano a svolgere in modo ottimanle i processi del vino. Vorrei essere più chiaro per i limiti che può avere la mia persona. Sono contrario a l’uso di coadiuvanti che portino a prendere delle scorciatoie per ottenere dei risultati, ma, quando un vignaiolo si accorge poco prima dell’imbottigliamento che il suo lavoro non è riuscito a caratterizzare il suo vino per varie incompetenza, cosa gli rimane di fare? Quello che hai provato al Vinitaly!
          Sono fortemente convinto, per il “confezzionamento” di un prodotto quale il vino, occorra: un uva ottima, pulizia in cantina, come è stato detto in precedenza, ma anche studio, competenza e serietà ciò che è alla base di ogni attività professionale.

        3. Massimiliano Montes Post author

          @nico speranza,
          Non credo che l’uso dei coadiuvanti enologici abbia il fine di esprimere al massimo la varietà del vitigno, il terroir ecc.
          Per esempio, quando usi enzimi, liberi pro-aromi legati allo zucchero rendendoli percepibili all’olfatto. Anche se i pro-aromi sono presenti nell’uva, questo procedimento è asolutamente innaturale, snatura il profilo aromatico del vino.
          Naturalmente durante la fermentazione si libera solo una piccola quantità di pro-aromi. Con gli enzimi molte molecole superano la soglia di percezione, specialmente i mercaptani, e tu cominci a sentire nel vino cose assolutamente inusuali (a cominciare dal passion fruit).
          Poi ci sono i coadiuvanti che aromatizzano direttamente: l’eugenolo per conferire aroma di chiodi di garofano è uno dei più usati.

    2. riccardo

      @Fulvio, la soluzione che tu proponi non può semplicemente essere applicata da chi produce vini per essere venduti, bensi (forse e con qualche riserva) per l’autoconsumo. Secondo me la definizione più equilibrata è quella di Francesco Maule : vinificato (con cura) e col minimo intervento esterno…
      Poi si può disquisire all’infinito sui pro e sui contro, su quanto dice il produttore di Brunello di per se anche giusto e veritiero. Teniamo conto tutti di una cosa : che questo vino alla fine va venduto, e per esserlo deve in primis essere buono e corretto. Sarà interesse di tutti portare sul mercato la propria faccia con la foto migliore credo, ma l’eccedere nelle definizioni e microdifferenze e/o disquisizioni, ci può porre gli uni contro gli altri creando solo altra confusione.

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      1. Fulvio

        @riccardo, col minimo intervento esterno dice tutto e non dice niente, sembra la classica presa per i fondelli, perchè poi nei fatti cosa fanno?
        Il vino cosidetto “naturale” certo che va venduto, ma non potrai mai avere una pulizia al 100%, (sia olfattiva, sia visiva visto che non viene filtrato!) giustamente se un vino va “bevuto”, deve essere godibile, altrimenti bevo l’acqua!

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        1. riccardo

          @Fulvio, Concordo pienamente con quanto dici, però quando si parla di “minimo intervento”, non significa lasciarlo grezzo come mamma lo fa, bensì usare accorgimenti anche elementari per renderlo sano prima di tutto e poi godibile per tutti i nostri sensi, quindi un minimo di solforosa che ci vuole sempre anche nel bio, e tanta tanta pulizia. Va comunque ricordato sempre che il vino si fa nel campo, molto prima che in cantina. Se le uva arrivano belle e sane, allora può bastare anche il “nature assistant” per arrivare ad un prodotto come lo intendiamo noi.

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  7. maurizio

    Mi ero ripromesso di non intervenire più sull’argomento, ma lasciatemi dire una cosa: l’idea che si possano riconoscere al naso i lieviti e i prodotti enologici usati e addirittura la marca mi fa scompisciare dal ridere. Il vino è una cosa di meravigliosa complessità, e per fortuna sfugge a queste banalizzazioni. In un’azienda dove abbiamo fatto quattro pied de cuve diversi con fermentazione spontanea (per scegliere il migliore per innescare la fermentazione) uno solo dei campioni aveva un forte odore di banana. Il solito fenomeno avrebbe sicuramente detto: ah, il lievito australiano. Palle.

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    1. Insider

      @maurizio,
      Ciao Maurizio. Io sono l’enologo “convertito” amico di Massimiliano.
      Tu hai in parte ragione, ma ti assicuro che ci sono prodotti enotecnici che si riconoscono subito al naso. Non c’è bisogno di essere “campioni”, qualsiasi enologo scafato li riconosce immediatamente.
      Nulla a che vedere con la banana del tuo pied de cuve.

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  8. maurizio

    Ciao insider, quali prodotti, ad esempio? l’unica cosa che mi viene in mente sono dei chips di pessima qualità.

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    1. Insider

      @maurizio,
      Caro Maurizio, ci sono prodotti e marchi come dire, di moda, che sono molto riconoscibili. Tra cui alcuni marchi di chips come tu dici. Tutti gli addetti ai lavori sappiamo di quali prodotti si tratta. Non mancherà l’occasione di confrontarci di persona. Lino.

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