Vini di Vignaioli a Milano: l’altra campana

Una dose supplementare d’inquinamento digitale per dare una versione dei fatti assolutamente inutile e non richiesta: quella vera insomma ツ

LA SPUMA DI AFRODITE – Appena salite le scale incontriamo Nino Barraco che ci versa nel bicchiere tutta l’effervescente spuma del torbido Mare Nostrum, anteprima del suo metodo classico da uve Grillo provenienti dalla vigna a ridosso della spiaggia, l’ormai mitologica Vignammare. Sorseggio ad occhi chiusi immaginando la schiuma che diede vita ad Afrodite ed è amore all’istante. Una vecchia cantilena per bambini chiudeva così: “cos’hai bevuto? / l’acqua del mare / buttala fuori / che ti fa male!”. Questa spuma divina non la sputerei nemmeno sotto tortura. Di questo vino si parlerà parecchio.

SICUREZZE – Il pavimento al primo piano della Cascina Cuccagna oscilla paurosamente sotto il peso di mille visitatori. Chiediamo lumi al nostro architetto da Cirò Marina, Francesco De Franco, il quale  preferisce rassicurarci col suo Cirò A’Vita Riserva 2008 (da magnum), una sicurezza che riesce nell’impresa di migliorarsi ogni anno che passa. Purtroppo, come tutte le cose belle, sta arrivando agli sgoccioli. Aspettiamo con ansia la Riserva 2009.

SAUDADE – Assorto, pensieroso, inquieto, con un sorriso al tempo stesso malinconico e furbetto, Giovanni Montisci da Mamoiada sembra un calciatore carioca smarrito nelle nebbie padane degli anni settanta mentre per le strade di Rio si scatena gioioso il carnevale. Dice che non vorrebbe più partecipare alle fiere, che costano troppo e che avrebbe un sacco di altre cose da fare. Anche il suo rosato è indisposto: il viaggio per mare gli ha fatto male e ha sviluppato della carbonica che resiste anche alle rotazioni acrobatiche del mio bicchiere. I Cannonau di Montisci sono quanto di meglio si possa trovare in Sardegna assieme ai vini di Alessandro Dettori. La riserva Franziska 2010 ha una profondità da Fossa delle Marianne, ma stavolta rimango sbalordito dalla beva del Barrosu Riserva 2011 da vigne giovani: una piccola meraviglia per la quale 20 euro si spendono senza eccessivi sensi di colpa. “Miracoloso pingue ventre di botte dove giovane dorme…”

LA BANCA DEL LIEVITO – Sosta da Aurelio Del Bono di Casa Caterina (Monticelli Brusati, Brescia) per incontrare la Franciacorta che non ti aspetti, giocata sul filo teso delle ossidazioni controllate e degli affinamenti che si misurano in ere geologiche. Assaggio il suo prodotto più giovane che fa nove anni sui lieviti. Follia pura. “C’è chi investe in titoli, io investo in lieviti”. Indigeni ovviamente. I suoi vini, come il Pinot Nero Metodo Classico “Brut Sec Demi Out Style 2001” (con ogni singola bottiglia dipinta a mano), o l’Estro (Viognier, Marsanne e Sauvignon blanc) hanno personalità da vendere e non si vendono per poco. Ma come si fa a non amare un produttore così?

L’ESORDIO COL BOTTO – La prima annata messa in commercio è la 2006. Un Merlot acido, scalpitante, spigoloso e terribilmente vitale che non vuole proprio saperne di mettere giudizio. Il “Verdugo Primo” dell’azienda Masiero (Trissino, Vicenza) sta ancora cercando il giusto equilibrio ma possiede la stoffa e l’esuberanza del grande vino. Paradossalmente il 2010, più mansueto e armonico, è già pronto da bere e meglio riconducibile al vitigno d’origine eppure tutt’altro che scontato. Purtroppo il prezzo è decisamente importante: 25 euro sono tanti  per un’azienda così giovane. Tuttavia è in arrivo un Pinot Nero dal costo più abbordabile.

L’ATTACCABRIGHE – Per una volta non vedo in giro beoni provocatori e orde di ragazzi alticci in cerca di  rosso o bianco. Incontro comunque un “Attaccabrighe”, il promettente e fragrante metodo classico non dosato, 100% barbera, Blanc de Noir, 30 mesi sui lieviti di Enrico Togni (viticoltore in Valcamonica). Etichettato come vino da tavola senza millesimo (è comunque un 2010), sta in bilico su un piede, incerto tra freschezza e complessità, ed è proprio questo ad intrigarmi.

I 500 COLPI – Adoro il Ruchè di Cascina Tavjin: un’esplosione di rose e violette con un pizzico di geranio e lavanda che toglie letteralmente il respiro. Ma io reclamo a gran voce del Grignolino e data la mia insistenza, Nadia Verrua afferra una bottiglia di Monferrato Rosso che teneva nascosta e mi avverte: “non dovrei proportelo, è un esperimento che abbiamo fatto quest’anno proprio sul Grignolino, ma visto che ci tieni tanto…”.  Annuso (ahi) e assaggio (doppio ahi). Nadia annuisce sconsolata. Purtroppo qualcosa è andato storto e quelle cinquecento bottiglie non usciranno mai dalla cantina. Per me sono cinquecento colpi al cuore ma lei sembra averla presa con una certa filosofia. Cose che possono capitare ad un produttore. Cose che il consumatore non immagina nemmeno. Chapeau per Nadia, che ha perduto il suo proverbiale basco ma non la serenità.

IN VERTICALE – Il banchetto di Emidio Pepe è sempre uno spettacolo: una parata di Montepulciano d’Abruzzo con l’anno in bella evidenza sulle etichette in vecchio stile. Lo stesso vino proposto in una decina di vendemmie diverse per uno straordinario viaggio che da solo vale il prezzo del biglietto. Il 2003 mi ha stregato per l’insospettata eleganza.

CONFLITTI GENERAZIONALIMarco Rizzardi di Crocizia (Langhirano, Parma) non si dà pace. Il “Sol e Steli” (Sauvignon rifermentato in bottiglia) e il “Balòs” (rosso pétillant da Pinot Nero in purezza) del 2012 non gli somigliano affatto. E sì che sono figli suoi. Lui li avrebbe voluti dritti e verticali come gli altri fratelli e invece quei due scavezzacollo gli si sono rivoltati contro, seguendo i capricci di un’annata calda, ingrassando fino a diventare morbidi e vellutati. Marco è contrariato, perché questi due vini saranno anche buoni (a me piacciono molto) ma non lo rappresentano proprio, tanto che non me li venderebbe se non fossi io ad insistere fino a farlo cedere. Li porto via per cinque euro l’uno pensando che se tutti fossero come Marco Rizzardi vivremmo in un mondo migliore.

L’ACCIUGA NEL BICCHIERE – Ci raggiunge quasi di corsa Denny Bini (bravo produttore di Lambrusco) con un bicchiere giallo dorato di un’azienda della quale non ricorda il nome. Ci metto il naso: “acciuga”. Incredibile. Siamo tutti concordi. Non puzza, intendiamoci, è un gradevole profumo d’acciuga sott’olio quello che si sprigiona tanto distintamente da questo intrigante Catarratto. Ma cosa diavolo ci fa un’acciuga nel mio bicchiere? Siamo sicuri che sia il posto giusto? Sarà soltanto una questione di convenzioni, ma cosa succederebbe se andassi in giro con addosso una meravigliosa fragranza d’acciughe? Suppongo che la mia vita sociale ne risentirebbe in negativo. Punto aperto da riconsiderare e vino da riassaggiare appena possibile.

ACCANIMENTO – Ho grandi aspettative per un produttore che in una zona remota ha impiantato un vigneto su incredibili terrazzamenti lavorati a mano, recuperando un vitigno autoctono quasi scomparso. Una cosa pazzesca che trova conferma nelle foto che mi vengono mostrate al banco d’assaggio. Degusto due bianchi di un bellissimo colore oro carico (mi dicono senza macerazione). Il primo, ancora in divenire, ha un residuo zuccherino un po’ alto per i miei gusti mentre il secondo, già imbottigliato, ha raggiunto un certo equilibrio. Entrambi sono buoni, onesti vini contadini, rustici e genuini, ma niente di più e non riesco a nascondere la delusione. Trenta euro alla bottiglia per qualcosa che, per il lavoro che c’è dietro, potrebbe valere il doppio, ma che assaggiato alla cieca, non sarei disposto a pagare più di un terzo di quel prezzo. Augurando tutta la fortuna possibile a questi accaniti, eroici lavoratori, mi domando se, a valle del risultato organolettico, valga davvero la pena tutta questa lotta ostinata contro le avversità climatiche e le difficoltà logistiche legate alla morfologia di un territorio selvaggio e fondamentalmente ostile. Punto scottante.

UNA NORMALITA’ CHE INQUIETA – Tra ossidazioni, lunghe macerazioni, fecce fini in sospensione, mi imbatto all’improvviso in un bianco “normale”, pulito, limpido, né grasso né magro, non cattivo ma neppure emozionante. Colore, profumi e gusto “standard”, come a non voler urtare l’ipotetico consumatore medio. Da tempo associo tutto questo a rese per ettaro eccessive, lieviti selezionati, vasche d’acciaio, chiarifiche e filtrazioni esagerate e chissà quale altra diavoleria. Insomma alla produzione seriale industriale. Azzardo a chiedere se siano stati utilizzati lieviti selezionati e così in un istante mi gioco l’empatia del produttore. Non assaggio altro, ringrazio e mi allontano sotto lo sguardo sospettoso del vignaiolo (forse è soltanto la mia impressione). Si può produrre un bianco anonimo, di stile convenzionale, anche senza interventi in cantina? Grosso punto interrogativo.

PRODUZIONE PARTECIPATA – Trovo anche alcune note stonate e oltretutto ostentate. Una fila di bottiglie riassume tutto quello che non vorrei trovare in un vino. Prima un bianco con una volatile sopra le righe e un importante tenore zuccherino che mi dicono essere “voluto”. Mi si spiega che l’idea consisterebbe nell’ottenere una rifermentazione in bottiglia con l’arrivo della primavera. “Ma allora perché me lo vendi adesso? Perché se ti piace lo bevi così, altrimenti aspetti un po’ quando avrà sviluppato la CO2”. Una specie di produzione partecipata in cui il consumatore avrebbe un ruolo attivo nel processo di lavorazione? No grazie. Fosse uno sfuso, ma queste bottiglie costano 15 euro accidenti. Proseguo con un secondo bianco che letteralmente mi brucia l’esofago, un terzo che ha un forte retrogusto di formaggio caprino, e concludo con un rosso che odora di scarico del lavandino. Non oso portarlo alla bocca.

L’UNIONE FA LA FORZA – Bello vedere i produttori alla cena del sabato sera intenti a scambiarsi bicchieri e passarsi bottiglie in un clima davvero amichevole e disteso. Arriva anche Arianna Occhipinti a dare ulteriore enfasi e lustro all’evento. Questi vignaioli UNITI potrebbero fare cose importanti ma è solo l’illusione di un momento. Ci si saluta dandosi appuntamento ad Aprile ma mi sento rispondere … “ah no, io sarò a Cerea”, “quest’anno solo al ViViT”, “padiglione BIO”, “Villa Favorita”… Ognuno per la sua strada. Ognuno con le sue buone ragioni. Alla prossima, ovunque sia.

Vini di Vignaioli

.

 

 

8 thoughts on “Vini di Vignaioli a Milano: l’altra campana

  1. Massimiliano Montes

    PRODUZIONE PARTECIPATA. Concordo e condivido! Ci hanno propinato un vino che era andato in arresto di fermentazione. Non per scelta del produttore, ma perchè “boh.. è andata così”. Lo hanno imbottigliato… può rifermentare (da parte di chi…?) oppure no. Se ti piace lo bevi. A me non è piaciuto ツ
    Qualche altro vino, di un altra azienda, aveva volatili da paura… “quando lo servo alla cieca la gente non pensa che sia vino”: parole del produttore. Eggrazie, magari pensano che glielo davi per l’insalata.
    Per fortuna queste sono sparute minoranze, la stragrande maggioranza dei vini era da buona a eccellente.
    CONFLITTI GENERAZIONALI. Delizioso il Balòs! Forse il miglior rapporto prezzo/qualità a Milano.

    Reply
  2. Luciano Ferrari

    Complimenti perché riesci a bilanciare con ironia i pregi (tanti) con i difettucci (pochi). Sono assiduo delle manifestazioni di Christine, da Fornovo a Milano. Trovo la vostra informazione equilibrata e fantastica nonostante dichiaratamente di parte. Un saluto affettuoso.

    Reply
    1. Nic Marsél

      @Luciano Ferrari, Grazie mille Luciano. Secondo me valeva la pena esserci, di qui o di là dei tavolini.

      Reply
  3. Max Beretta

    In generale, tranno qualche rarissimo caso, ho trovato i prezzi dei vini alti.
    In qualche caso giustificati, in altri direi di no.
    Montisci fa sempre vini favolosi, per lui e pochi altri si spende volentieri, in generale penso che quando i prezzi vanno oltre 15 euro, cominciano ad essere troppi o meglio troppi per il mio portafogli 😀

    Reply
    1. Nic Marsél

      @Max Beretta, inutile che ti dica che uno dei momenti top è stato (re)incontrarti 🙂

      Reply
      1. Max Beretta

        @Nic Marsél, ti ricordo che eravamo di fronte a Casa Caterina, quindi la degustazione ha contribuito:-)

        Reply

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *