Un vino biblico. Quando il vino non cambia. Mai

E’ il primo di agosto e tutti si preparano per il grande esodo. Io, invece delle valigie, preparo una cena di commiato a base di pesce di lago per alcuni amici in partenza.

Come al solito ho pensato e ripensato tutto il giorno agli abbinamenti e alla fine ho sistemato in frigorifero una serie di vini che, nelle mie intenzioni, dovrebbero accompagnare ogni piatto, conscio del fatto che il mio programma verrà puntualmente scombussolato dal volere degli ospiti con immancabile beveraggio al seguito.
Accolgo gli amici sul terrazzo, unico luogo praticabile nella canicola che attanaglia il fabbricato, ma non appena mi distraggo per dedicarmi agli antipasti, ecco il mio piano saltare assieme ai tappi delle bottiglie che qualche monellaccio, compulsivamente, apre a tradimento. Tra le tante, riconosco al volo l’etichetta di un’importante azienda biologica veneta che m’intriga alquanto. Si tratta di una garganega in purezza targata 2011, una selezione particolare che non ho ancora avuto il piacere di assaggiare.

Colei che propone l’oggetto dei miei desideri, mi riferisce di basse rese per ettaro (50q), di vigne vecchie, di un fitto sesto d’impianto, di macerazione sulle bucce, insomma tutti argomenti che rendono l’arsura insopportabile. Arraffo un bicchiere e gli schiaffo sullo sfondo il bel cielo ancora acceso. Ed ecco emergere la prima perplessità: trattandosi di un macerato sulle bucce, il colore è davvero troppo scarico. Non mi pronuncio perché non vorrei offendere l’ospite, ma anche al naso risulta deboluccio: c’è soprattutto un ricordo di caramella alla frutta (lieviti selezionati?) che prevarica il delicato bouquet di fiori bianchi sfumato in mela golden non troppo matura.
All’assaggio tre indizi fanno una prova e sono costretto a formalizzare la mia delusione.

Acidità e sapidità sono ben dosate, c’è equilibrio, ma rimango fondamentalmente insoddisfatto. Eppure non ci sono difetti palesi e non c’è nulla di sbagliato in questo vino. Qualcuno lo definisce algido, perfettino, qualcuno bello senz’anima. A mio parere manca di fascino, carattere, personalità. Un vino per tutte le stagioni, o nessuna. La verità è che alla cieca potrebbe essere scambiato per un bianco qualsiasi di una zona qualsiasi di una penisola (o isola) qualsiasi.
Peccato. Comunque la serata prosegue nel migliore dei modi e parecchi sono i vuoti che rimangono sul campo. Sorprendentemente l’unica superstite è proprio la garganega (ne rimane un po’ meno di metà). Quella bottiglia perfettina che si dava tante arie, insomma, ha fatto fiasco.

Passano due settimane e casa stiamo assaggiando dei formaggi di capra da leccarsi i baffi (prima o poi ne dovrò parlare). Apro il frigo e ritrovo la famigerata bottiglia scolma. Concedendole una seconda opportunità, verso poco liquido in due bicchieri. Il colore è il solito: paglierino scarico con riflessi verdognoli, trasparenza perfetta, cristallina. Dopo un inizio difficile dovuto alla bassa temperatura di servizio, ecco spuntare di nuovo, timidamente, la caramella, mentre i fiori si fanno un po’ da parte, lasciando spazio a mela e pesca. Al palato siamo alle solite: omologato, levigato, nessun difetto e nessuna virtù. Praticamente identico a due settimane addietro. Decidiamo di stappare un’Achouffe e di voltare pagina. Passano i giorni e le vacanze sono soltanto un lontano ricordo.

E’ l’otto di settembre quando mi accorgo di avere ancora un goccio di quella garganega in fresco. Mi impongo di far pace con quella bottiglia quasi vuota, che immagino ormai completamente ossidata, e invece quell’impunita mi spedisce dritto coi ribelli sulla montagna. Stesso colore, stessi profumi e stesso gusto riscontrati all’apertura. Incredibile. Questo vino ha un che di biblico. Quaranta giorni d’ossigeno e tentazioni batteriche assortite senza che nulla cambi nel suo profilo organolettico. Un piccolo miracolo. Un vino incorruttibile, immutabile, immortale, eterno. Ma è davvero possibile, senza sofisticazioni?

P.S. Per avere il nome dell’azienda, spedire una vs foto e due esemplari morti di Glechoma Sardoa in busta affrancata, completa di vs indirizzo a:
Tropicana Motor Hotel, Hollywood, California
c/o Nic Marsél
La risposta vi sarà recapitata entro trenta giorni.

 

4 thoughts on “Un vino biblico. Quando il vino non cambia. Mai

  1. Massimiliano Montes

    In tempi di crisi avere un vino che puoi riciclare dopo un mese mica è roba da poco…

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  2. A3C

    secondo me c’era chiarifica + microfiltrazione + un po’ di colorante + solfiti in abbondanza: vino imbalsamato…

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    1. Nic Marsél

      @A3C, bentornato! Hai perfettamente ragione: vini così escono già morti dalle cantine ma sono imbalsamati con tale perizia da sembrare vivi. La GDO è piena di questi esempi : un museo delle cere. Basta fare la prova con una bottiglia qualsiasi di bianco nella fascia da 5 a 10 euro.

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      1. A3C

        @Nic Marsél, ho provato di recente un vino conservato con dosi massicce di Integrape (sedicente estratto di tannini) è rimasto intatto per tre settimane l’ho buttato per disperazione…oltre a essere imbalsamato faceva schifo ai cani

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