In questo post parlavamo della difficoltà, anche da parte di esperti, nel riconoscere fini differenze tra vini, come per esempio le diverse annate. Spesso ciò è dovuto ad un’omologazione che subiscono gli aromi in fase di vinificazione, per omogeneizzarli a uno standard qualitativo.
Ci sono aromi e differenze tra vini, però, che un naso mediamente allenato riconosce facilmente.
Alcuni sono aromi buoni, come per esempio quelli che determinano le differenze varietali e che ci consentono di distinguere un aglianico da un granato o un merlot da un sangiovese, in linea di massima.
Altri rappresentano invece ciò che non vorremmo mai trovare in un calice, ed è proprio di questi che parleremo oggi.
L’odore di tappo. Fino a qualche anno fa si credeva che fosse causato da un’infestazione della corteccia, usata per produrre i tappi, da parte di un fungo, l’Armillaria Mellea. Oggi si sa che praticamente qualsiasi fungo e molti batteri, come Bacillus, Rhodococcus, Streptomyces, possono attaccare il sughero e degradare la “lignina” che lo compone. Le molecole prodotte da queste infestazioni altro non sono che i fisiologici metaboliti dei microorganismi, e appartengono principalmente alla famiglia del tricloroanisolo e del guaiacolo.
Il tricloroanisolo conferisce al vino un aroma di muffa e cartone bagnato. Il guaiacolo aromi di affumicato e farmaceutico. Anche quando non raggiunge la soglia di percezione, l’odore di tappo causa un affievolimento di tutte le altre componenti aromatiche del vino, ad iniziare da quella fruttata. In questi casi il vino sembrerà piatto, spento, con componenti olfattive poco gradevoli e non molto percepibili. Altri difetti causati dal tappo possono essere dovuti alla scarsa igiene nei luoghi di produzione e nelle cantine, o all’uso di prodotti disinfettanti a base di cloro che impregnano il sughero e i contenitori utilizzati per stoccarlo.
Riduzione o ridotto. Con questo termine si definisce il classico odore di zolfo, gomma, gomma bruciata, o, nel peggiore dei casi, uova marce, causato da composti solforati. Il principale responsabile è l’acido solfidrico (H2S), prodotto del metabolismo batterico e dei lieviti. La fermentazione alcolica produce quantità molto piccole di acido solfidrico, al di sotto della soglia di percezione. La contaminazione del mosto da parte di altre specie di lieviti e di batteri, dovuta ad una scarsa igiene in cantina o a un ritardo tra vendemmia e mostificazione, determina un’incremento della componente solfidrica al di sopra della soglia di percezione. L’acido solfidrico che permane per molto tempo a contatto con le fecce, i residui cellulari dei lieviti della fermentazione, può combinarsi con l’etanolo e con amminoacidi e produrre mercaptani, responsabili di un aroma “agliaceo” o di “cipolla”. Questo composti solforati determinano un grave difetto aromatico del vino, irreversibile e soltanto parzialmente correggibile con l’uso di rame o azoto gassoso.
Altra cosa è l’aroma conferito al vino dall’anidride solforosa, usualmente addizionata per le sue proprietà antisettiche e antiossidanti. La solforosa determina irritazione delle mucose ed un caratteristico odore di “pietra focaia” assimilabile all’odore che si sprigiona da un fiammifero appena acceso.
L’odore acetico (o “acescente”). E’ il tipico odore del vino del contadino, o del vino sfuso che negli anni passati era comune sulle tavole della gente. Gli aromi acetici sono causati da due molecole, l’acido acetico e l’acetato di etile. Sono prodotte da alcune famiglie di batteri “acetici” (acetobacter e gluconobacter) che trasformano l’alcol etilico in acido acetico ed acetato di etile. L’acido acetico costituisce normalmente il 95-98% dell’ “acidità volatile” di un vino finito. Tutti i vini contengono una percentuale di acido acetico, ma questa deve rimanere sempre al di sotto dei 0,90 g/L per i rossi e di 0,65 g/L per i bianchi.
L’acido acetico determina difetti nel gusto del vino, causando sapori acri ed aciduli, e nella componente olfattiva, con il suo caratteristico corredo. In concentrazioni non elevate, prima ancora di raggiungere la soglia della chiara percezione olfattiva, causa il classico sapore acre in gola al termine della deglutizione.
L’acetato di etile invece conferisce al vino un aroma a metà strada tra l’acetone e lo smalto per le unghie. In genere i laboratori non dosano questa componente volatile, per cui un vino che formalmente ha valori di acidità volatile entro i limiti, potrebbe avere un’elevata componente etilacetica non dosata ma percepibile olfattivamente.
Brett. Dietro questo nomignolo ci sta quello che forse è il più insidioso difetto del vino. Il diminutivo deriva dal nome di un lievito parassita, il Brettanomyces, responsabile degli aromi Brett. La fermentazione ad opera del Brettanomyces avviene dopo 5-8 mesi dalla conclusione della fermentazione alcolica, perché questo lievito riesce a crescere sugli zuccheri che Saccharomyces non è in grado di fermentare. Può anche attivarsi anticipatamente in seguito ad anomali arresti della fermentazione alcolica. Le molecole responsabili dei difetti appartengono prevalentemente a due famiglie: etilfenoli e vinilfenoli.
Gli etilfenoli conferiscono al vino un caratteristico aroma di “stallatico”, che i manuali dei sommelier definiscono come “sudore di cavallo”.
I vinilfenoli (ma anche il 4-etilguaiacolo che è un etilfenole) conferiscono un aroma farmaceutico e medicinale. La miscellanea dei due è il tipico aroma Brett, che assomiglia all’odore di una benda o una garza usata.
La causa della crescita di Brettanomyces è da ricercare nella scarsa igiene in cantina e negli arresti di fermentazione alcolica. Questo lievito cresce tra le doghe di legno di botti e barriques in ambienti con scadenti livelli di igiene. I produttori convenzionali sopperiscono alla scarsa igiene con elevate dosi di solforosa, che ha un’azione antisettica e disinfettante, ma che conferisce aromi anomali al vino, e ha un profilo di tossicità non indifferente. I produttori naturali, che per scelta usano dosi molto basse di solforosa aggiunta, sono le prime vittime del Brettanomyces. In questi casi sarebbe auspicabile la massima igiene in cantina e lo smaltimento e la sostituzione di tutti i legni contaminati.
Ossidato o Sherry. L’aroma ossidato assomiglia all’aroma dei vini liquorosi, Sherry o Marsala. Compare a causa del prolungato contatto con l’ossigeno che determina un incremento di acetaldeide nel vino. La concentrazione di acetaldeide non dovrebbe mai superare i 90 mg/l. Di solito questo difetto aromatico si accompagna ad un mutamento del colore, che diventa più scuro e meno penetrabile. E’ facile riscontrarlo in bottiglie semiconsumate o lasciate aperte e conservate a temperatura ambiente.
I vini liquorosi possono avere un aroma ossidato, come loro caratteristica tipica. I vini con gradazione alcolica inferiore al 15% non dovrebbero, a meno di deliberate scelte del produttore che preferisce avere questa impronta aromatica nel proprio vino.
Madeira o maderizzazione. La “maderizzazione” di un vino avviene quando questo viene esposto a temperature superiori a 30-35°C. L’elevata temperatura catalizza processi di ossido-riduzione che determinano un incremento di acetaldeide e conferiscono al vino il caratteristico aroma ossidato del vino fortificato Madeira. Anche in questo caso il vino si intorbida leggermente e il colore scurisce.
A differenza dei processi di ossidazione, la maderizzazione avviene in assenza di ossigeno.
Gusto di luce (Goût de lumière). E’ causato dalla errata conservazione delle bottiglie di vino vicino a sorgenti luminose. La luce catalizza una reazione tra l’alcol etilico e l’anidride solforosa, che è un prodotto della fermentazione ma che è anche aggiunta a scopo antisettico ed antiossidante. Questa reazione determina la formazione di composti solforati molto stabili tra acido solfidrico ed etile. Tali composti conferiscono al vino un aroma simile a quello di ridotto.
La lista dei difetti del vino potrebbe anche essere più lunga, ma per nostra fortuna tante altre anomalie aromatiche si presentano con scarsa frequenza.
“Aromi che ci consentono di distinguere un aglianico da un granato o un merlot da un sangiovese, in linea di massima”.
Colgo una certa sottile ironia nel suo “in linea di massima”. Presumo che sia solo una coincidenza l’incidentale dopo “distinguere un merlot da un sangiovese”.
@Luca, coglie bene
Come sempre chiaro ed esaustivo Massimiliano, i difetti del vino sono ormai un lontano ricordo, considerando tutte le pratiche che vengono effettuate oggi sui vini. Ma se capitasse uno dei sopracitati penso che anche un astemio se ne accorgerebbe. Io mi preoccuperei più dei sentori che scaturiscono i lieviti e chiedo: siamo in grado di sintetizzare in un assaggio alla cieca di un vino se è prodotto con lieviti naturali o lieviti selezionati?
@Patrizia,
Ciao patrizia. Potremmo provare: degustazione cieca degli stessi vitigni a fermentazione sponatnea o no, è un’ottima idea 🙂
Per mia esperienza i vini da fermetazione spontanea, mi sembra, che abbiano uno spettro aromatico più ampio e con un sottofondo “selvatico”. L’ho notato anche nei riesling da fermentazione spontanea, nonostante contengano molta solforosa.
@Patrizia, non sono un lontano ricordo, magari.
Compro una bottiglia in enoteca, spendo una cifra, ed è rovinata (maderizzata?). Un’altra volta sa pesantemente di ridotto (conservata sullo scaffale in piedi sotto i faretti?).
Alcuni vini naturali hanno la volatile sparata o sanno di ridotto o di brett. Alcuni, per carità, altri sono eccellenti (preciso se no qui qualcuno mi mangia).
In sostanza sia tra i convenzionali che tra i naturali questi difetti ci sono, eccome.
@Patrizia, E non ti dico la sfilza di bottiglie ossidate che mi sono capitate negli anni
Perche’ quando si tratta di formaggio non si va a mai cercare il pelo nell’uovo se il casaro ha usato caglio liquido o caglio solido, quando si tratta di abbacchio non si va mai a discutere in che modo vengono ammazzati bestialmente i feti delle pecore incinte per soddisfare il palato delle matrone romane, mentre quando si tratta di vino si va a fare le pulci perfino sui lieviti?
@Mario Crosta,
Perché non è una questione secondaria, o da pelo nell’uovo. La differenza è notevole, già provato alla cieca. Però con la bravissima sommelier Patrizia ne organizzeremo un’altra degustazione cieca, magari vieni pure tu…
Caro Mario, io porto un sacco di pane e tu di sale, così sanciamo deinitivamente? 😉
@Massimiliano Montes, una degustazione no assolutamente, la lascio ai palati fini che ci godono tanto, ma una gran bella bevuta, nel senso di grande e nel senso di bevuta, sempre volentieri! Guarda che non ho scritto che è una questione secondaria, quella dei lieviti. So dove nascono e si sviluppano quelli naturali e quali problemi possono dare, so anche come fanno quelli selezionati e come una scelta sbagliata del tipo di lieviti influisca sul tipo di vino. Ma ho fatto il vino anch’io, lo fanno i miei vicini, lo fanno i miei amici e non siamo tutti così fessi da scegliere i lieviti che non vanno bene, prediligendo quelli naturali quando ci si può fidare e ricorrendo a quelli selezionati, ma i più adatti, quando non si può. La scelta radicale, talebana, per principio, non fa per me né per loro. Come la solforosa. Meglio non darla, se le uve sono state tutte sanissime e il grado alcoolico non è sui minimi. Come la pastorizzazione, che ormai si usa solo per i vinacci di cui non v’è certezza. Ma sempre con un certo giudizio. Per dare dei gusti impropri ai vini, adesso, quelli che li vogliono dare non si occupano proprio di lieviti: ci sono dei kit di profumi sintetici in vendita che lo sanno tutti, ormai una goccia qua e una goccia là il vino può sapere di pelle conciata, di tabacco, di vaniglia, di sigaro cubano, insomma di quel che si vuole. Fu proprio una sommelier di quelle solide, giunoniche, che me lo provò al primo MiWine, con uno sguardo ch’era tutto un programma. C’è da piangere a pensare che cazzo di mondo del vino stiamo consegnando ai nostri figli e nipoti ed è per questo che stimo molto il tuo sito, le tue battaglie, che puoi contare su di me. Ma senza esagerare. Io, che ho smesso di fumare d’un botto, posso dirti che capisco come non si possa smettere di fumare poco a poco, ma non lo pretendo da tutti. L’importante è che alla fine si smetta, c’è chi lo farà d’un botto e chi lo farà diversamente, a tappe, l’obiettivo è non usare la solforosa, non usare la botte nuova troppo piccola o troppo tostata, non usare lieviti selezionati, non usare… eccetera eccetera. Ma senza teorizzare la superiorità di questo o di quello, perché di vangeli ce ne sono già quattro e bastano e avanzano. Anche tu non bevi soltanto vini naturali, no? Anche per te ci sono vini convenzionali che piacciono di più di quelli naturali e/o viceversa. E ci sono vini con lieviti selezionati migliori di quelli dai lieviti naturali, oppure viceversa. Il problema sta nella zucca del vignaiolo e dell’enologo. Se impara ad amare il bevitore più del suo portafoglio, in capo a pochi decenni ce la faremo a riportare dovunque l’enologia a livello umano e non soltanto in poche isole. Non la voglio perdere nemmeno io questa battaglia, che è entusiasmante. Ma non esageriamo con le certezze, foss’anche con quelle del nostro piccolo o con gli scritti di qualche professore. La naturalità è un processo, è una battaglia, è una bandiera, non una fede e non una crociata.
Sono d’accordo. Noi qui ci divertiamo, non facciamo battaglie. La fermentazione spontanea è una questione di gusto, non di pregiudizio, almeno per me. Con un buon pie de cuvee e ossigenando il mosto in fermentazione non ci sono grandi problemi, questo è quello che mi dicono alcuni vignaiuoli.
Soldera non inocula, neanche Giacosa e come loro tanti altri anche se non si dicono naturali. Credo che se Roberto Conterno non inoculasse anche il Monfortino sarebbe più buono 😉
Sono riuscito a convincere Francesco Spadafora, produttore siculo, a non inoculare per prova un fermentino. È venuto un vino più buono di quello con lieviti selezionati, con una volatile più bassa.
La grande bevuta va bene… benissimo , quando vuoi
@Massimiliano Montes,
Nostro eroe: ” sono riuscito a convincere……….” . Diciamo che tra le tante prove ,ho fatto pure questa e che i risultati sono stati incoraggianti e che mi hanno convinto a continuare le prove .
Come sai, perché ne abbiamo giá parlato, questo é solo un piccolo aspetto di quello che puó definirsi vino naturale ,perché io dó sempre molta importanza alla coltivazione della pianta ed a cosa si utilizza per la sua vita , e non inoculare ,ma lasciare che parti una spontanea fermentazione ,almeno per me , é mano importante ,che se utilizzassero pesticidi in terra
@Mario Crosta, sulla questione del casaro hai proprio ragione e da grande consumatore di formaggi dovrei proprio farci più attenzione. Ma qui si parla di vino no? 😉
Eeeeh “bravissima”,grazie Massimiliano, più attenta che brava, c’è tanto da scoprire e tanto da imparare anche in merito alla caseificazione di cui sono totalmente allo scuro.
@Mario Costa, sarei molto lieta se volesse istruirmi in merito.
A voi, un saluto 🙂
@Patrizia, attenta e brava 🙂
@Patrizia, porti il bellissimo nome di mia sorella, ma se ti riferisci al mio cognome mi chiamo Crosta, come quella del pane o del formaggio. Non sono un insegnante in materia e quindi non detto istruzioni a nessuno. Osservo, riferisco, di certezze non ne ho piu’ e prego il buon Dio di mantenermi sempre senz’alcuna certezza, visto che e’ con le certezze che si fanno le crociate, si dichiarano le guerre, si fa il tifo per questo o per quello sui vari blog e adesso si vorrebbe dividere il pubblico pagante sulla questione dei vini naturali. Io ho una posizione chiarissima, sia per il portale su cui scrivo e sia per i commenti spesso anche contrastati che vado a scrivere dove il dibattito conta davvero e non nelle arene dove imperversano gli anonimi che poi e’ uno solo che si traveste da centomila e poi finisce per essere nessuno. Diciamo che qui finora mi diverto, non penso di scrivere cazzate o d’insegnare un vangelo, non considero i lieviti naturali un credo, ma uno dei tanti inneschi di fermentazione tra cui scegliere con buon gusto e nel rispetto della legge e se si diventa troppo seriosi non mi diverto piu’, mi stappo una bella cassa di bottiglie e finche’ non e’ finita non metto piu’ lingua e lascio il gioco agli altri, che ne sanno certamente molto piu’ di me. Io coi lieviti naturali a Monte Oro di Mamuntanas facevo benzina, qualcuno lo chiamava vino e riusciva a berne pure un bicchiere, ma era benzina vera e propria e una sera in due, col cognato, manco un bicchiere riuscimmo a finire. Ma lo sapevano tutti i vicini che il vino non lo sapevo fare, la vigna la trascuravo pure e adesso lo sapete anche voi, percio’ sono l’ultimo a dover istruire qualcuno in proposito. So bere, mi piace bere, mi piacerebbe che in etichetta ci sia scritto abbastanza tutto ma non alla maniera delle analisi chimiche delle bottiglie dell’acqua minerale, compreso l’uso di lieviti naturali o selezionati, come informazione necessaria culturalmente al bevitore. Poi sta al bevitore, al mercato, decidere come orientarsi. Ecco, credo, e qui lo credo davvero (e’ una fede, cioe’) alla liberta’, alla massima liberta’. Anche di raccomandarvi di non esagerare e continuare a divertirvi come fa Massimiliano, o come fa Patrizia (mia sorella) che a quasi 60 anni si è messa a lanciarsi col paracadute per provare le relative emozioni (aeroporto sportivo di Vercelli, andare, verificare e berci sopra un bel bianchino…, magari un Arneis, con l’Ettore)
@Mario Crosta, un’etichetta stile acqua minerale è proprio quello che non serve a nessuno
@Mario Crosta,
È per questo che noi non facciamo 140 commenti come su altri blog 😉
Patrizia Saiola è una valente sommelier panormita affascinata dal mondo dei vini naturali, trattamela bene.
@Massimiliano Montes, guarda che ci vedo ancora….
ttps://plus.google.com/103701700751913847159/about
@Massimiliano Montes, il link intero sarebbe:
https://plus.google.com/103701700751913847159/about
Ma questa e’ l’ora di pranzo e mi mangio anche le acca…
@Filippo, penso tu sia stato un po sfortunato, capita… è indubbio che conservando male le bottiglie il vino sarà sicuramente compromesso.
La fermentazione spontanea ritengo sia un vero e proprio credo. Diverso è il mio pensiero nei confronti dei selezionati, premetto che non sono un estremista del naturale ma è da ammettere che con i selezionati ci sono solo certezze e continuità in termini di carattere del vino. Un blasonato Monfortino, non correrà mai il rischio di non svolgere completamente la fermentazione usando soltanto i lieviti indigeni. Ho posto l’attenzione sui lieviti selezionati, solo al fine di non soffermarci solo sul tema del sentore o del difetto, i lieviti selezionati chiamati cosi proprio per le selezioni cui vengono sottoposti e successivamente moltiplicati. Non sono un’esperta in merito per entrare minuziosamente nel dettaglio di tali tecniche, so che i lieviti sono uno strumento valido per ottenere dei vini in coerenza con ciò che il mercato richiede. Possibile che si incontrino all’assaggio due chardonnay provenienti da due emisferi diversi che abbiano le stesse caratteristiche o nei casi peggiori in cui si ricorra al loro uso, che si abbia in cantina un mosto pessimo si finisca per ottenere un vino ampio e morbido con caratteristiche tipiche di alcuni “internazionali” Con questo non dico che i lieviti selezionati siano additivi chimici, restano pur sempre essere viventi naturali selezionati per il loro talento migliore. Il propendo più per il fascino dell’incognito o del selvaggio come sostiene Massimiliano, quel fascino che mette in discussione anni di studio e di confronti e perchè no anche di denaro spesi per soddisfare la mia famelica curiosità sul vino.
@Mario Crosta, mi scuso per l’errore nella trascrizione del tuo cognome. Il chiedere di istruirmi in merito alla caseificazione non aveva neppure lontanamente vena ironica. Penso siano anche le esperienze a rendere dottori piuttosto che trascorrere anni solo sui libri ad elaborare tesi e concetti altrui. Insomma da quello che scrivi penso di aver capito che su ogni fronte si prediliga orientarsi, non bisogna mai discostarsi dal buonsenso questo vale per chi beve, assaggia, o degusta. Non mi trovi d’accordo sul nome, a me non piace, mi piace di più la vivacità di tua sorella.
Un caro saluto.
P.S: sapevo chi eri ho letto tanto anche altrove di te.
@Patrizia,
Non ti preoccupare. Non ce l’ha con noi, ma con intravino. Vecchie ruggini 😉
@Massimiliano Montes, io non ce l’ho con nessuno. Non inventarti anche ruggini naturali adesso…
@Mario Crosta, beh, l’hai detto tu qui qualche post fa. Credevo ti riferissi a loro per lo spudorato sock-puppeting che fanno. Altrimenti a chi ti riferivi?
@Massimiliano Montes, sock-puppe… che cosaaa? Ma che vor dì?
@Mario Crosta,
Quello che hai detto tu, anche in questo post
http://gustodivino.it/news-di-gusto-e-vino/petain-e-la-repubblica-di-vichy-continua-l-attacco-al-vino-naturale/massimiliano-montes/1645/
Ovvero che la stessa persona scrive con nomi diversi. I blog apparentemente molto frequentati spesso lo fanno.
Quello che non sanno, però, è che un bravo webmaster (o un esperto di IT) ha gli strumenti per capirlo 😉
Pensavo ti riferissi a Intravino. Se non parlavi di loro a chi ti riferivi?
@Massimiliano Montes, anvedi il tontolone che sono…
Sono andato su Vichipedia per capire cosa cavolo era il socke-de-ché…
Mi è piaciuta comunque la frase: “spesso agiscono secondo uno stile comportamentale di natura schizofrenica, ben radicato anche nella vita reale di molte persone, che quindi, quando sono online, si immedesimano con grande naturalezza in questo ruolo”. Sembra scritta apposta per quelli cui mi riferivo sicuramente io. Ma non lanciare la caccia al tesoro, si dice il peccato ma non il peccatore.
@Massimiliano Montes,
Ok. Non ti sbilanciare. Mi va bene lo stesso.
@Massimiliano Montes, te lo ricordi Totò? Non bevo un sorso di vino senza pensare a lui. Uno che sia uno. Quando il vino mi piace… ecco che mi sprizzano nella mente dei pezzi divertentissimi del principe De Curtis. Mi manca tanto. Ci manca tanto. Senza ricordarmelo, non gusterei mai fino in fondo un calice di buon vino. So di grente che si scola intere bottiglie davanti a iutub in cedrti pezzi che fanno sganassare dalle risate. Il vino e’ questo, mica roba da niente, se non c’e’ divertimento che caz.. di vino sarebbe? Dici e non dici, va bene e non va bene, chi ha dato ha dato e chi ha avuto ha avuto, ca’ nisciuno e’ fesso e chi se l’e’ bevuto se l’e’ bevuto. Stammi bene, che sono al settimo cielo con un Soave che va via una bottiglia dietro l’altra, mò!
Anche la mia risposta non era ironica. Sai quante volte devo dire Crosta come quella del pane o del formaggio? Siccome ho la cosiddetta erre moscia, sono obbligato praticamente a farlo fin dalla nascita. In Polonia devo dire Crosta “ma con la C” (la C si pronuncia come la zeta forte, tipo tze), altrimenti capiscono Krosta, con la kappa, che definisce la chiusura di una ferita o di un’ulcera. Pensa che bello! E tu ti lamenti di Patrizia?Sarai mica di Brescia (dove a Patrissia si dice che la bissia strissia sull’erba lissia…)
Massimiliano, ho stampato la ruota che ora se na sta lì sulla tavola in attesa della prossima bottiglia 😉
@Nic Marsél, te la invio per email a risoluzione più elevata 🙂
È carina vero? Certo sintetica, ma utile.
@Mario Crosta, grazie per l’interesse che hai mostrato nel cercarmi, l’espressione del mio scritto non era sufficiente? La mia immagine lo è stata?
Se ci fosse qualcos’altro che ti incuriosisce, devi solo chiedere, se posso ti evito di navigare inutilmente sul web.
Cordialità
@Patrizia, non c’è nient’altro che mi incuriosisce. Siccome Massimiliano mi aveva scritto “Patrizia Saiola è una valente sommelier panormita affascinata dal mondo dei vini naturali, trattamela bene”, gli ho semplicemente risposto in quel modo visivo (e simpatico, spero lo si capisca…) che non ho le fette di salame sugli occhi. Quelle le puccio semmai nel vino per dargli quel sapore che fa tanto vino naturale secondo gli intoccabili. Cordialissimevolmente!