La notizia degli undici arresti per corruzione al Ministero delle Politiche Agricole e Forestali ha avuto la giusta eco su telegiornali e quotidiani generalisti. E’ passata invece sottotono tra i giornali e i blog che si occupano di enogastronomia.
Eppure non è una notizia che faccia dormire sonni tranquilli. Indipendentemente dal pur grave aspetto corruttivo e predatorio che caratterizza la politica e l’economia italiana, è la prima volta che un magistrato scoperchia in questo modo l’intreccio tra affari agroalimentari e politica.
Nata da un esposto anonimo, l’indagine ha rivelato che i funzionari coinvolti avevano adottato una logica spartitoria dei finanziamenti pubblici, che venivano erogati in cambio di tangenti.
Coinvolto anche il direttore del Consorzio Parmigiano Reggiano, Riccardo Deserti, la procura ha appurato che ammontano a a 32 milioni di euro i contributi statali illecitamente percepiti da alcuni imprenditori del settore agroalimentare grazie alla corruzione dei funzionari del Ministero. E l’indagine è ancora in corso.
Il fenomeno corruttivo, o concussivo, è sicuramente grave. Ma ciò che dovrebbe maggiormente interessare chi si occupa della comunicazione e dell’informazione in questo ambito, insieme ai produttori onesti ovviamente, è la falsificazione dei più banali principi di libera concorrenza e il danno che i produttori onesti hanno avuto da questo sistema.
Quanti imprenditori si sono visti negare un contributo pubblico dovuto, che invece è stato indirizzato per corruzione ad altri?
Chi ci dice che la grande impresa dell’agroalimentare, e quindi la grande imprenditoria del vino, non abbia avuto in questi anni illeciti vantaggi, economici ma anche in termini di concorrenza sleale.
Quanti piccoli imprenditori hanno dichiarato fallimento a causa di questo sistema perverso?
Se è vero quanto afferma il ministro Catania rispetto alla facilità di erogazione e alla mancanza di controlli nella gestione di questi fondi, viene spontaneo chiedersi se il sistema non fosse diffuso anche alle realtà più piccole, agli amici e agli amici degli amici.
Forse varrebbe la pena controllare l’operato degli ultimi anni anche a livello regionale e dei vari Istituti per la tutela della produzione vinicola, diretta emanazione di quella classe politica.
E magari, seppur per mano vicariante della magistratura, aiutare gli imprenditori onesti e mostrare loro che lo Stato non è presente solo per sequestrare le etichette di vino naturale.
Quanto costa la corruzione a tutto il popolo italiano!
Poi si lamentano della Germania, dovrebbero prenderla ad esempio.