Una cena annaffiata da un’abbondante dose di alcol si trasforma in una esilarante confessione. Che bello fare bere un enologo, metterlo a suo agio, ma soprattutto non dirgli chi sei!
Il clima rilassato di un incontro conviviale occasionale, fa sciogliere i freni inibitori di un professionista stimato (di cui non dirò il nome proprio per l’affettuosa riconoscenza dopo le sue rivelazioni).
“Quando ero giovane” esordisce “appena uscito dall’Università, lavoravo in una cantina sociale a cui conferivano l’uva decine di piccoli produttori. Arrivava uva di tutti i tipi e tu non hai idea di che fatica dovevamo fare. Lavoravo insieme a un collega più anziano e lui mi insegnò cosa dovevo fare per avere la certezza intanto di non perdere il lavoro”.
“I nostri vini avevano un contenuto di anidride solforosa tale che io mi rifiutavo di berli, anche se me ne regalavano un sacco di bottiglie: erano tutte a loro volta regalate ad amici in occasione di festività o compleanni” (e ride di gusto).
“Poi ho lavorato per un periodo presso un’azienda prestigiosa. Mi sono occupato della produzione di un’etichetta pluripremiata. Qua le cose erano diverse. Si spendevano un sacco di soldi in presidi enotecnici”.
“Il vino era controllato nei minimi dettagli chimico-fisici, trattato con enzimi, filtrato e chiarificato, stabilizzato, veniva regolata la consistenza con la gomma arabica fino a un parametro ben preciso (misuravamo la viscosità), veniva microssigenato e addizionato di chips e aromatizzanti solubili (era un barricato, eh eh), il pH (l’acidità, n.d.r.) regolato come volevamo noi, persino il colore doveva avere quella precisa tonalità. Usavamo sempre la stessa marca di enzimi aromatizzanti e di lieviti selezionati. E quelli che ce li vendevano lo sapevano ed evidentemente se ne approfittavano. Anche qui la solforosa totale era molto alta, anche se meno del vino della cantina sociale. Sono bottiglie da 90 euri l’una… che credi?”
Ricapitolando, quello che salta agli occhi dalle confessioni del giovane (ehm…) Werther sono i seguenti punti:
– Microssigenazione e chips (trucioli di legno in immersione) per simulare l’uso di barrique
– Polverine aromatizzanti. Ne avevavmo già parlato in altri post, è legale (almeno nominalmente), sono chiamate alternative solubili ai legni alternativi (cheppoi sarebbero i chips).
– Enzimi e lieviti aromatizzanti. Liberano gli aromi legati agli zuccheri i primi, favoriscono la produzione di metaboliti odorosi i secondi.
– Gomma arabica per aumentare la consistenza. Per consistenza si intende quella sensazione fisica di spessore e densità al palato.
– Stabilizzazione del pH e quindi dell’acidità totale
– Stabilizzazione e regolazione del colore
Viene spontaneo chiedersi perché ostinarsi a chiamare “vino” un alimento che esce da un tale processo produttivo.
Altra domanda… questo è un “vino” che vale 90 euro???
P.S. E se l’enologo non fosse stato brillo? Se invece sapeva chi ero e voleva solo darmi qualche dritta? 😉
90 euri è il minimo per pagare tutte quelle porcherie, parola di enologo 😉
@Giuseppe Maria Masino, è il tuo vero nome? O sei in pensione o domani ti licenziano 😉
Se è tutto a norma di legge e se quel prodotto piace al consumatore finale, hanno vinto loro. L’unica via d’uscita resta l’etichetta trasparente.
Rispondo per principio a tutela di una categoria, quella degli enologi che tanto ha fatto e tanto continua a fare per l’immagine del vino nel mondo. A parte il metodo di “estorsione” di informazioni che ritengo veramente maniacale e sul quale sarebbe bello capire cosa l’altra parte potesse dire a sua difesa, in ogni caso stiamo parlando di procedure enologiche previste nella normativa.
Personalmente stento a credere che un vino venduto a 90 €uro abbia il bisogno di simili ” trattamenti” e anche se fosse tanto di cappello a chi è stato capace con un vino base, un poco di trucioli e della gomma arabica di riuscire commercialmente a convincere esperti di commissioni e consumatori, ad approvare i primi e a spendere tale cifra i secondi.
Diffondere questo tipo di notizie non credo faccia del bene al settore del vino in generale, creare allarmismi inutili a favore di un comparto rispetto a un altro è la solita guerra tra poveri e non arreca vantaggi.
Caro Massimiliano Montes, spesso leggo i tuoi articoli anche con piacere ma in questo caso penso che potevi evitarlo, avresti perlomeno rispettato la “sbornia ” del collega.
Saluti
Maurizio
@Maurizio Caffarelli, non hai letto il mio post-scriptum 😉
Grazie comunque per il tuo prezioso contributo.
@Massimiliano Montes, anche in quel caso avrei accertato la validità dell’informazione. Poi sai sicuramente meglio di me che nel settore del vino può essere vero tutto e il contrario di tutto.
Grazie a te per lo spazio che ci dedichi.
@Maurizio Caffarelli, il tuo commento è imbarazzante e preoccupante, per usare un eufemismo.
Infatti ti stai preoccupando che qualcuno racconti la VERITA’ su una bevanda consumata e nota come il meglio del made in italy. Sono d’accordo con te che ognuno è libero di bere e consumare ciò che più gli piace, ma qui stiamo parlando di INFORMAZIONE.
Non si capisce perchè il vino sia uno dei pochi alimenti senza ingredienti trasparenti. Se sto ingurgitando una valanga di porcherie voglio saperlo, poi se voglio berlo comunque è una mia scelta. Come chi va dal mcdonalds o fuma sigarette: i danni li conosci, poi scegli tu.
Il vino raccontato è una costruzione artificiale e di laboratorio di una bevanda, è una sorta di preparato. L’uva diviene l’ingrediente meno rilevante.
Mi è capitato di visitare delle cantine che erano delle specie di farmacie…
Non ho parole.
Diffondere la verità è un dovere che abbiamo nei confronti di tutti, per garantire scelte consapevoli.
Spero che le persone che la pensano come te siano il meno possibile.
Pace.
@Andrea, non è mio interesse fare polemica, la mia è stata una risposta spontanea a difesa della categoria. In quanto a lei e alla sua verità, le ricordo che la verità può esistere se si conoscono i due suoni della campana.
Il mio appunto a falsi allarmismi è confermato dalla sua risposta che traspare di persona non conoscente dei fatti, che demonizza tutte le operazioni enologiche, anche se ammesse da regolamentazioni ben precise, considerandole costruzioni artificiali di laboratorio e scivolando sulla retorica del legislatore incompetente. Lei forse non lo sa ma a livello di normative riguardanti il vino, siamo uno dei paesi più leggiferati e tutelati a difesa del consumatore, proprio perchè per noi il vino rientra nella linea dei prodotti alimentari.
In ogni caso trovo, per mio conto, il confronto sempre positivo e costruttivo, fino a quando non trascrende a considerazioni personali per altro non richieste, grazie.
Buona giornata
Maurizio
@Maurizio Caffarelli, certo che la campana suona di solito sempre a favore dei vini convenzionali-industriali. La comunicazione enoica è completamente nelle mani dei soliti produttori. Noi siamo tra i pochi a fare un’informazione “fuori dal coro”. Poi ben venga qualsiasi informazione e qualsiasi commento (da noi sono liberi come vedi), sono a favore della libera circolazione delle idee. E grazie di nuovo per i tuoi contributi che ampliano la discussione 🙂
@Maurizio Caffarelli, aggiungo che il fatto che alcuni trattamenti chimici siano “previsti nella normativa” non è sinonimo di sicurezza o accettabilità. Le leggi permettono cose aberranti, perchè spesso sono fatte da incompetenti (soprattutto in italia). Rientrare nella legge non significa niente, dal punto di vista della salute.
@Andrea, ESATTO… anche l’olio di palma è ammesso ma sappiamo tutti quanto fa male, cosi se le mamme sapessero leggere e leggessero l’etichettatura scoprendo che nel pancarrè c’è Alcool secondo voi lo darebbero ai loro figli? Vediamo cosa succederà dal 14/12/2014 con la nuova norma sulle etichettatura e con la successiva entrata in vigore dell’obbligo della tabella nutrizionale.
Come può ben vedere nel scrivere una replica al suo post mi sono registrato con il mio nome è cognome. Lei invece scrive un post il cui contenuto e’ in gran parte virgolettato, citando così le parole di un fantomatico enologo di cui non conosciamo il nome.
Che dire complimenti per il valore giornalistico del suo intervento.
@Giannini pio, il valore giornalistico deriva dai fondamenti di veridicità dei fatti raccontati. Sono tutti prodotti enotecnici di cui le posso dire marca, nome e prezzo. E la sfido a dimostrare che quello che scrivo non è vero. Massimiliano Montes.
@Giannini pio, è sufficiente che legga questo:
http://gustodivino.it/home-gusto-vino/labbinamento-perfetto-proviamo-ad-abbinare-il-vino-col-giusto-aroma-di-pasticceria/massimiliano-montes/4568/
Più che un enologo questo mi pare Alì il chimico, i fratello di Saddam Hussein.
@Maurizio Gily, però non sono procedimenti così “estremi”. Mi sembrano anzi abbastanza comuni.
Poteva allora menzionare il nome dell’enologo. Almeno avrei potuto leggere una replica eventuale da parte dell’interessato. Che poi alcuni enologi facciano un uso anche non necessario di tutto ciò che può essere considerato naturale , su questo sono d’accordo con lei.
Arrivederci
@Pio Giannini, il nome dell’enologo? Si, e magari lo aspettiamo sotto casa per prenderlo a calcioni nel sedere 🙂
Non mi piacciono questi modi di “fare notizia” a tutti i costi, anche perché non abbiamo letto niente di nuovo. Pratiche di cantina ammesse dalla legge vigente…..poi possiamo non essere d’accordo. ….ed allora bisognerà modificare le normative vigenti.
Nel settore siamo (quasi tutti ) a conoscenza che succedono cose ben peggiori, tipo le cisterne di vino ed olio evo pugliese, calabro e siciliano che prendono le strade del nord. …facendo tappa in Toscana, veneto, Piemonte. …per fare ultima tappa a Bordeaux……
Sarebbe interessante ospitare una replica del l’enologo. …..
Ciao Roberto. Non è “fare notizia a tutti i costi”, è semplice informazione. Che tutti coloro che si occupano di comunicazione dovrebbero dare.
Anche le altre cose che tu citi sono informazioni che vanno, giustamente, trasmesse. Non si può tacere o fare sempre una comunicazione accondiscendente, ogni tanto bisogna anche strappare qualche velo 🙂 Noi ci siamo occupati anche di olio, contaminazione da diossina e altro.
@Massimiliano Montes,
Quando si danno queste informazioni al pubblico bisogna usare ” i piedi di piombo “, ovvero chiarire bene fin dall’inizio che trattasi di pratiche ” ammesse dalla legge ” e dalle normative vigenti, diversamente si potrebbero creare inutili allarmismi !
Piacerebbe tanto anche a me che il vino fosse solo una spremuta e fermentata !
Buon lavoro 🙂
@Roberto Gatti, più di piombo di così… che si deve fare? Non parlare?
Un abbraccio
@Massimiliano Montes perdonami, ma al netto di ogni personale opinione su questo articolo ho avuto un brivido quando, inconsapevolmente hai abbinato vini convenzionali e vini industriale in un binomio dal singolo trattino a separare un mondo “vini convenzionali-industriali”. Tuo virgolettato in risposta all’enologo poco in alto.
A quando una buona cena con qualche enologo Bio che racconti in realtà quanto poco di Bio c’è in quel mondo? Vuoi che te ne organizzi una?
Basta parlare della stabilizzazione a mezzo raggi UV ammessa dalla normativa Bio internazionale. Chissà se i consumatori sanno di bere vini MORTI, UCCISI dai raggi UV.
Italia, Land of Furbacchioni…..
@Franco, al netto dei raggi UV infatti a me la normativa UE sul vino biologico non piace. È lacunosa e consente di usare gli stessi prodotti industriali dei vini convenzionali “purché bio”.
Così avremo lieviti selezionati ed enzimi bio, gomma arabica bio, ecc ecc
Recentemente sono stato a Mendoza in Argentina ho visitato molte aziende. Ho fatto una lunga chiaccherata con un giovane enologo che lavora con molte aziende perché ha una serie di strumenti costosi e delicati con cui “aggiusta” i vini. Ne regola il tasso alcolico e la quantità di estratti, l’acidità eed il contenuto glicerico. Tutto con dei sistemi di filtraggio ad osmosi inversa, colonne di filtri a resina, ed altre delizie simili. Mi ha raccontato per filo e per segno che la fola che il buon vino si fa in vigna e non in cantina è cosa che accade piuttosto raramente. La regione di Mendoza è famosa per la sua stabilità climatica, almeno sulla carta perchè in realtà non è così. Ed aziende che hanno investito 5-6 milioni di euro non possono trovarsi con un’annata così-così. Ma anche aziende che producono 5000 bottiglie l’anno non possono permetterselo. Sul vino la pratica è vecchia. Quel che mi è piaciuto di questo enologo e che lui orgogliosamente si limita all’uso di macchine che sottopongono il vino a trattamenti puramente “fisici” senza addizionare nulla. Insomma parlando dei sauvignon che in argentina vengono particolarmente ” molli” costui con il solo uso di qualche macchina riesce a cocentrare acidità e profumi salassando il vino dall’alccol in eccesso… Certo, meglio berli in fretta 🙂 Meraviglie della tecnologia contemporanea.
@Luca Lionello, grazie per il tuo contributo. Preziosa testimonianza.
quello che non apprezzo non è il racconto, ma la premessa “Che bello fare bere un enologo, metterlo a suo agio, ma soprattutto non dirgli chi sei”. Come se tutti gli enologi lavorassero così. Il più grande enochimico che abbiamo in Italia è Rocco Di Stefano e gran parte della sua attività di studioso è valsa a spiegare la completa inutilità di gran parte delle “pratiche enologiche” e la possibilità di evitarle o sostituirle con più opportune pratiche di campagna e di cantina (ad esempio la tecnica della macerazione differita per far lavorare gli enzimi delle bucce invece di aggiungerli). Secondo me chi usa molti prodotti enologici o ci è costretto dal fatto di lavorare uve scadenti, oppure è un enologo scadente. Tertium non datur.
@Maurizio Gily, sono d’accordo sulla seconda parte, meno sulla prima del tuo commento. La narrazione riferisce una verità dei fatti chiara e riscontrabile: sono prodotti enotecnici in commercio e di uso comune, microssigenazione e chips sono usatissimi così come gli enzimi. Non parliamo poi dei lieviti selezionati… praticamente quasi tutti i vini.
Posso dire una cosa? L’industria enologica è un’industria e come tale DEVE usare sistemi industriali. Ho visto vigne dove si raccoglie un grappolo per pianta. Ho conosciuto enologi che sanno fare il vino nel massimo rispetto dell’uva e del consumatore. Ma non si può pretendere di ottenere certi risultati con volumi destinati al consumo globale. C’è anche da dire che certi vini molto trattati, e ne ho bevuti parecchi di cui sono certo essere stati pesantemente trattati, sono magari molto piacevoli al primo impatto, sicuramente ruffiani e di grandissima bevibilità…ma al secondo bicchiere ti accorgi ( magari anche in fondo al primo) che c’è “qualcosa” che non ti convince… Qualcosa di estremamente artefatto. Il sapore del frutto in questi vini si perde completamente. Se hai mai assaggiato un acino di uva da vino ben matura prima della vendemmia sai subito di cosa si parla. Sono bottiglie che costano anche 90 € ma non credo che fra dieci anni siano ancora bevibili… Il mercato ha le sue ferree leggi. si cercano allora piccoli produttori che ancora hanno una certe inestinguibile passione artigianale. E sono vini che rimangono nel cuore…Difficili da trovare.
Vantarsi di “non essere riconosciuti” e quindi carpire informazioni che altrimenti non sarebbero state diffuse è una “scorciatoia” che farebbe rivoltare nella tomba i padri del giornalismo moderno. Nonché deontologicamente sbagliato per un professionista dell’informazione.
Quello che si legge qui può essere tutto frutto di fantasia come di una registrazione di un colloquio avvenuto realmente. Il non poter accertare con sicurezza quale è la realtà dei fatti ne fa una non-informazione. La vera informazione è fatta di dati, prove, nomi…
Se fosse stata presentata come il “racconto semiserio di una chiacchierata con un enologo” allora avrebbe avuto un valore di denuncia, gli argomenti toccati sono più che concreti d’altronde.
@Fabio Ciarla, io parlo di fatti. I prodotti che cito sono tutti in commercio, con nomi marche e prezzi, e la sfido a dimostrare che quello che io scrivo non è vero. Ci metto il mio nome e la mia faccia… io non sono uno che ciarla.
Questi prodotti sono largamente usati. Come dicevo a Maurizio Gily sopra microssigenazione e chips sono usatissimi così come gli enzimi. I lieviti selezionati praticamente quasi tutti i vini.
Quindi dove starebbe l’invenzione?
Ho l’impressione che lei abbia interessi personali da tutelare a scriva con fini e modalità “interessate”.
Il vero problema è che alcuni produttori non vogliono che si sappia come fanno il vino.
@Massimiliano Montes, evidentemente il fatto che al mio cognome corrisponda più di qualche enologo (del tutto ignari di quello che scrivo) le avrà confuso la vista. Anzi le dirò che qualcuno di quelli che ha commentato l’articolo è anche mio amico.
Ma il problema è un altro e lei lo evita. Io ho chiuso dicendo che gli argomenti trattati sono concreti ma ho fatto un appunto “metodologico e deontologico” sul suo fare informazione e l’ho fatto da giornalista professionista con esame di stato alle spalle, corsi di preparazione all’epoca e di formazione (ahimè) continua.
Lei però alla mia critica NON HA RISPOSTO preferendo le illazioni, il gioco di parole sul cognome, le accuse buttate lì…
Parla di cose che esistono ma, purtroppo per lei, sono del tutto lecite (scusate ma bisogna ribadire l’ovvio a quanto pare) e infatti questo nessuno glielo contesta. Lei però se vuole fare informazione deve citare nomi, dati, fatti, numeri.
Come sopra, non è così – a mio modesto avviso – che si fa informazione.
@Fabio Ciarla, La narrazione riferisce una verità dei fatti chiara e incontestabile. Il valore giornalistico deriva dai fondamenti di veridicità dei fatti raccontati, non devo per forza riferire nome e cognome della fonte, esponendola tra l’altro a ritorsioni. Non dimentichi, lei che si vanta di essere un giornalista professionista, che le gole profonde dello scandalo Watergate rimasero sconosciute per decenni, il che non ha invalidato il lavoro di Bob Woodward e Carl Bernstein.
Io ci metto la mia faccia e il mio nome. Chi ha qualcosa da dire la dica a me.
@Massimiliano Montes, il manuale di base del giornalista impone che quanto riferito da una presunta gola profonda sia verificato, trovi riscontri certi, prove, numeri, in sostanza…fatti! Solo con le gole profonde lo scandalo Watergate NON SAREBBE ESISTITO!!! Le gole profonde servono come spunti, non come materiale tal quale.
Lei non dice di aver fatto riscontri, si è limitato a raccogliere in maniera giornalisticamente poco corretta la “confessione” di un enologo (questo lo scrivo dandole credito evidentemente perché non ci sono nomi, luoghi, date) per di più BRILLO!
Ma vedo che lei continua a dare per verità inconfutabili quelli che sono scritti senza fondamenta verificabili da tutti (“fondamenti di veridicità” non è uguale a “verità”). Ma d’altronde se si paragona a Woodward e Bernstein io non posso certo spiegarle nulla. Continui così, non la disturberò più.
@Fabio Ciarla, quello che io scrivo è verificatissmo. Sono cose che ho già scritto tante altre volte, che per gli addetti ai lavori sono scontate e quasi banali, e non capisco come riescano a stupire lei… 🙂
Il problema non è l’enologo che mi fa le confidenze (basta sfogliare un catalogo enotecnico online per avere le stesse informazioni), il probleme è se quello che io scrivo è vero o falso. Lei che ne pensa?
Si legga questo:
http://gustodivino.it/home-gusto-vino/labbinamento-perfetto-proviamo-ad-abbinare-il-vino-col-giusto-aroma-di-pasticceria/massimiliano-montes/4568/
Siamo pienamente daccordo questo articolo mette in luce una realtà che molti non conoscono o che fanno finta di non conoscere.
Una piccola aziende come la nostra a conduzione famigliare che crede in primo luogo nel rispetto di se e della propria famiglia, nel rispetto della natura e nel rispetto della propria clientela producendo un VINO NATURALE senza l’ausilio di lieviti selezionati, senza l’aggiunta di nessun prodotto enologico senza utilizzare la filtrazione, così da ottenere prodotti con profumi e sapori ben diversi di quelli prodotti da aziende convenzionali, come riuscire a competere con vini che degustandoli sono sì più profumati, più morbidi…più strutturati, più equilibrati….ma non sono VINI, informiamo le persone e facciamo capire che anche se tutto questo, purtroppo, è legale, non vuol dire che è sano.
Meglio un Vino meno perfetto, MA CHE SIA VINO
@La Piana del Rosso, Gentile signore, sono un giovane enologo, e a mio parere non sarebbe da confondere quella che rappresenta la “produzione tradizionale” di un prodotto con la produzione industriale, e il divario, se pur presente non è (a mio parere) assolutamente indicato dalla parola NATURALE, se per lei questa parola indica solo l’assenza di determinate pratiche, come l’utilizzo di LSA(lieviti secchi attivi), dei solfiti o di tecniche di filtrazione, tutti elementi alla base della produzione enologica moderna (ma non starò qui a dilungarmi perchè apriremmo una parentesi enorme). In questo articolo a mio parere viene fatta un bel po di confusione..confondendo alcune pratiche, necessarie per un consumatore sempre più esigente, con altre a scopo sofisticante.
Cosi giusto per curiosità riporto la voce “sofisticare” del voc. Treccani:
sofisticazióne s. f. [der. di sofisticare; cfr. lat. mediev. sophisticatio -onis]. –
1. Modificazione o alterazione intenzionale delle caratteristiche chimiche o fisiche di un prodotto naturale o artificiale (soprattutto alimenti, farmaci, generi voluttuarî), realizzate mediante sottrazione, per lo più parziale, di un componente pregiato (per es., il grasso del latte), o mediante aggiunta di una sostanza poco pregiata, sia essa un componente naturale del prodotto (per es., acqua al latte o al vino), sia un componente estraneo (per es., olio di semi all’olio di oliva, un colorante giallo sintetico al burro), operata generalmente allo scopo di ricavare un illecito profitto, o di migliorare l’aspetto del prodotto (per es., con l’aggiunta di coloranti) o la sua conservabilità (per es., con l’aggiunta di conservanti) o altre sue proprietà; in questi casi si può parlare, dal punto di vista giuridico, di sofisticazione solo se la sostanza aggiunta non risponde, per qualità e per quantità, alle norme legislative vigenti. La s. alimentare si differenzia dalla contraffazione in quanto quest’ultima riguarda la totalità del prodotto (per es., margarina venduta come burro) e dall’alterazione in quanto questa è dovuta a un processo naturale (irrancidimento, inacidimento, ecc.), anche se talora dovuto a negligenza; non va neanche confusa con la adulterazione, alla quale è connesso un giudizio di più accentuato carattere di pericolosità per la salute pubblica.
Inviterei cordialmente a far luce su determinate tematiche, e anche se sono soliti i casi di allarme riguardo la “sofisticazione” nel mondo enologico (vedasi scandalo Brunello), bisognerebbe acutamente prescindere i casi veri di alterazione da quelli che sono invece moderne tecniche di produzione del fantastico mondo dell’enologia.
Son d’accordo con lei sull’integrità che deve avere un prodotto, e sarà prossima la comparsa sulle etichette delle bottiglie di vino, la lista di “ingredienti” e “stabilizzanti” compresi gli allergeni (vedasi solforosa), se poi vogliam parlare della miriade di prodotti esistenti in commercio, beh li si apre ancora un altro discorso, soprattutto di tipo commerciale, sta all’enologo definire quelle che sono le migliori pratiche, in funzione della tipologia di prodotto da ottenere. Le ricordo che la naturale evoluzione di un vino è arrivare ad aceto, e un vino, che sia da 90 o 9euri decide il proprio destino proprio in funzione delle attenzioni che gli sono state rivolte.
Un’ultima cosa..vedrei un po difficile una cena, “innaffiata da una dose abbondante di alcol”, nella quale ad ubriacarsi è solo il povero enologo..e se son questi i risultati…beh direi che il vino non è assolutamente per tutti.
@michele, seppur da un punto di vista “letterale” lei abbia ragione, da un punto di vista meramente legale l’aggiunta di additivi aromatizzanti al mosto o al vino non è “sofisticazione” in quanto consentita.
Nei fatti ha ragione lei: modificare il profilo aromatico del vino è una manipolazione “sofisticante”.
Che fare allora? Credo che l’unica soluzione sia quella di obbligare i produttori a indicare in etichetta gli additivi usati. Poi ognuno compra ciò che vuole.
@Massimiliano Montes, gentile signore, era proprio quello che intendevo dire. Perchè allora utilizzare un titolo fuorviante, che grida allo scandalo, se ad essere utilizzati sono prodotti legalmente utilizzati? Ripeto, si parla di sofisticazione solo se per quantità e qualità vengono impiegati composti non ammessi legalmente. Concorderà con me allora, che forse si tratta solo di una questione di informazione, ma mi sembra personalmente eccessivo chiamare “porcherie” sostanze che sono largamente utilizzate nell’industria alimentare, forse solo per attrarre un po più di visualizzazioni, ma il lettore, non del settore, leggendo questo articolo potrebbe giungere a conclusioni non vere o non suffragate da dati tangibili che possano verificare le ipotesi sostenute.
Sul profilo aromatico inoltre, le aggiungo che magari si riuscisse a modificarlo cosi facilmente, e le assicuro che noi enologi non siamo come tanti grandi stregoni, li col calderone a preparare chissà quali porcherie, ma spesso il tutto va contestualizzato alla realtà di produzione e alla qualità della materia prima (che ricordiamoci dovrebbe essere l’uva).
Ringraziandola per gli spunti che presenta sul blog, le porgo i miei cordiali saluti.
@michele, il titolo non è fuorviante. Una sostanza può anche essere legale (e quindi non è una sofisticazione) ma essere una porcheria. Lo scandalo nasce dal fatto che molti (non so lei) non vogliono che si sappia quali prodotti industriali vengono usati per fare certi vini.
Se non c’é nulla di male perché dovremmo mantenere “il segreto”? Perchè nei contratti degli enologi spesso ci sono delle clausole di riservatezza, dei patti contrattuali che impediscono esplicitamente di parlare dei prodotti enotecnici usati in cantina?
Lo scandalo sta nel fatto (l’uso di additivi aromatizzanti o di presidi che alterano il vino), non nella comunicazione del fatto.
Dimostrazione di ciò è che il grande pubblico sconosce il tema e divora queste notizie.
@michele, Sig. Massimiliano Montes, allego qui il commento perchè non mi riesce farlo di risposta al suo ultimo commento.
Mi scusi ma la questione riguarda solo un problema d’informazione, ma personale. Perchè basterebbe consultare i siti internet di grossi e piccoli brands di prodotti enologici, per capire che tipo di prodotti vengono impiegati o studiarsi un po di chimica, ma il fatto che non si conosca la loro natura o il motivo di utilizzo non deve portare, per direttissima a classificarli come porcherie. Le ripeto, la maggior parte dei coadiuvanti impiegati, sono comunemente impiegati da anni nell’industria alimentare, anche nel salutare succo di frutta che quotidianamente bevono grandi e piccoli. Le dico inoltre, che nella realtà produttiva italiana, già di per sè molto intricata, a livello legislativo, saranno a breve disponibili (credo) tutte le informazioni che il consumatore sente l’esigenza di avere. Ritornando al titolo, volendosi limitare solo a quello, le ripeto che è assolutamente fuorviante a mio parere, perchè non è ammissibile (ripeto a mio parere) tralasciare ipotesi di truffa senza presentare nomi e cognomi o dati che sostengano le accuse. Capisco che lei magari è in buona fede, ma ambientare questo “scoop”, in una cena inondata da alcol con un enologo di fama ubriaco, il quale era li, probabilmente col solo intento di affondare le sue colpe, senza neanche sapere con chi fosse seduto a tavola, non mi pare il migliore dei modi per trattare argomenti del genere.
@michele, chiunque snatura l’aroma e il profilo organolettico del vino (lo addolcisce, lo fa profumare di big babol o di vaniglia etc.) commette una manipolazione. Io la chimica e la microbiologia le conosco bene per lavoro e so perfettamente con quali additivi abbiamo a che fare.
Purtuttavia sono un liberale e non ne voglio proibito l’uso, ma semplicemente li vorrei indicati, obbligatoriamente, in etichetta.
Mi dispiace per chi ama il vino
non ho commenti sono astemio
e allora perché commenti?
Per solidarietà sono Franciacortino
@Alberto Glisoni, 🙂
Stronzate…chi fa il vino non sono tutti uguali, la cultura e la conoscenza, non della chimica, ma dei processi di trasformazione sono fondamentali per fare un vino in primis, vero, buono e differente
@Giacomo, nessuno dice che sono tutti uguali. Per fortuna c’è il vino buono… altrimenti noi non avremmo di che bere (e di che parlare 😉 )
Vorrei rispondere ad una parte della categoria degli enologi e soprattutto all’enologo @Maurizio Caffarelli, che afferma “Lei forse non lo sa ma a livello di normative riguardanti il vino, siamo uno dei paesi più legiferati e tutelati a difesa del consumatore, proprio perchè per noi il vino rientra nella linea dei prodotti alimentari”
AHAHHAAHHAAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHAHHAHAHAHAHAHAHHAHHAHAAHAHAHA
Mi scusi la grassa risata perchè quello che dice è quanto meno falso e soprattutto cerca di difendere parte di una categoria che oggettivamente è INDIFENDIBILE. Il vero problema è nella norma e glielo dice uno che con le norme ci è immerso giornalmente. Attuare pratiche previste dalla norma, quando la norma stessa però non prevede l’elenco completo di quello che viene aggiunto al vino, come dire ti piace vincere facile. Detto questo vorrei vedere quante persone acquisterebbero il vino di un certo tipo se ci fosse scritto dietro CONTIENE: gomma arabica, lisozina, albumina, acido tartarico, lieviti modificati, mosto concentrato, gelatina, bentonite, caseinato, acido citrico, acido malico, acido lattico, farina fossile, metabisolfito di potassio, anidride solforosa liquida, mosto muto, mosto concentrato, mosto dolce, anidride carbonica e potassio sorbato.
Forza parliamone e vediamo quanto la sua categoria si batte perchè questi elementi vengano chiaramente evidenziati nell’etichettatura.
@Carlo, nessuno vuole offendere tutta una categoria. Conosco personalmente bravissimi enologi che fanno eccellenti vini rispettando territorio e varietà, ci mancherebbe!
Il problema è che la legge consente di usare questi prodotti, e c’é chi li usa. La soluzione non è quella, illiberale, di proibirne l’utilizzo, ma bensì di indicarli in etichetta così ognuno compra consapevolmente quello che vuole.
@Massimiliano Montes, nella mia risposta ho detto “una parte della categoria…”
Detto questo mi batto tutti i giorni per questioni di lavoro sulla verifica delle etichettatura ed altro, purtroppo “attaccare” il mondo vino o parte di esso è praticamente impossibile, troppi soldi, troppe aziende coinvolte, troppa politica. Lo STATO italiano, in quanto uno dei maggiori produttori di vino, dovrebbe essere il primo a lanciare un segnale forte all’interno della comunità europea di come il consumatore DEVE essere informato su cosa ci sia all’interno di un prodotto, sulla sua provenienza ed origine. Il rischio però di essere mal visti e di andare a scoperchiare il vaso di pandora è troppo alta, allora meglio tenere un profilo basso. Ricordiamolo bene ogni STATO E’ sovrano nel suo territorio e può emettere norme più restrittive rispetto a quelle comunitarie.
@Carlo, nella sua risposta la parte più interessante è la “grassa risata” e sono lieto di averla fatta sorridere. Per il resto butta giù una serie di prodotti che conosce per sentito dire e che magari non sa che in parte sono contenuti naturalmente nel vino, in parte sono stati aboliti grazie alla “mucca pazza, una parte sono terre inerti ma tutte insieme creano falsi allarmismi.
Sono spiacente che non apprezzi la categoria ma del resto non possiamo accontentare tutti…, però mi permetta di darle un consiglio , da oggi ci consideri un pò come i dottori del vino. Immagino che nella sua vita qualche volta abbia avuto bisogno di andare dal medico per un banale problema fisico e il suo medico a tutela della sua salute magari le avrà prescritto qualche diabolica medicina con principi attivi impronunciabili ….. e lei per tutelare la sua salute sicuramente li ha ingurgitati. Lo stessso medico, quando lei sta bene non viene a casa sua a proporle “inutilmente” una qualsiasi terapia perchè non necessaria. Ogni prodotto ha un suo perchè e se viene usato (essendo legale), lo si fa solo in casi estremi e il più delle volte per evitare che un prodotto che uscirebbe tal quale potrebbe essere più pericoloso di un prodotto che è stato curato, grazie.
Buona giornata.
@Maurizio Caffarelli, purtroppo per lei non sono ingredienti sentiti per caso o leggende metropolitane ma sono ingredienti inseriti da un suo collega per la preparazione del “vino”. Purtroppo per lei faccio parte di una categoria che non amate perché siamo quelli scoproni le porcherie e/o omissioni che parte dei suoi colleghi fanno e/o effettuano.
Sono davvero felice di questa discussione perché mi servirà come informazione e sensibilizzazione dei miei colleghi poco informati su questo argomento specifico.
Servirà inoltre per informare i laboratori su le ricerce specifiche da effettuare durante le analisi di conformità. Perché sostanzialmente il problema è li nelle verifiche in quanto a poche persone viene da pensare di cercare proteine dell’uovo o del latte all’interno del vino.
Purtroppo la nuova norma vi tutela nel non dover dichiarare la colla di pesce e appare quantomeno strano perché il divieto valga solo per il vino, mentre per altri prodotti DEVE esserr indicato come allergene.
Quindi eviti di fare sarcasmo ed inizi a fare una seria compagna di trasparenza perché la sua categoria non ne esce bene, diciamo che apparite “poco” collabotativi.
@Carlo, il mio non è sarcasmo, per me il confronto è importante e rispetto le opinioni di tutti ma sopratutto cerco di non esprimere pareri generici su intere categorie. Che lei stia lavorando alla ricerca di un qualcosa che tuteli ancor di più la salute dei consumatori è cosa buona e giusta, che si batta per avere più trasparenza in etichetta è cosa buona e giusta ma eviti di sparare a zero su una categoria che cerca di svolgere al meglio il proprio lavoro, ripeto: sempre cercando di stare in linea con le vigenti leggi.
Se pensa che questo ci mette in cattiva luce e comunque libero di continuare a pensarlo.
Riguardo alla collaborazione le lascio la mia mail personale maurizioc@ffarelli.it la usi pure per eventuali necessità.
Saluti
@Maurizio Caffarelli, dopo i suoi discorsi a difesa dell’indifendibile non credo mi serva una sua collaborazione, lei continui i suo lavoro io continuerò come umile servitore delle stato a vigilare su quello che combina partr della sua categoria.
quello che la rende poco credibile è proprio che lei cerca di difedere TUTTA la categoria invece di prendere le distanze da certi “alchimisti” che si fanno chiamare enologi.
Il fatto che si operi nella legge è una emerita presa in giro, perché tutelati da un’etichettatura inesistente e si vanno magari a dare colpe a sostanze invece che altre e l’esempio è che si accusa sempre il solfito presente quando uno beve il vino e sta poco bene quando magari la persona è intollerante all’uovo e nel vino c’è stato messo l’albume dell’uovo. Secondo lei il consumatore medio È A CONOSCENZA delle porcheria chensi beve a norma di legge?
Ma su faccia più bella figura e prenda pubblicamente le distanze da certi suoi colleghi.
@Carlo, Signori… poniamo un freno alla polemica 😉 Grazie.
@Massimiliano Montes, Caro Massimiliano nessuna polemica le mie sono semplici constatazioni dei fatti io a differenza “dell’enologo” sopra parlo per fatti reali mentre lui articola classiche difese d’ufficio; forse perché parte di quella parte di alchimisti che a norma di legge ci fanno bere uma bevanda al vino. 😉 😉
@Massimiliano Montes, peccato, io cerco il confronto e invece trovo un umile servitore dello stato che prende posizioni, offende e allude a chissà quali alchimie io/noi enologi possiamo mai commettere. Quindi è meglio così, che ognuno rimanga delle proprie opinioni, lei continui a cercare il pelo nell’uovo e io continuerò a difendere la categoria. Peccato, però così non si cresce e non cresce uno spazio pulito dove potersi confrontare. Amen.
– non sono un enologo, ho abbandonato gli studi
– la scelta o meno di fare vino usando tutta la chimica legalmente (e non) permessa dalla legge non è una scelta solo degli enologi. Troppo facile scaricare la “colpa” solo sulla categoria dei dottori in enologia. Nella quale categoria esistono persone con le più svariate filosofie.
– trovo abbastanza interessanti i commenti e gli spunti che derivano da discussioni come questa, ma spesso finiscono solo a battibecchi tra produttori \ scrittori \ “opinionisti” del mondo del vino, escludendo la grande massa di bevitori con una cultura enoica insufficiente per capire di cosa si parla
Per far capire al “mondo” perchè chi si occupa di vino perde tanto tempo a discutere su argomenti come questi bisogna aprire loro la mente con una domandina : perchè il vino è l’unico alimento a livello globale che non presenta gli ingredienti in etichetta?
Non demonizzate gli enologi, di bravi ce ne sono…e convinti anche che senza chimica il vino buono si può fare…il problema è che magari non trovano lavoro
@Matteo, Ma che scusa è questa? non trovando lavoro allora è giusto che non si battano per quello che è eticamente corretto? sono laureati ed è una categoria riconosciuta, forse e dico forse se remassero tutti dalla stessa parte…..
Certamente parte del problema E’ il consumatore finale che dovrebbe boicottare il consumo e porre lo stato davanti all’evidenza dei fatti per far si che l’etichettatura diventi obbligatoria anche per il vino.
@Carlo, la frase “non trovano lavoro” non è una scusa, volevo fare un riferimento ad una mia personale situazione.
@Matteo, tu dici cose sagge e condivisibili. So benissimo, anche per racconto diretto da parte di alcuni tuoi colleghi, che è il meccanismo che ti stritola e il sistema padronale industriale che esige dall’enologo qualcosa che a volte neanche l’enologo vorrebbe fare.
E’ anche vero che ci sono enologi che hanno fatto fortuna con un meccanismo “produttivo” che prevede determinate tappe standard (al punto che c’è chi riconosce il vino fatto da questo o da quel famoso enologo) associato ad un sistema di “marketing” che coinvolge giornalisti e guide. Si sa che chi ingaggia l’enologo famoso non lo fa solo per fargli fare il vino, ma anche per farglielo vendere.
C’è poi il piccolo produttore artigianale che a volte sopperisce alle sue lacune tecniche chiedendo consiglio a qualche enotecnico o enologo o addirittura con “l’autoprescrizione” di prodotti enotecnici 🙂
Il quadro è questo, e forse l’unica soluzione è quella di indicare in etichetta, anche con dei codici, tutti i prodotti usati.
so che perdo tempo, ma la mia pedanteria mi frega. I raggi UV per ora sul vino sono vietati. Personalmente la ritengo una boiata visto che si usano sull’acqua, sui succhi di fruttta, sul latte e spero che siano presto autorizzati. Sono un metodo fisico e non chimico che non lascia traccia nel prodotto e che consente tra l’altro di produrre vini senza solfiti che siano anche bevibili. Non è l’unico metodo ovviamente ma è forse quello più adatto a produzioni industriali. Che non interessano ai lettori di questo blog, e come consumatore nemmeno a me, ma al restante 99,9% dei consumatori sì. Ancora questa storia che il vino è l’unico alimento al mondo che non ha gli ingredienti in etichetta? Come dobbiamo dirvelo che non è vero? ma forse è inutile. Ammettiamo che è vero e che è uno scandalo indecente, ci strappiamo le vesti e chiudiamo la discussione.
@Maurizio Gily, e stabilizzano anche il colore… i raggi UV intendo 😉 Anzi, lo scuriscono.
Gli additivi citati dallo sbronzenologo sono usati comunemente e del tutto legalmente.
Poi esistono quelli illegali, pure questi vengono a volte usati. Tra questi gli aromi specialmente di frutta, mai sentito parlare di aroma prugna o ciliegia fragola banana o ananas? Niente di velenoso si intende sono aromi utilizzati comunemente nell’industria alimentare, specialmente nella dolciaria.
Forse il vino è campo dove vengono utilizzate meno porcherie, certo la frase “da quando non ho più l’enologo (interno) ho dimezzato la spesa per l’acquisto di additivi” fa pensare.
Ripeto il vino è solo la punta dell’iceberg, ha una visibilità mediatica molto maggiore di quello che inghiottiamo tutti giorni.
Il resto è probabilmente peggio, lo confermano gli scandali che spesso vengono alla luce, e la mia trentennale esperienza nell’industria dei salumi.
Nulla (o quasi) sfugge alla logica di una produzione industriale che deve da una parte limare costi di produzione e dall’altra garantire una costanza di sapore, odore e colore su di un perido medio lungo (anni). Dentro i salumi ho visto infilarci di tutto: antibiotici, antifermentativi, persino formaladeide. Qualcuno ha idea del miracolo che possono fare pochi grammi di bisolfito infilato in una partita di carne così per dire molto molto frollita? (queste pratiche non sono comunemente usate ma solo talvolta)
Tornando al vino ingredienti subito in etichetta. Niente di terribile, è solo un segnale che da indicazioni sullo stato di salute delle utilizzate per fare quel vino.
@paolo rusconi, detta così però sembra che gli aromi di frutta ci siano solo perché additivati. In realtà non è così, il vino naturalmente ha i suoi aromi primari di frutta.
Lo preciso a beneficio di chi ci legge, che magari potrebbe pensare che la frutta nel vino sia esclusivamente indizio di manipolazione.
Il resto che tu dici è sacrosanto. Purtroppo tutto ciò che mangiamo e beviamo, provieniente da un processo produttivo industriale, è a rischio. A cominciare dalle merendine per i bambini.
Il lavoro che fai tu con “sorgente del vino” è meritorio, e sicuramente sinergico a quello che scriviamo noi su gustodivino.
Articolo non provocatorio ne che rivela nulla di illecito ( lo ripete molto chiaramente) ma con un tono alla woody Allen del ” tutto quello che volevate sapere sul sesso e non avete mai osato chiedere…” RIMARCA delle cose molto evidenti ed incontestabili . Il vino non lo dovrebbero fare gli enologi ma i vignaioli ,storicamente l’enologo interveniva con la sua professionalità per porre rimedio a sventure naturali o errori umani…pian piano si inizio a prevenire ne più ne meno come in medicina fino ad arrivare a ” produrre” il vino dell’enologo. Non desidero dare nessun giudizio ne qualitativo ne di natura morale e pur rendendomi conto di tutte le variabili commerciali finanziarie personalmente considero IL VINO un prodotto ottenuto da uve naturali ( come natura dispone supportata dalla sapienza contadina e non chimico industriale) e VINIFICATO in modo PROFESSIONALMENTE EVOLUTO ,COLTO MA AL NATURALE. Non esiste giorno in cui un normalissimo consumatore che sperimenta per un lasso di tempo l’alimento vino al naturale poi percepisca meno piacevole il vino detto convenzionale. Il vino al naturale può essere costoso,blasonato,stravenduto oppure essere artigianale e di nicchia ma NON E’ una MODA e’ il vino .Un vino al naturale non e’ antitetico all’enologo ne l’enologo e’ antitetico al vino al naturale .La polemica e’ indirizzata spesso verso il vino al naturale e la sua identificazione ma questo e’ un errore di metodo perché dovremmo fare tutti il contrario ovvero andare per esclusione e definire cosa NON DOVREBBE ESSERE CHIAMATO VINO.
Certo che un vino trattato con raggi UVA……..
@Carlotta, credo che siano UVB. Chi produce questi macchinari ha scarso senso dell’umorismo 😉
al solito è un piacere leggervi e ripercorrere tutte le esperienze + o – evolutive della tua esperienza, e arrivare a dedurre che il vino è come l’uomo, ambiguo e surreale = ingurgitiamo ciò che siamo (liquido o solido che sia).
@graziano… che dire, grazie 🙂
la cosa bella del vino e’ che oltre che stimolare i 5 sensi, stimola anche il cervello e fa sognare…il lato negativo e’ che, a volte, si rischia di esagerare e partire quindi per ragionamenti strani, allarmistici e poco significativi. La lista dei prodotti ammessi in enologia e’ pubblicata su gazzetta ufficiale e disponibile a tutti quelli che volessero, o impararla a memoria o trascriverla sul blog. Detto questo, mi domando: ma la carne e’ più buona cruda o cotta? Il sale c’è lo metti o no? E un filino d’olio non ci sta bene? E il sugo di cinghiale? Ce lo metti il pomodoro, l’aglio, la cipolla, il sedano, la carota, l’alloro, la salvia, il rosmarino e le bacche di ginepro, il peperoncino, il sale, lo zucchero e il bicarbonato(se il pomodoro e’ acido)?.
E le donne? Quando escono, escono così come escon dal letto oppure si truccano si pettinano si riempiono di creme e indossano gioielli costosi e accessori a volte inutili e costosi?
Sinceramente non posso dire di essere basito perché ragionamenti così ne sento spesso e una ragione di esistere ce l’hanno: il vino è bevuto con il desiderio di assaggiare un prodotto che sia interprete del territorio in cui cresce la pianta e quindi si pensa che con tutte queste aggiunte il vino sia taroccato e che non rappresenti più il territorio. Non è così. Per quanto un enologo aggiunga prodotti (consentiti) non può trasfigurare il vino ma solo renderlo più buono o più cattivo nello stesso modo in cui una buona carne valorizza lo spezzatino (anche se poi gli ingredienti sono tantissimi). Non c’è niente di particolarmente strano in questo e, se non fosse che il titolone crea allarmismo in chi poi non approfondisce, ci sarebbe da sorridere. Approfondire sempre prima di dare informazione è importante sennò si rischia di fare come con gli OGM di cui tutti parlano ma in pochissimi sanno quello che dicono.
@Gaetano, è come mangiare la besciamella del supermercato o quella fatta a mano da uno chef. Nessuno dice che la prima sia tossica, me sicuramente la seconda è più genuina e più buona (più bravo è lo chef più buona sarà la besciamella).
Ognuno può fare il vino come vuole, l’importante è che scriva in etichetta come lo fa.
P.S. Francesco ha ragione
Questo Sig. Enologo ha un senso dell’amicizia che è veramente meraviglioso. Le faccio i miei più sentiti COMPLIMENTI. Mi raccomando a Voi, amici dell’Enologo, non perdete questa Vostra vera amicizia, tenetela molto stretta, non si trovano in giro amici di questo genere. L’Enologo è un vero amico tiene a Voi e alla vostra salute come solo un vero ed unico amico riesce a fare. Ancora, tantissimi, COMPLIMENTI!
@Gaetano, avresti ragione se ci fosse trasparenza, cosa che invece manca. Se parli con qualsiasi enologo nessuno ammetterà mai di usare certi prodotti. Se senti gli enologi tutti i loro vini sono fatti nel rispetto del terroir e non subiscono correzioni. Nel vino c’è bisogno di più chiarezza, te lo dice un vignaiolo che lavora in biodinamica e si trova in continuazione a dover subire una concorrenza sleale. Quando parlo con altri produttori o con i loro enologi, pur sapendo in che modo lavorano, mi sento dire che loro non usano lieviti selezionati, enzimi, tannini,mannoproteine, trucioli, staves, colle di pesce ecc… cazzate. Apri alcune guide e magicamente tutti sembrano produttori di vini naturali, tutti a mentire e coprire quello che fanno in vigna e in cantina. Basta, ognuno è libero di usare quello che vuole, ma lo ammetta e lo riporti in etichetta per favore, altrimenti siamo capaci tutti a produrre vini “buoni” e perfetti, ma falsi. I miei vini non saranno perfetti e per alcuni non saranno buoni ma sono sempre veri. la legislazione attuale protegge l’ industria del vino, a discapito di noi piccoli produttori. Un consumatore leggendo l’etichetta di un vino non ha idea di quello che può contenere. Tutti i vini sembrano uguali dall’etichetta e questo non va bene, è scorretto.
@Francesco È vero, non c’è trasparenza, ma questo non significa che il vino addizionato sia più falso di un biodinamico. È anche vero che i produttori dicano il falso quando dicono che non aggiungono niente. L’esigenza però di raccontare bugie è dovuto alla visione sempre più “naturalistica” del vino che obbligherebbe i produttori a non fare più vino buono come primo obiettivo, bensì “vino naturale”. Se poi il vino viene buono, è meglio, ma non è prioritario. Non voglio aprire una polemica sul vino naturale o biodinamico, voglio solo far capire che non ritengo questa discussione una questione di merito; cioè non c’è scandalo, non c’è qualcosa di scioccante e non c’è niente che metta in pericolo il cittadino. È solo un problema di moda. Oggi tutti vogliono il naturale ma l’idea del naturale sdoganata ad oggi è la stessa di un secolo fa e fa a pugni con una mentalità scientifica dell’enologo. Al Sig. Carlo vorrei dire che i toni che usa sono incompatibili con una comunicazione costruttiva; da come parla si capisce lontano un chilometro che tutte le informazioni che ha sull’argomento vengono dallo stesso posto. Il sarcasmo non serve a nulla.
@Gaetano, e mi dica, da dove verrebbero? Perché se avesse letto cin attenzione i miei post precedenti il suo dubbio sarebbe privo di senso.
Ora detto questo la mia è una comunicazione diretta, chiara e trasparente perché io, a differenza di altri qui, non prendo posizioni di parte o difese d’ufficio, proprio perché sono la VERA parte priva di interessi in questa discussione. Anzi a dire il vero un interesse c’è ed è quello che in primis mi piace fare ed è la trasparenza e la libertà di scelta, rimanendo sempre entro quello previsto dalle norme, benche a volte poco chiare e/o piene di falle.
@ Massimiliano Montes Non è detto che la besciamella industriale sia peggiore di quella del grande schef: se la materia prima utilizzata è buona, è quasi sicuro che quella industriale sia più buona di quella del grande chef. Questo succede perché, a livello industriale, la gestione delle temperature di denaturazione delle proteine ecc, è più precisa di quella fatta un po’ alla carlona dal grande chef.
Naturale non significa “a casaccio”. Oggi, naturale, per qualcuno non significa più niente, per altri è un concetto legato ad una visione ottocentesca della vita. È un problema legato alla crisi economica e alla crisi dei valori, secondo me; ma è ben lungi dall’essere vicina alla verità. Ciò non toglie che questa è ormai una realtà con cui dobbiamo fare i conti. Io ho fatto un vino senza solfiti che sta andando a ruba. Non è più sano degli altri, secondo me, ma nutre il cervello più dei vini tradizionali
p.s. I produttori non vogliono scrivere in etichetta quello che c’è nel vino non perché se ne vergognino ma perché c’è una ricaduta economica dovuta al pregiudizio legato al naturale
@Gaetano, perdonami ma lasciati dire che devi chiarirti molto le idee, bere tanto e bene, mangiare altrettanto e bene (gli Chef che ci leggono stanno saltando sulla sedia).
La vita è bella perché è varia: tu mangia e bevi quello che vuoi e io continuero a mangiare e bere quello che credo sia meglio.
@Massimiliano Montes, sottoscrivo ma …. ma… ti sei dimenticato una piccola parte alla tua frase “……. quello che credo sia meglio ed essendone informato” 😉 😉
Un vino corretto è falso perchè si ricorre ad espedienti per modificarlo: senza quelle aggiunte il vino si esprimerebbe in modo diverso. E’ come una donna che ricorre alla chirurgia estetica: cambia i suoi connotati. Qualsiasi vino, trattato, ti assicuro che cambia faccia completamente
@Francesco, giusto. certe donne che ricorrono alla chirurgia estetica sono nauseanti: zigomi, labbra, occhi da schifo… e credono di essere belle. Stessa cosa per i vini taroccati.
Qualcuno parla di solforosa nel vino… non conoscendone provenienza o limiti
Nella frutta secca.? Baccalà , aceto ?
Avete mai analizzato istamine putrescine o cadaverine in alcuni vini natur….
Demagogia,si parla solo xche politica o sport non sono più trendy
Allora ok
Bla bla bla ,glu glu glu, filu filu filu …enologo qui enologo la,metti questo leva quello, industriale ,besciamelle,seno rifatto viagra… AO( romanesco senza lieviti selezionati) ER VINO LO FA ER VIGNAIOLO MA LO VOLETE DA CAPI’ O NO ?
Il vino e’ naturalmente ottenuto dalla fermentazione di mosto da uve fresche TUTTO IL RESTO NON LO HANNO INVENTATO QUELLI CHE BEVENO VINO ma quelli che vogliono cambiare qualcosa che già esiste nell’artigianalita’ sapiente dell’uomo.
@Eretico Enoico, ho sempre sostenuto che se un ptodotto piace al mio palato e sono informato sul suo contenuto lo assumo conscio ai rischi è una mia libera scelta. Tutto il resto mi può anche star bene purché non trascenda la frode.