Nel vino trattato con trucioli legnosi molecole aromatiche di noce di cocco, vaniglia e cannella

Una ricerca della Facoltà di Scienze chimiche di Ciudad Real ha studiato il vino trattato con trucioli legnosi. Il vino è stato analizzato con il metodo della gas cromatografia-spettrometria di massa (GC-MS) ed i risultati sono stati confermati da un panel di assaggiatori.

I trucioli legnosi sono un’alternativa a basso costo alle barriques, e vengono utilizzati in infusione nel mosto o nel vino giovane. Questo studio dimostra che i comuni trattamenti enologici modificano pesantemente il profilo aromatico originale del vino, trasformandolo in altro. Una bevanda che origina dall’uva ma che di vino conserva solo il nome.

Il pretesto dei produttori di inseguire un fantomatico mercato ha una valenza relativa. Chiunque ami il vino non accetterà mai tali stravolgimenti, che potranno piacere solo a quelle fasce di consumatori meno avvezze a bere vino e più orientate verso succhi di frutta, bevande alla cola e drink.

In questo studio le chips (i trucioli legnosi) sono stati introdotti nel mosto proveniente da uve Moravia agria in tre fasi: durante la fermentazione alcolica, durante la reazione malolattica, e nel vino giovane.
I vini fermentati con trucioli legnosi hanno mostrato una più elevata concentrazione di molecole aromatiche, di esteri etilici, di acidi grassi a lunga catena e di alcoli superiori. L’aggiunta dei trucioli durante la reazione malolattica ha incrementato invece la concentrazione di benzene e di composti lattonici e furanici.

 

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/23107700

 

9 thoughts on “Nel vino trattato con trucioli legnosi molecole aromatiche di noce di cocco, vaniglia e cannella

  1. Nic Marsél

    Ma quindi secondo i trucioli in infusione sarebbero legali? A me risultava che qualsiasi tipo di aromatizzante fosse vietato salvo appunto il caso specifico dei “vini aromatizzati” come Barolo Chinato o Vermut

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    1. Massimiliano Montes

      Eh si. Ma noi siamo liberali. Facciano il “vino” come vogliono. Purché lo scrivano in ETICHETTA!

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      1. Mario Crosta

        Penso che la dichiarazione in etichetta (o in controetichetta) dei componenti e dei metodi di produzione sia ormai l’unica strada possibile. Lo è per altri alimenti, non vedo perché debba essere il vino l’unico a non adottarla. C’è soltanto un problema, almeno nel nostro Paese. In Italia, prevedo che i componenti saranno sempre mascherati da sigle riconoscibili soltanto agli addetti ai lavori e non certo al comune cliente, come capita per esempio con E120 (acido carminico), E222 (bisolfito di sodio), E558 (bentonite) eccetera. Se uno vuol mettere un po’ di merda secca nel Barolo per dargli quel non so che di “merdìn” che fa tanto tipico, almeno per il nonno, non scriverà certamente merda secca in etichetta, ma non mi sbaglierei di molto se scrivesse, magari, uno dei vari Bristol Stool Chart Type Number…

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  2. Mauro Caroli

    Da chimico posso dire che è una vera e propria aromatizzazione. L’infusione estrae aromi dalle scaglie di legno, che verosimilmente sono state pre-trattate.

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  3. Patrizia

    Andrebbero sbandierate ai quattro le preziose etichette prodotte da questi criminali alchimisti!

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    1. Massimiliano Montes

      Cara Patrizia, ma non sono solo quattro. Altrimenti i produttori di chips fallirebbero.
      Sono pratiche enologiche ormai di uso comune, lo fanno tante etichette che troviamo sugli scaffali delle enoteche (la maggioranza credo) e praticamente tutti i vini che prendono grandi premi.

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      1. Patrizia

        @Massimiliano, immagino… volevo dire ai quattro venti.
        Ma evidentemente come vedi anche il vento vuole mantenere le distanze.

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