Michelin, crisi e prezzo etico

Riflettori accesi sulla guida Michelin. Come ogni anno nuovi ingressi e retrocessioni attirano le curiosità degli appassionati.

Mi sono sempre chiesto quale sia il reale effetto pubblicitario e le ricadute delle stelle Michelin sugli incassi dei ristoranti.
Premetto che la guida Michelin è l’unica che suscita le mie simpatie, per due motivi: non accetta pagine pubblicitarie, ed è scritta da un’azienda che vive di altro. La Michelin è un colosso nella produzione e vendita di pneumatici, non ha bisogno di fare markette a spese dei ristoratori. Certo la guida può sbagliare, come sbagliamo tutti. Ma senza markette l’errore è più accettabile.

Ritornando alle ricadute pubblicitarie, i premi Michelin migliorano gi affari? In genere i ristoranti premiati dalla Michelin aumentano i prezzi. Questa è l’unica conseguenza che sembra certa.

Se al conseguimento di un premio dalla guida Michelin segua un incremento della clientela è argomento controverso. I turisti stranieri seguono maggiormente le indicazioni guidarole, gli italiani no. Inoltre, in tempi di “spending review” l’interesse del grande pubblico per l’alta ristorazione è decisamente scemato.

Uno dei temi più dibattuti, specialmente tra i consumatori e i critici più attenti ai risvolti sociali della ristorazione e dell’enogastronomia tutta, è il costo medio di un pasto nei ristoranti stellati.

Spendere cifre variabili dagli 80 euro ai 300 euro a persona per un pasto è compatibile con il salario medio di un italiano e con i sacrifici ed i tagli che ci vengono imposti? Esiste un prezzo “etico” per la ristorazione?

Una cosa che ho sempre trovato un po’ strana e anomala, è la presenza di personaggi che provengono dal mondo dell’antagonismo e della sinistra tra i proprietari e gli chef di noti ristoranti. Mi sono sempre chiesto se si fossero mai posti il problema che la loro è una cucina elitaria e sicuramente non accessibile ai più.

Chi però conosce le dinamiche dell’alta ristorazione, una risposta, seppur parziale, se la può dare. La scelta quasi maniacale di materia prima d’eccellenza, la complessità delle preparazioni gastronomiche d’alta cucina, che richiedono ore di lavoro, di precisione e di estro creativo, giustificano almeno una parte dell’elevato costo.
Se a questo si aggiunge la volontà di avere arredi e corredi di qualità e un servizio in sala d’elevato livello, i costi complessivi salgono inevitabilmente.

Possiamo riassumere ipotizzando che c’è un reale elevato costo di gestione di un ristorante che vuole proporre alta cucina.
E’ pur vero però che molti ristoranti di fama applicano un plus-valore ai propri prezzi dovuto ad un’immagine pubblica, veicolata da trasmissioni televisive, riviste e giornalisti professionisti del settore.
Probabilmente non esiste quindi un “prezzo etico” della ristorazione di qualità, ma un prezzo ragionevole che dovrebbe essere dettato da costi reali e non d’immagine. E bisognerebbe anche convincere l’italiano medio che, forse, varrebbe la pena ogni tanto di fare uno scambio: una serata in un buon ristorante invece di quattro serate in pizzeria. Tanto per provare l’emozione di una cucina diversa.

 

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