Lieviti selezionati e fermentazioni spontanee. La parola all’enologo Franco Giacosa

Franco Giacosa ha una storia lavorativa lunga, dalle cantine di Duca di Salaparuta a Casteldaccia (Palermo) dove “inventa” un eccellente Duca Enrico, il Bianca di Valguarnera e il Glicine, per passare nel 1997 alla collaborazione con Gianni Zonin, fino a diventare Direttore tecnico delle aziende della Casa Vinicola Zonin.

Fulminato sulla via di Damasco, ha recentemente abbracciato la causa del naturale. Pur essendo ormai un tranquillo pensionato, Franco Giacosa ha iniziato una collaborazione con VinNatur, e si dedica da appassionato alle problematiche correlate alla vinificazione naturale.

Ci ha regalato un po’ del suo tempo rispondendo ad alcune domande, in quest’occasione incentrate prevalentemente su lieviti selezionati e fermentazioni spontanee. E di questo lo ringraziamo.

Spesso i nostri post hanno generato curiosità nei lettori, e molti ci chiedono precisazioni sui lieviti selezionati e sul loro uso abituale nelle cantine. A memoria tua da quanto tempo si usano i lieviti selezionati commerciali? Ovviamente ci riferiamo a un utilizzo diffuso, non sperimentale.

Per quel che ricordo negli anni ’60 i lieviti selezionati si usavano pochissimo e solo per problemi di fermentazione difficile o rifermentazioni. Per la mia esperienza l’uso abituale dei lieviti selezionati, sotto forma di lieviti secchi attivi, si è diffuso durante gli anni ’70. Già negli anni ’80 quasi tutti i protocolli di vinificazione delle aziende medie e grandi ne prevedevano l’uso sistematico.

L’obiettivo iniziale era quello di evitare arresti di fermentazione o fermentazioni anomale sempre più a rischio a causa dell’utilizzo di antibotritici o antiparassitari in genere. In seguito comparve anche l’obiettivo di conferire ai vini alcune caratteristiche particolari sopratutto per quelli ottenuti da uve di modesta qualità.

Come si faceva in precedenza a fare il vino senza lieviti aggiunti? Si usava il pied de cuve o si preferiva fare partire la massa tutta insieme?

In precedenza le fermenazioni avvenivano in modo spontaneo con l’aiuto della solforosa. Il pied de cuve era praticato quasi solo per la produzione degli spumanti. Nel caso di fermentazioni stentate si utilizzava, quando disponibile in cantina, del mosto in piena fermentazione per aiutare l’innesco della fermentazione alcolica in modo da evitare residui zuccherini nei vini. Per i vini dolci invece si cercava di interrompere la fermentazione alcolica.

I nomi di alcune etichette che in epoca pre-inoculo hai avuto l’occasione di assaggiare e hai ritenuto dei buoni vini.

Francamente mi viene difficile citare alcune etichette di vini ottenuti da fermentazione spontanra perchè ai tempi non avevo modo si sapere se effettivamente si trattasse di vini ottenuti veramente da fermentazioni spontanee o vinificati con l’ausilio di lieviti selezionati.

Presumibilmente, non solo ottimi Baroli e Barbareschi degli anni ’60, ma anche Dolcetti, Barbere e altri tipi di vino quando normalmente non venivano utilizzati lieviti selezionati erano molto buoni. Forse non era sempre così per i vini bianchi ma i problemi erano di altro genere.

Negli anni ’50, quando mio nonno mi chiedeva di andare a prendere una bottiglia di barbera nel “crutin” scavato profondo nel tufo, mi dava fastidio d’estate la bassa temperatura e l’umidità, ma ricordo ancora dopo oltre mezzo secolo l’intenso e piacevole profumo quando stappava una bottiglia della sua barbera che coltivava sulle colline di Alba, certamente senza lieviti selezionati.

Quanto è concreta la possibilità di recuperare oggi diffusamente tecniche di vinificazione senza inoculo di lieviti selezionati?

Gli antichi saperi ci aiutano molto ma il mondo progredisce (a volte anche in modo insensato), si conosce meglio la composizione delle uve e le cinetiche di fermentazione e sono cambiate molte cose per cui riesumare antiche tecniche di vinificazione e applicarle senza una attenta valutazione sarebbe azzardato.

Però, di molti aspetti un tempo ben considerati dovremmo farne tesoro. Ad esempio l’impianto dei vigneti esclusivamente nelle aree vocate alla coltivazione della vite, la conservazione della fertilità naturale del suolo, la cura nell’impianto e nella gestione del vigneto per ottenere uve di qualità che non richiedano interventi impattanti in cantina.

Secondo te i difetti del vino sono causati dalla fermentazione spontanea o da cattive pratiche agronomiche o di cantina?

Buona parte dei difetti che si possono riscontrare nei vini, a mio avviso, sono dovuti per prima cosa alla qualità delle uve; con una buona uva, (sana, ben matura ed equilibrata) bisogna impegnarsi per fare del cattivo vino.

In secondo luogo alla trascuratezza, nelle fasi di vinificazione e affinamento dei vini, delle semplici norme di elementare enologia basate sulla conoscenza e sulla cura meticolosa e non interventista da applicare con tempismo e precisione in ogni fase della produzione

Quali vini da fermentazione spontanea oggi ti piacciono (se te la senti di sbilanciarti)?

Sopratutto in questi ultimi tre anni, da quando seguo, non più professionalmente, alcuni produttori estremi di vini naturali biologici, biodinamici e oltre, sinceramente faccio fatica ad apprezzare pur ottimi vini convenzionali che trovo sempre più di ottima perfezione tecnico/commerciale ma che tendono spesso a seguire dei modelli adatti per il consumatore medio, standardizzati.

Sono gradevoli, privi di difetti ma non evocano particolari emozioni. Debbo ammettere che le mie conoscenze sui vini naturali da fermentazioni spontanee sono limitate alle degustazioni organizzati da VinNatur a Villa Favorita, a Oslo e Zurigo, si tratta di oltre 100 piccoli produttori che in questi ultimi anni, dopo sforzi ed errori nel passato, oggi nella grande maggioranza producono vini ormai privi di difetti che esprimono prorompenti personalità e territorialità.

Se proprio devo citare qualche etichetta, mi piace ricordare, perchè conosco meglio e seguo, il Pico 2011 di Angiolino Maule ottenuto da un singolo vigneto sulle colline di Gambellara, il Riesling 2011 e 2012 e il Cabernet Franc 2012 dell’azienda Dalle Ore sulle colline dei Monti Lessini a Trissino ma, ne dovrei citare centinaia di altri ottenuti in ogni regione d’Italia, tutti entusiasmanti.

Esiste un metodo per comprendere con un buon grado di oggettività se sono stati inoculati lieviti selezionati? Per esempio cercando nel vino i metaboliti degli apiculati che in questo caso dovrebbero mancare o essere molto pochi?

Per quanto ne posso sapere io non esiste un metodo affidabile per determinare in modo obiettivo se un vino proviene da fermentazione spontanea o da fermentazione con lieviti selezionati. Nei vini ottenuti con l’ausilio dei lieviti selezionati, normalmente, la fermentazione non avviene mai in completa purezza e nei vini a fermentazione spontanea vi è una estrema variabilità nello sviluppo dei vari ceppi di lievito per cui risulta molto complicato trovare dei marcatori sicuri.

Risulta forse meno difficile la valutazione nel caso di mosti dove, all’esame del DNA, si potrebbe avere un’idea della biodiversità dei lieviti che hanno partecipato alla fermentazione alcolica molto estesa nel caso di fermentazioni spontanee

Che ne pensi dell’aromatizzazione del vino che oggi va sotto il nome di affinamento?

Quando si parla di aromatizzazione nell’affinamento dove il vino viene posto in contenitori fatti con particolari essenze legnose più o meno tostate o peggio, mettendo il legno di varie dimensioni nel vino (trucioli e staves n.d.r.), e l’aroma del legno altera le caratteristiche del vino siamo di fronte ad un difetto più o meno grave.

Quando invece parliamo di elevazione del vino in contenitori di legno per massimizzare le qualità positive allora si possono raggiungere grandi risultati qualitativi

 

13 thoughts on “Lieviti selezionati e fermentazioni spontanee. La parola all’enologo Franco Giacosa

  1. Pippo

    In realtà si potrebbe capire se un vino è fermentato spontaneamente o no. Basta tarare adeguatamente le macchine con una vasta campionatura. Si prende un certo numero di campioni da sicura fermentazione spontanea e si dosano i metaboliti sia degli apiculati che dei Saccharomyceti, si ripete l’operazione con dei campioni fermentati mediante inoculo di lieviti selezionati. Alla fine si sceglie un cut-off (un livello soglia) dei metaboliti che separa nel migliore dei modi le due diverse campionature e si imposta la macchina su questo cut-off.
    Fino a oggi non lo abbiamo mai fatto perché nessuno ce lo ha mai richiesto.

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    1. Lorenzo

      @Pippo,
      purtroppo non è così semplice, l’unico modo è analizzare il mosto pre fermentazione e poi il vino.
      Solo in questo modo riesci ad avetre un profilo statistico adeguato.
      Anche perchè, ti ricordo che devi valutare caso per caso in che ambiente tu stai effettuando la fermentazione.

      Oaa sarebbe un discorso troppo complesso da fare qui, ma già decidere se lieviti se li è portati l’uva oppure sono in cantina non è una cosa banale.
      Ci sta lavorando l’istituto di bioscienze e biorisorse del CNR, ma ad oggi, niente di affidabile.

      Per quello che concerne l’inoculo o la fermentazione spontanea, non è tanto un esame che definirei “scientifico”, quanto di natura processiva, si chiama un ente certificatore adeguato che si mette li davanti e ti “certifica” che la fermentazione è partita senza l’intervento dell’inoculazione. Non servono analisi scientifiche ed è molto pià affidabile, certo, certifichi il metodo, ma non che fermenti stai utilizzando.

      I produttori seri dovrebbero iniziare a farlo subito, e non soltanto sul discorso degli inoculi… ho sentito parlare di delle bagianate talmente grandi da farmi sorridere… tipo quello che spumantizza in metodo classico aggiungendo semplicemente il mosto 😀

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      1. Pippo

        @Lorenzo, gentile Lorenzo io con le analisi chimiche ci lavoro. È molto più semplice di quello che pensa. Io posso tarare le mie macchine con campioni di vino che mi danno un certo standard e quello diventa il mio riferimento. Stia sicuro che nel vino fermentato spontaneamente trovo facilmente decine di molecole se non centinaia diverse rispetto a quelli inoculati. Come questo metodo lo standard lo creo io.

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        1. Lorenzo

          @Pippo,
          Io lavoro con le analisi biologiche e genetiche da qualche decina di anni. ma questa non penso sia una gara.

          Comunque, il problema non é quello che trova, ma come lo raffronta per dare un risultato/ affidabile con una metodologia ripetibile.

          Cosa vuole che le dica, spero abbia ragione… Sarebbe un altro caso di spreco di soldi pubblici… Tutte le sovvenzioni che diamo al CNR sono soldi buttati :-)))
          ‘Sti ignorantoni del CNR! Mannaggia! 🙂

          Se lei pensa di riuscirci seriamente mettiamoci in contatto e tiriamo su un business.

  2. Pippo

    Ogni analisi ha una sua curva di sensibilità e specificità. Con una buona taratura della macchina potremmo arrivare a un attendibilità del test superiore al 90%.
    Poi ci sono quei valori a metà strada su cui non ti puoi esprimere, sono quei campioni all’intersezione tra due insiemi. Ma il margine di incertezza dovrebbe essere comunque inferiore al 10%. Tutto da provare.

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  3. Nic Marsél

    Molto interessante. Ma sulle fermentazioni pre lieviti selezionati mi sfugge qualcosa. “In precedenza le fermentazioni avvenivano in modo spontaneo con l’aiuto della solforosa”. Ma la solforosa non inibisce il lavoro dei lieviti presenti sulle bucce? Oggi non viene forse utilizzata proprio per fare tabula rasa degli “indigeni” e preparare la strada all’inoculo di quelli selezionati?

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    1. Franco Giacosa

      @Nic Marsél, La solforosa inibisce maggiormente i batteri che, a volte, possono intervenire soprattutto quando le fermentazioni sono lente e stentate (poco frequenti quando condotte con i lieviti selezionati) e, procurare ai vini, difetti più o meno gravi come ad esempio le fermentazioni eterolattiche che portano ad aumenti anomali di acidità acetica e possibili formazioni di sostanze sgradevoli al naso o in bocca. Di fatto inibisce anche i lieviti apiculati responsabili di lievi aumenti di acidità volatile ma anche di una certa complessità olfattiva nei vini. La fermentazione con solforosa avviene comunque ad opera di ceppi di lieviti indigeni presenti sull’uva o in cantina con meno rischi di eventuali deviazioni della fermentazione. Nelle vinificazioni convenzionali, l’eliminazione dei lieviti indigeni avviene con chiarifiche, filtrazioni o centrifugazioni più che con la solforosa in modo da assicurare che la fermentazione avvenga ad opera del ceppo di lievito selezionato che l’enologo ritiene di impiegare per i propri obiettivi qualitativi.

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      1. Lorenzo

        @Franco Giacosa,
        Dottore, le pongo umilmente una questione da ignorante, mi piacerebbe sapere cosa pensa a riguardo:

        Nella fermentazione c’è il concetto di “sopravvento”, tanto è vero che l’inoculazione e/o il “pied de cuve” vengono fatte principalmente per fare in modo che, statisticamente, la quantità di lieviti che l’enologo vuole si usino nella fermentazione siano in misura talmente maggiore di quelli naturalmente presenti in cantina/uva da essere di fatto loro i responsabili della fermentazione, indipendentemente da filtrazioni e centrifugazioni.

        Nella fermentazione spontanea questo processo è assolutamente fuori controllo, nel senso che, non controllando il processo di “sopravvento”, di fatto vince la quantità di lieviti presenti e, ovviamente, più “forti”.

        Ha a questo punto senso parlare di lieviti indigeni/autoctoni ? Non sarebbe più corretto parlare di patogeni o quantomeno, di casualità ?

        Mi spiego: se in una cantina dove fino a ieri usavo lieviti selezionati, a meno di sanificazione estrema della stessa :), avrò sempre una quantità maggiore di quel ceppo lieviti e quindi, di fatto, a prendere il sopravvento nella fermentazione spontanea, saranno sempre i lieviti selezionati.
        Che ne pensa a riguardo ?

        Cordiali saluti

        Dal punto di vista mio, che sono un mero consumatore, mi sembra ci sia davvero troppa confusione in un mondo dove del vino si dice qualsiasi cosa senza la possibilità che il consumatore stesso possa avere la certezza di quello che il produttore dichiara.

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        1. Franco Giacosa

          @Lorenzo, Le fermentazioni in cantina non avvengono in purezza ed è vero che vale il principio della “prevalenza”. Quando l’enologo desidera condurre la fermentazione con un determinato ceppo di lieviti, più parte da un mosto povero di lieviti naturalmente presenti sulle uve e in cantina, più aumenta la probabilità che si sviluppino in alta percentuale le cellule del lievito che ha scelto. Per questo tende ad illimpidire i mosti, con sedimentazione statica o con la centrifugazione o addirittura con la filtrazione, prima dell’inoculo dei lieviti selezionati. Nel caso della fermentazione condotta con i lieviti naturalmente presenti sulle uve o in cantina non si può parlare di “patogeni” ma di un insieme di vari tipi di ceppi di lievito. Si tratta di due diversi concetti: il primo insegue una sicurezza di regolare fermentazione e un obiettivo enologico preciso dove l’intervento dell’uomo è più incisivo, il secondo lascia che la fermentazione avvenga in modo spontaneo, accetta eventuali variabilità dei ceppi (biodiversità), un metodo naturale che permette di raggiungere obiettivi di maggiore ampiezza e complessità gusto-olfattiva. Se i recipienti e la cantina sono opportunamente igienizzati e il produttore, ha scelto la fermentazione spontanea, per il principio di prevalenza, saranno per la massima parte i lieviti indigeni a fermentare il mosto secondo una dinamica che vede lo sviluppo iniziale dei ceppi apiculati, poco tolleranti all’alcool, che raggiunti i 4/5% gradi lasciano il passo agli ellipsoideus. L’uso del pied de cuve, sia con la fermentazione spontanea che con quella ad opera dei lieviti selezionati, aiuta a far si che la fermentazione venga svolta principalmente dai lieviti prescelti in quanto consente di immettere nel mosto una forte biomassa (numero di cellule di lievito) che colonizzerà il mosto.
          Mi rendo conto che per chi non è del settore non è facilissimo avere un’idea chiara su quanto dichiarato dai produttori ma spero di aver dato un contributo alla comprensione di questo complesso argomento. Cordialità.

        2. Lorenzo

          @Franco Giacosa,
          Dottore,
          giusto per completezza per chi ci legge, per “patogeni” intendevo elementi esterni acquisiti casualmente…
          nell’immaginario collettivo “patogeno” è qualcosa che ha a che fare con una malattia.

          Grazie per la risposta 🙂

  4. Sesto Donnini

    Abito in toscana, il mosto per il vin santo mi grada 40° zuccherini, deduco la non fermentazione, aggiungo acqua per abbassare i gradi? Fino a che livello? Usando i lieviti, che tipo? Prima di inserire il mosto nel caratello, è bene farlo partire in un contenitore inox a quale temperatura? GRAZIE:
    SESTO DONNINI

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