Molte cantine, anche aziendi di piccole dimensioni e artigiani, inoculano nei loro mosti lieviti selezionati dalle loro stesse vigne. E poi scrivono in etichetta “fermentazione con lieviti indigeni”. Questo trucchetto è finalizzato a recuperare una fetta di mercato orientata verso il vino naturale.
In realtà è corretto parlare di “fermentazione spontanea” o di “fermentazione indotta” mediante inoculo di lieviti selezionati. Che poi i lieviti slezionati provengano da una vigna o da un’altra cambia poco, per due motivi.
Primo motivo. La fermentazione spontanea viene avviata da una famiglia di lieviti che si chiama “apiculata” (per la loro forma a virgola al microscopio) mentre i lieviti selezionati, anche quelli autoctoni, appartengono alla famiglia dei Saccharomyces (il lievito di birra, ovale o tondeggiante al microscopio).
Gli apiculati conferiscono il proprio corredo aromatico al vino, che manca invece ai vini inoculati con Saccharomyces.
Naturalmente la fermentazione viene condotta dagli apiculati fino a 3-4° alcolici (anche fino a 8-9° in particolari condizioni ambientali). Gli apiculati vengono poi inibiti dall’alcol e la fermentazione portata a termine dai Saccharomyces.
Per inoculare il mosto invece si provvede a una solfitazione dello stesso per uccidere proprio gli apiculati, e soltanto poi all’inoculo dei Saccharomyces.
Secondo motivo. I lieviti indigeni in realtà non esistono. Le differenze tra le famiglie di lieviti non sono determinate dalla zona dove crescono ma da caratteristiche intrinseche.
Quindi non lasciamoci trarre in inganno: in etichetta deve essere riportata la dicitura “da fermentazione spontanea”. Gli indigeni lasciamoli al generale Custer.
La selezione e il mito dei lieviti autoctoni
di Paolo Giudici, Lisa Solieri, Luciana De Vero; VigneVini n.4, aprile 2010
Nella redazione del post era saltato un periodo. L’ho corretto, scusate 🙂