La sorgente del vino e l’etichetta naturale: cronaca di un’inchiesta fallita

Per la quinta volta in cinque mesi mi ritrovo ai banchi d’assaggio di una manifestazione enoica. Per un istante mi frulla in testa una canzone di Piero Ciampi (mica tanto allegra) : “ma com’è bello il vino, bianco bianco bianco, rosso è il mattino,  sento male a un fianco”.

Ad ogni modo rieccomi qui, come sempre dalla parte di chi chiede da bere, con quella specie di senso di colpa atavico che colpisce l’assetato nell’atto di allungare braccio e bicchiere simulando l’improbabile distacco del nobile inglese. Il luogo non è proprio idilliaco, ne ha già parlato Luigi Fracchia sul suo blog, e il colore plumbeo del cielo di certo non aiuta.

Tuttavia sono pensieri che mi sfiorano soltanto, perché stavolta ho un obiettivo  ambizioso. Realizzare una mini-inchiesta (sia ben chiaro, iniziativa personale senza alcuna megalomane aspirazione  giornalistico-statistica, avente l’unico scopo di chiarirmi un pochino le idee) su un tema specifico, sottoponendo la medesima domanda ad ogni produttore intervistato. Gli organizzatori de “La Sorgente del Vino Live” hanno pubblicato un interessante opuscolo che spiega in modo intuitivo ed efficace le potenziali differenze in termini di ingredienti tra vini convenzionali, biologici, biodinamici e naturali quindi, pensando di andare sul velluto, decido di incentrare la mia indagine sullo scottante  argomento dell’etichetta trasparente. Opto per le seguenti tre semplici domande :

1) Sei favorevole all’introduzione degli ingredienti in etichetta? (eccerto!)
2) Dei processi produttivi? (naturalmente!)
3) Perché ancora non lo fai? (ma io lo faccio già!)

Ho con me un piccolo registratore per memorizzare le eventuali conversazioni. Preferirei evitarlo per non dovermi trovare nell’imbarazzo di chiedere l’autorizzazione a registrare, vanificando il proposito di arrivare al punto nella maniera più spontanea e informale possibile, ma temo di non avere scelta, anche perché spero di riuscire a coinvolgere un numero sufficientemente elevato di vignaioli.

Mi avvicino al primo banchetto (piuttosto affollato) dove faccio la conoscenza di un signore che mi spiega per filo e per segno i prodotti dell’azienda che mi preparo a degustare. Li trovo tutti molto interessanti e la mia iniziale ritrosia si stempera in questi assaggi rassicuranti, per cui decido di buttare lì la prima fatidica domanda. La risposta è di quelle che non ti aspetti: “io non sono il produttore! adesso lui non c’è, ti dispiacerebbe tornare più tardi?”.
Accidenti, si parte male. Per di più mi sono giocato già una mezzoretta di fiera.

Per non incorrere nello stesso errore mi rivolgo ad un altro tavolo dove noto un volto noto, e in men che non si dica arriviamo al dunque. La replica è ugualmente spiazzante: “Non sono tanto d’accordo. Fosse per me li metterei, tanto ci son solo uva e solfiti (quando non posso farne a meno), ma qual è il valore aggiunto se poi l’industria non fa altrettanto? Il consumatore comune giudicherebbe ovvia la dicitura perché non immagina di poter trovare in una bottiglia di vino tutta quella chimica che del resto la legge consente”.

Mi sposto dal produttore successivo  che a sua volta mi crea qualche imbarazzo con un ambiguo: “il mio vino è tutto naturale”. Lo incalzo con un “Sì ma gli ingredienti?”. E lui di nuovo sorridendo: “tutto naturale, bevi!”. Non mi rimane che obbedire. L’assaggio è fortemente convincente, purtroppo la spiegazione lo è molto, molto meno. Sto naufragando.

Passo oltre e mi dirigo verso un approdo che considero sicuro, ma mi ritrovo con un nuovo  contributo inatteso, perlomeno in questo contesto: “Se sbagliassi a riportarli esattamente secondo le norme in vigore me la pagheresti tu la multa?”. Diavolaccio! Un aspetto che non avevo considerato.

Nel frattempo mi rendo conto con terrore di non avere ancora estratto il mio registratore portatile! Idiota! La situazione si fa sempre più difficile e il peggio è che mi sto perdendo il lato ludico della giornata. Proseguo indefesso, scoccando frecce a destra e a manca un po’ a casaccio con un preoccupante calando di convinzione, anche perché la mia concentrazione scende in modo inversamente proporzionale al tasso alcolemico. Raccolgo ancora qualche parere degno di nota che riporto in ordine sparso e senza il nome degli autori in quanto affidati esclusivamente e rigorosamente alla mia claudicante memoria.

“La legislazione già oggi consente di inserire in etichetta tutto ciò che viene indicato nei registri di produzione, ma non tutte le sostanze sono soggette a registrazione obbligatoria”

“Ne abbiamo parlato proprio stamattina tra produttori e pare che al momento NON puoi indicare quello che NON fai e/o NON aggiungi ma puoi scrivere soltanto ciò che fai e/o aggiungi”

“Non tutti gli ingredienti sono effettivamente tali e possono essere rinvenuti nelle analisi sul prodotto finale perché magari eliminati in precipitati o filtrati in fasi successive”

“Ma io già metto la dicitura : Non contiene solfiti aggiunti”

“Per gli ingredienti è facile ma per i processi e i trattamenti rischieremmo di scrivere una sfilza di NO. NO fitofarmaci, NO concentratore, NO lieviti, NO filtrazione, NO chiarifica ecc… Fornirebbe una connotazione negativa per il consumatore”

“Oltre agli ingredienti, per alcune sostanze (come per i solfiti) bisognerebbe indicare anche la quantità (verificabile con analisi), ma si rischia di complicare le cose”

“Ma lo sai che la FIVI non è d’accordo, e sta spingendo in sede europea in senso contrario?”

Rinuncio. Nemmeno i piccoli produttori “indipendenti” sono d’accordo tra loro. Doveva essere una passeggiata con relativo plebiscito e invece si rivela una piccola Waterloo. Insomma le cose non sarebbero così semplici come mi sarei aspettato.

Tuttavia il mattino dopo mi sveglio con le idee un po’ meno confuse e per fortuna senza dolori al fianco. Sono ancora convinto della necessità di una legge che obblighi TUTTI ad indicare in etichetta TUTTE le sostanze addizionate al mosto d’uva, siano esse classificabili come ingredienti, additivi, eccipienti, o qualsivoglia categoria. Sarebbe un passo fondamentale. A ruota potrebbero venire informazioni aggiuntive sulle pratiche utilizzate in vigna e in cantina, eliminando per sempre le assurde descrizioni organolettiche sul retro etichetta in stile “vino bianco di colore giallo paglierino, gusto fruttato, si abbina perfettamente alle migliori preparazioni della cucina di mare”. Tuttavia è evidente che la cosa vada fatta con raziocinio, bilanciando semplicità di fruizione ed effettiva utilità (basti pensare all’attuale “Contiene Solfiti”), e soprattutto cercando di evitare ulteriori grattacapi burocratici ai piccoli produttori, data l’insidiosità della  materia in questione.

Detto questo mi piacerebbe riportare qualche nota su ciò che mi ha particolarmente colpito in sede di assaggio, ma ho la sensazione che il mio inconscio si diverta a portarmi ogni volta per sentieri dove poi, inevitabilmente, finisco smarrito. Come in un piano prestabilito. Come in questa balorda inchiesta. Forse perchè trovo spesso noioso leggere le impressioni di chi si è goduto un buon bicchiere che magari non ho avrò mai la possibilità di assaggiare, forse perché il terreno è minato e piuttosto inflazionato. O forse soltanto perché, come al solito,  sono stato troppo concentrato a fare qualcosa di diverso a tutti i costi, finendo per allontanarmi dal nocciolo della questione: il vino.

Alla radio c’è Paolo Conte che, sornione e malinconico, sussurra “mi sono perso un film, perchè nel cinema, tre file avanti sì, eri tu”.

In quel momento mi rendo conto che non tutto è perduto. All’improvviso il vero senso  della giornata fa capolino nei miei ricordi per poi prendere prepotentemente corpo. E’ l’elegante silhouette di due straordinari assaggi in grado di relegare in secondo piano quasiasi disquisizione filosofica: l’Igt Vigne delle Dolomiti 2009 di Elisabetta Dalzocchio e il Vita Grama 2000 di Casa Caterina.
Vini rari che hanno vinto e convinto anche la parte di me più ostinatamente prudente, diffidente e sospettosa. Vini splendidi in cui perdersi senza inibizione. Non importa che provengano da vitigni internazionali (un Pinot Nero e un taglio bordolese) in grado, secondo i manuali, di dare il meglio di sé in lande ben lontane da questi fazzoletti di terra trentina e lombarda. Se è vero che il vino fa buon sangue e che buon sangue non mente, allora vini così buoni, di certo, non possono mentire. E se così anche non fosse, si tratterebbe comunque di un meraviglioso inganno.

“Ma com’è bello il vino…”

 

Alcune immagini de La Sorgente del vino:

I formaggi di capra di Patrizia Vannelli

I formaggi di capra di Patrizia Vannelli

 

Sorgentedelvino

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20 thoughts on “La sorgente del vino e l’etichetta naturale: cronaca di un’inchiesta fallita

  1. jacopo cossater

    Bellissimo post Nic. Il bello è che non c’è molto da aggiungere alle considerazioni che riporti, ed è un vero peccato non ci sia quell’unione di intenti che spesso viene invece sbandierata come tale.

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  2. Massimiliano Montes

    Una volta un produttore “naturale” mi disse: mi piace la tua passione, però non troppa…
    Forse a volte noi proiettiamo su tutto il mondo del vino naturale qualcosa che non c’é

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  3. Andrea Gatti (risolvo i cruciverba dei giornali)

    Ho colmato la mia lacuna e acquistato una bottiglia di Vigne delle Dolomiti 2009 di Elisabetta Dalzocchio (annata che mi era sfuggita). Aveva ragione lei, è emozionante.
    Sul vita grama… che vita grama.

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    1. Nic Marsél

      @Andrea Gatti (risolvo i cruciverba dei giornali), Pronto a sdoganare Dalzocchio tra le eccellenze? 😉 Il commento sul vita grama invece è un po’ ermetico, un cruciverba che non riesco a risolvere 🙁 mi daresti un elemento in più? Intendi forse dire che ho peccato in entusiasmo?

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        1. Nic Marsél

          @Andrea Gatti, sono assolutamente d’accordo, sono su piani diversi, ma mi sarebbe dispiaciuto non segnalarlo. Soprattutto perchè è davvero raro trovare in Franciacorta rossi così buoni, e poi perchè un produttore che esce con un vino a 12 anni dalla vendemmia, merita tutto il mio rispetto.

  4. Giovanni Bisol

    Chi ha scritto l’opuscolo di sorgente del vino mente sapendo di mentire.
    Scrivono testualmente: “Processi ammessi per la vinificazione. Protocollo Demeter. Albumina d’uovo / Anidride solforosa (SO2) / Fermentazione alcolica spontanea / Bentonite / Carbone enologico / Microfiltrazione tangenziale”
    Invece non è vero! Il protocollo biodinamico Demeter consente l’uso di lieviti selezionati, mosto concentrato, acidificazione e deacidificazione, inoculo di di batteri acidolattici, anidride solforosa fino a 140 mg/l !!!!!!!!!!!!!!

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    1. Massimiliano Montes

      @Giovanni Bisol,
      No so se sapessero di mentire, mi sembra un’interpretazione eccessiva la sua. Però è vero che il disciplinare Demeter è diverso da quello che affermano. La solforosa nei vini dolci può addirittura essere fino a 360 mg/L dichiarandosi biodinamici. Si possono inoculare lieviti selezionati biologici o comunque non OGM, etc etc etc

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    2. GiancarloG

      @Giovanni Bisol, dietro Demeter ci stanno grandi interessi. Si figuri che hanno persino brevettato il marchio Byodinamic. Brevetto internazionale. Non si può usare liberamente.

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  5. Carlotta Vendrame

    Io non ci trovo nulla di male nella diversità di vedute. Non possiamo essere tutti uguali, uniformi.
    Ogni vignaiolo ha le sue opinioni, va bene così. Se il vino piace uno lo compra, se non piace compri altro. E’ facile

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    1. Mario Crosta

      @Carlotta Vendrame, è sacrosanto quello che scrivi. Il problema è che prima di piacere, un vino, va assaggiato e per assaggiarlo va prima comprato, quindi va prima scelto sullo scaffale in mezzo a tante altre etichette. Come fare a sapere che stai comprando proprio quello che cerchi? Con un’etichetta chiara, leggibile, che ti spiega il contenuto e soprattutto che ti dà il nome e cognome e indirizzo del produttore. A me piacciono molti vini convenzionali e pochi vini naturali, ma mentre i vini naturali mi incuriosiscono tutti, nessuno escluso, di quelli convenzionali ho già una gran lista nera (da 43 anni) di bottiglie che non comprerò mai più. Sono capace di dare uno stipendio per una bottiglia come si deve di certi vini convenzionali. Assaggio vini sfusi naturali anche in dame, taniche di plastica, bottiglie di polietilene. Poi decido la lista bianca e la lista nera. Ma senza un’etichetta chiara e precisa, è difficile scegliere.

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  6. emilio

    Alcune premesse:
    1)Sorgente el Vino Live, non è una fiera esclusivamente di vini naturali (gli organizzatori aggiungono il termine di “territorio”) quindi non era il luogo più adatto per compiere tale inchiesta.
    2) la certificazione Demeter è una certificazione privata, volontaria che rilascia un marchio (di proprietà collettiva) commerciale. Inoltre essendo un organismo internazionale, inevitabilmente i suoi disciplinari sono frutto di una mediazione fra le esigenze dei vari paesi e delle varie categorie (produttori, imbottigliatori, commercianti). Ma non è forse frutto di una estrema mediazione (che ne ha stravolto il contenuto) anche il reg dell’Unione Europea sul vino Biologico?
    Da qui la necessità di avere un’etichettatura del vino naturale, che garantisca i produttori seri e la possibilità per chi acquista e beve il vino di avere elementi oggettivi per scegliere. Effettivamente nelle maglie della legislazione attuale c’è già spazio per costruirsi una “etichetta trasparente” che contenga : solfiti totali (verificabili con analisi) , o non contiene solfiti(se certificati vino bio), e gli ingredienti (riportandoli volontariamente anche nei registri di vinificazione). E’ vero che la lista degli ingredienti e delle operazioni può essere solo positiva(cioè si può riportare solo ciò che si usa/o si fà ). Se si possiede la certificazione bio si possono descrivere anche le operazioni in campagna ed in cantina. La domanda da porsi ora è : come mai molti produttori rischiano multe e sequestri per scrivere Vino Naturale o solamente Non Filtrato e gli stessi produttori non sono disposti a scrivere in etichetta la quantit dei solfiti e gli ingredienti?

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    1. Massimiliano Montes

      Mi trovi completamente d’accordo.
      L’etichettatura trasparente è l’unico strumento per distinguere i produttori onesti da quelli meno onesti.
      Indipendentemente dal fatto che si dicano naturali o no 😉

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    2. Nic Marsél

      bel commento Emilio, ma la risposta alla tua (provocatoria?) domanda finale dovreste darla proprio voi produttori 😉

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      1. Emilio

        @Nic Marsél, Proprio perchè provocatoria è una domanda alla quale io ho già dato risposta. Posso dirti che da diversi mesi si discute dell’argomento fra produttori, e le opposizioni maggiori all’etichetta trasparente vengono da chi non ve lo aspettereste mai; da chi fà biodinamica da oltre 30 anni e scrive naturale a lettere cubitali in etichetta, dai guru veri o presunti, da quelli che ci scrivono su libri, da quelli sempre in prima pagina, ecc In una situazione di mancanza di definizione di che cosa è il VINO NATURALE, è avvantaggiato chi sa sfruttare al meglio la propria immagine, indipendentemente dalla qualità del prodotto vino. Poi certo vi è anche chi non può scrivere la SO2 totale o gli ingredienti… E’ l’ennesima dimostrazione che le regole, (che non devono essere necessariamenti leggi o disciplinari, ma anzi devono essere codici di comportamenrto condivisi) tutelano i soggetti più deboli. Questo dovrebbe aprire un dibattito anche sul potere dei blog e siti del vino così come delle Fiere, nel creare dei mostri. Altre due domande provocatorie:
        – quanti sono entrati in Sorgente del Vino (o fiere simili) come produttori di Territorio e dopo tre giorni ne sono usciti come produttori di vino naturale?
        Quanti sono diventati produttori di vino naturale più in dibattiti, degustazioni pagine di riviste e siti che non in vigna e cantina?
        Emilio

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        1. Nic Marsél

          @Emilio, i tuoi sonorilievi molto significativi e offrono chiavi interpretative inedite che mi spiace restino confinate dagli spazi angusti di un commento. Spero potremo approfondire prima o poi.

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