Negli anni 70 i fratelli Pierre e Jean Troisgros furono insieme a Bocuse, Chapel, Senderens, Vergé a capo del movimento promosso da Gault & Millau e denominato “nouvelle couisine”.
Il loro decalogo era:
“Non cuocerai troppo.”
“Utilizzerai prodotti freschi e di qualità.”
“Alleggerirai il tuo menu.”
“Non sarai sistematicamente modernista.”
“Ricercherai tuttavia il contributo di nuove tecniche.”
“Eviterai marinate, frollature, fermentazioni, ecc.”
“Eliminerai le salse e i sughi ricchi.”
“Non ignorerai la dietetica.”
“Non truccherai la presentazione dei tuoi piatti.”
“Sarai inventivo.”
Nel 76 Gualtiero Marchesi decise che quello era il ristorante da cui sarebbe partito per la sua avventura di cuoco stellato. E voglio anche dire che questo luogo ha tre stelle Michelin ininterrottamente da 45 anni. Caso unico al mondo.
Ora, facciamo una ellissi temporale e parliamo di cosa mi è successo non appena ho varcato la soglia di Maison Troisgros.
All’uscio Michel (figlio di Pierre) Troisgros ci accoglie con un sorriso che bendispone. Eleganza tra i camerieri uomini, un po meno tra le cameriere donne (peccato).
Per prima cosa il maitre ci chiede se vogliamo visitare la cucina. Sticazzi! rispondo io, certo che si. Ed è uno spettacolo, molto meglio della sala secondo me, antica e moderna allo stesso tempo. Cuochi con la toque che lavorano come certosini e mattonelle dei muri che trasudano storia e cultura francaise.
Sala e ambienti in stile poco classico, un pò anni 60, un pò anni 70, un pò post moderno, per nulla sgradevole, bello, felpato ed elegante. Belli (ça va sans dire) i tavoli senza tovaglie.
Amuse buche di gran classe tra cui spicca un bocconcino al tartufo nero ed il pomodorino caramellato al sesamo intrigante anche per gioco di temperature.
Si parte col menù degustazione: un jour en décembre.
– Coutes al cassis: cannolicchi francesi con gelatina di ribes. Piatto da funambolo, acidità morbida e gelatinosa che quasi copre il salmastro e dolce del mollusco. Equilibrio intrigante e precario. Bocca pulita e fresca alla fine.
– Ostrica noci, uva e salsa al Ranfio: il piatto della serata. Emozione pura al boccone pieno con tutti gli ingredienti. L’eleganza e l’acidità aromatica del ranfio (vino della cote Vermeille) sovrasta e domina portando il palato dove vuole lui. Un colpo da fuoriclasse.
– Ravioli del plin con tartufo bianco di alba: parlano da soli, la mamma di Michel è friulana.
– Pesce san pietro con porcini, porri e salsa fleurette: altro grandissimo colpo da maestro. Ppregevole fattura, sontuoso e suadente al palato. Forse salsa dominante sulla materia prima. Ma è chiaro la matrice francese del piatto in cui la salsa ha una parte da protagonista.
– Capasanta “che si attacca ai denti”: piatto sorpresa per esecuzione ed intuizione. Non c’è un sapore fuori posto, bella l’ acidità del limone pronta a supportare la materia prima. Michel, dimmi come cavolo hai fatto la parte croccante con il fondo di cottura!
– Capriolo con burro ai capperi, potimaron all’aglio: una delle carni migliori mangiate nella mia vita, il piatto più goloso della serata. Veramente ha fatto a gare con le ostriche per avere il premio come migliore.
– Carrello dei formaggi: impressionante e commovente.
– Mandarine folle: sfumature di acidità in bocca con coulis di frutto della passione.
– 730 foglie, miele e spezie. Dessert che completa e chiude il menù.
– La piccola pasticceria
– Il conto ve lo risparmio
Servizio in sala di grandissimo livello, ma soprattutto la sensazione che è rimasta addosso è che per quasi 4 ore si è entrati dentro a man bassa su un pezzo di identità e di storia della cucina francese, alleggerita e distillata nel gusto e nella leggerezza, ma soprattutto una formidabile e sapiente mano che sa dosare e padroneggia le acidità come pochi altri al mondo.
Chapeau Michel.
Rino Duca
Chef e patron del ristorante Il Grano di Pepe
via Roma 178/A, Ravarino, Modena