Il vino naturale come vino politico o come vino edonistico?

Il vino non è tutto.
Qualcuno mi dice che non devo limitarmi ad assaggiare il vino e descrivere cosa mi è piaciuto. Qualcuno mi dice che quello che conta è altro: la riappropriazione delle campagne, un modello economico basato sulla produzione artigianale piuttosto che su quella massificata industriale, una vera e propria lotta ai processi socio-economici dominanti.

Il quesito non è da poco. Cosa è più importante?
Un vignaiolo animato dalle migliori intenzioni, che si riappropria delle campagne, che lotta con tutte le sue forze contro un sistema produttivo secondo cui McDonald è bravo perché milioni di persone acquistano i suoi prodotti. Che però fa un vino imbevibile.

Oppure un vignaiolo che cura il prodotto che offre al consumatore, che riesce a tirare fuori da un processo produttivo naturale un piccolo miracolo di profumi e sapori.

Insomma, cos’è più importante? Il vino politico o il vino edonistico?

Credo in tutta sincerità che sia un falso problema.
Questo è uno di quei pochi casi in cui il problema è la soluzione.

Quando parliamo di vino naturale non intendiamo, ovviamente, solo un vino prodotto da uve biologiche o biodinamiche, trattato con rispetto in cantina.
Parlare di vino naturale significa parlare di uve non trattate con prodotti sistemici, defogliate al momento giusto, curate giorno dopo giorno.
Significa parlare di uve raccolte a mano in cassette piccole per non rompere gli acini, torchiate e mostificate con cura maniacale.

Parliamo di fermentazioni spontanee, di follature manuali, di assaggi continui per decidere se e quando effettuare un travaso. Parliamo della presenza costante del vignaiolo che cura i suoi pochi fusti con amore paterno.

Il vino naturale è per definizione antitesi di un processo produttivo seriale da catena di montaggio.
Un produttore industriale non potrà mai fare vino naturale, perché le tecniche con cui abbiamo definito il vino naturale sono praticabili solo per piccole produzioni, su base artigianale, gestite con cura quotidiana.

Ce lo vedete un industriale del vino che raccoglie manualmente in piccole cassette centinaia di ettari di uva? O che fa follature manuali per milioni di bottiglie?
No. Certamente no.

Il vino naturale è, per sua natura:
– No global
– Antindustriale
– Artigianale
– Umano
– Sovversivo

Senza alcun bisogno di sottolinearlo quando lo si degusta o lo si descrive. Sostenere il vino naturale significa inevitabilmente sostenere uno sviluppo basato sull’eccellenza locale, essere profondamente anti-globalizzazione, contrastare la deriva della produzione alimentare di massa, ispirarsi ad un modello socioeconomico a misura d’uomo e costruito intorno all’uomo. Non solo per il vino.
Sostenere il vino naturale significa inevitabilmente essere sovversivi. Nella misura in cui il mondo ed il sistema economico in cui viviamo va sovvertito e migliorato.

Non esistono altre vie. Non esiste il vino naturale conservatore: è naturalmente impossibile.

Chiunque produce e sostiene il vino naturale è, volente o nolente, consapevolemente o inconsapevolmente, un sovversivo.

Ma il vino naturale è anche quello che, se ben fatto, raggiunge vette di piacevolezza inimmaginabili (e irraggiungibili dai vini industriali).

Il vino naturale è sintesi: è vino politico, è vino edonistico.

 

16 thoughts on “Il vino naturale come vino politico o come vino edonistico?

  1. Mario Crosta

    Mi spiace, Massimiliano, ma non sottoscrivo. Il vino è un alimento che fa parte da seimila anni della nostra cultura, cioè fin da quando esistevano le società schiavistiche ed era sulla tavola anche in quelle feudali, quindi con le monarchie, poi con le repubbliche. Fino a 40, 50 anni fa, non si poneva nemmeno il problema di definirlo industriale, globale, naturale o no, perché non c’era quel massiccio intervento della chimica di sintesi e dei processi fisici forzati che tu oggi respingi in quanto non sono naturali. Chi si mette sulla strada del vino da uve sane coltivate il più possibile secondo criteri e sistemi rispettosi della natura, della terra, della pianta e cioè biologici, biodinamici, ma anche in cantina si mantiene in un profilo naturale e usa il meno possibile di manipolazioni chimico-fisiche, fa semplicemente un vino che speriamo sia sempre buono, ottimo, eccezionale e accompagni adeguatamente le nostre pietanze. Non ci vedo né sovversione né antiquesto o antiquello, no global o no racist. Se poi vogliamo mettergli delle etichette, dargli dei significati, scriverne poemi, boicottare un produttore per la sua etica e non per il suo prodotto è un altro paio di maniche. Io vedo molto meglio il ragionamento terra-terra e che non fa una grinza di Nicola Cereda e di tanti altri appassionati di vino in tutta Europa che scrivono dovunque che è assurdo ormai non obbligare anche il vino, come tutti gli altri alimenti, ad avere un’etichetta chiara con tutti i suoi componenti dichiarati e accertabili da un laboratorio. E’ questa la strada più concreta e realizzabile in poco tempo, visto che non si potrà mai dichiarare che un vino è “naturale” per via di una legge che lo vieta e lo vieterà sempre in tutti gli Stati. Il vino unisce, non divide, è un potente aggregatore sociale, non può essere politico e in ogni caso se qualcuno vuole attribuirgli una politica sbaglia. Allora la birra? Allora il latte? Allora il liquore? Allora l’acqua? Allora la bibita? Ciao.

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    1. Massimiliano Montes Post author

      @Mario Crosta, Le tue affermazioni vanno benissimo. Sono condivisibilissime.
      Non sono affatto in contrasto con quanto affermo.
      Il senso del mio post è proprio che non c’è bisogno di dare alcuna etichetta al vino naturale (come qualcuno invece vorrebbe).
      Ne tantomeno a chi lo fa.
      Non c’è bisogno di etichettarlo: basta parlarne. Perché il vino naturale è intrinsecamente opposto ad un modello economico basato sui supermercati e sulla produzione di massa.
      Oggi l’economia mondiale è prepotentemente indirizzata verso un meccanismo produttivo e distributivo globalizzante. E’ ovvio che quando noi parliamo di vino naturale ci mettiamo di traverso…. volenti o nolenti

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    2. Massimiliano Montes Post author

      @Mario Crosta, Ti dirò di più. Vale anche per l’acqua, per la pasta e per il formaggio. Se noi avessimo basato la nostra economia sulle eccellenze locali invece che su un sistema distributivo globale, oggi saremmo immuni dalla crisi.

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      1. Mario Crosta

        @Massimiliano Montes, ho capito. Mi piace la tua specificazione, breve, molto più chiara del testo (che ti dev’essere pure costato una gran fatica…). Sull’immunità dalla crisi non lo so, visto che ormai le eccellenze locali ci vengono taroccate proprio da quei Paesi che vorrebbero insegnarci la massima libertà abbindolandoci con la statua davanti al porto e con il Quinto emendamento e invece ci fanno una spietata concorrenza sleale. A ruota, ormai si producono i tipici formaggi italiani anche in Germania, in Polonia, ma pure quelli francesi. Insomma, il WTO è un’organizzazione di criminalità legalizzata.

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        1. Massimiliano Montes Post author

          @Mario, non mi è costato una gran fatica. Dieci minuti.

  2. Nic Marsél

    Mi pare un post estremamente interessante, anzi importante. Ma non lo vedo come una sentenza definitiva. Lo vedo piuttosto come un testo aperto, una specie di work in progress, una meditazione ad alta voce sullo stato dell’arte. Non mi pare nemmeno di notare una contrapposizione così forte con quanto risponde Mario Crosta. Vi trovo domande che mi frullano nella testa da tempo : per alcune ho trovato una risposta per altre non ancora. Tu l’hai scritto in dieci minuti, io ho bisogno ancora di una decina d’anni per chiudere il cerchio.

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    1. Massimiliano Montes

      @Nic, per altre cose impiego molto più tempo. Vado a naso 😉
      Più che altro sono cose su cui ho riflettuto per molto tempo (abbiamo, anche qui su gustodivino), ed ho messo nero su bianco quelle che sono le mie attuali idee.
      Comunque hai ragione tu, è solo una riflessione aperta

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  3. Nic Marsél

    Dopo una bella corsa al buio, sotto zero, i miei pensieri si sono un pochino meglio cristallizati. Ho anche ritrovato il volumetto di Corrado Dottori “Non è il vino dell’enologo” che mi aiuta. Parte con una citazione fondamentale di Mario Soldati del 1970 (che mi era chissà come sfuggita leggendo Vino al vino) : “Il mio è il sogno di una controrivoluzione. Ma è un sogno di cui, assolutamente, non possiamo fare a meno. Forse, nella stessa misura in cui riusciremo a trasformare questo sogno del vino genuino e artigianale in una realtà, riusciremo anche ad arginare, e poi ad annullare lo spaventoso progresso dell’inquinamento dell’aria che respiriamo, dell’acqua che beviamo, dei fiumi, delle spiagge e delle campagne, tutto il veleno che ci minaccia di morte”. Il contadino-vignaiolo può essere il vero custode della terra, colui che pianta oggi per far sì che i suoi figli raccolgano fra trent’anni. Trovo tantissima politica in tutto ciò. Alcuni piccoli vignaioli contemporanei sono i rappresentanti di una cultura che è l’avanguardia di quella stessa politica. Però allo stesso tempo non dobbiamo caricare il vino di eccessivi significati e esponsabilità. Il vino va bevuto possibilmente senza le sovrastrutture intellettuali che ne impescono il completo godimento. Ma come ogni volta, dopo La Terra Trema, sono confuso e combattuto tra il senso di colpa di averne goduto edonisticamente, la gioia della festa, e la rassegnata consapevolezza che tutto stia scivolando verso una deriva sempre meno politica.

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    1. Massimiliano Montes

      @Nic Marsél, il vino deve essere buono. Nessuna motivazione sociale e politica può giustificare un brutto vino. Al limite può essere un’attenuante.
      Il buono nella vita è un tonico per l’anima: cosa sarebbe il mondo senza buona musica, buon cinema, buona pittura, buona scultura, buona architettura!
      Il decadimento dell’estetica va di pari passo col degrado morale della nostra società. Oggi ampi strati della popolazione si stanno abituando al brutto come norma, e questo fa paura:
      http://youtu.be/e6ki-p1eW2o

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      1. Mario Crosta

        @Massimiliano Montes, non entro nei meriti delle teorie, non è da me. Parlo di vita vissuta. A Monte Oro di Mamuntanas in regione Tanca Farrà c’era un vigneto storico dell’agro di Alghero, tanto che ne parlò perfino Gino Veronelli. Quella grande azienda fallì e gli eredi Serra dovettero frazionare e vendere una gran parte di quel vigneto. Io ne comprai una parcella ed ebbi come confinanti un ex carabiniere, un ex finanziere e un ex cancelliere di tribunale. Io, di estrema sinistra in odore di terrorismo, antinazista, antimperialista, antisionista, ancora oggi decapiterei Napolitano e la casta di sanguisughe che rappresenta benissimo, ero circondato da vignaioli di destra e di estrema destra. Eppure ci scambiavamo le esperienze, le verdure, gli ortaggi, l’acqua (che io avevo e gli altri no), la corrente elettrica (che gli altri avevano e io no), senza guardare in faccia alla politica. Loro facevano un vino il più possibile naturale, per il proprio consumo famigliare e non per la vendita, mettendoci dentro il meno possibile di sostanze estranee e coltivando la vigna con meno chimica possibile. Ma qualcosa aggiungevano, in rispetto delle indicazioni di una sana enologia, infatti il loro vino era buono. Io lasciavo che la vigna si conducesse da sola, tutti i loro insetti venivano a fare il nido da me, non trattavo per nulla le foglie, la terra, l’uva e il vino era solo frutto pressato nel torchio e fermentato da solo. Più naturale di me non c’era nessuno e non credo che oggi ce ne siano altri. Ma bevevo il vino dei vicini, che era abbastanza buono a pasto e a cena e anche fuori pasto (anche di molto…), anche se erano di destra e di estrema destra e bevevo sempre meno il mio, che cominciava a non piacermi, sembrava benzina, sapeva di molotov, che ho sempre lanciato dall’estrema sinistra, finché ho estirpato la vigna e sono andato a comprare il vino da chi lo sapeva fare: Sella & Mosca e Santa Maria La Palma. Dov’è la destra, dov’è la sinistra? Quale politica era meglio? Ai posteri l’ardua sentenza. Io non etichetterei di significati politici una scelta di produzione sulla via più naturale che c’è. Di significati ideologici sì: forse avete sbagliato a chiamare politica l’ideologia fin dall’inizio dell’articolo. E’ una concezione del mondo (weltanschauung, scrivevano Marx ed Engels) opposta, non una politica (che è soltanto una tattica, esattamente come la guerra che può esserne una continuazione). Se si parla di concezione del mondo, invece che di politica, allora firmo tutto quello che è stato detto, perché ci sono dentro io, tutti i rivoluzionari, tutti i ribelli, tutti quelli che osano cambiare, osano sfidare il cielo con un dito, senza distinzione se sono juventini, interisti, torinisti, ciclisti, ebrei o mussulmani. Se si parla di vino politico, mi spiace, vuol, dire che berrò birra, ovviamente Naturtrube,,.

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        1. Nic Marsél

          @Mario Crosta, pare che gli antichi romani piantassero le vigne nelle nuove province per indicare che non erano semplicemente di passaggio. Non era quello un atto politico? Non è fare politica operare pensando che il presente è soprattutto una prepararzione del futuro delle nuove generazioni? E’ un pensiero di destra o di sinistra? Però non credo che sia giusto mettere il vino al centro di tutto questo. Atto agricolo e concezione del mondo non possono essere apolitici, il vino invece è solo l’ultimo anello, una conseguenza all’estremità, una piccolissima fogliolina tra le migliaia dell’albero e non la radice nè il tronco.

        2. Mario Crosta

          @Nic Marsél, no, per i Romani si trattava di un atto di civiltà: hanno allargato la civiltà del vino. Ma anche i coloni italiani in California, in America latina lo hanno fatto e anche per loro non era questione di politica, ma di alimentazione tradizionale e di usi e costumi. Non esageriamo vedendo politica dappertutto. Io rimango di formazione marxista-leninista e per me la concezione del mondo è una cosa, l’ideologia è un’altra cosa, la politica è un’altra cosa. Hanno definizioni diverse anche sul vocabolario e a quelle mi attengo, se vogliamo parlare una lingua comune. Se tu la pensi diversamente sei in una società che ti permette di continuare a farlo, ma non è un blog del vino dove possiamo discuterne, perché andremmo avanti fino alle calende greche tediando i lettori.

        3. Massimiliano Montes

          @Mario, non c’entra niente destra o sinistra. Hai iniziato bene dicendo di non etichettare il vino naturale: non etichettiamolo. Il vino naturale trascende queste divisioni.

        4. Mario Crosta

          @Massimiliano Montes, guarda che non ho proprio capito a cosa ti riferisci. Io ho solo citato una canzone di Giorgio Gaber, dov’è la destra e dov’è la sinistra, per smantellare appunto la fin troppo facile etichettatura politica che nessuno desidera né sul vino in genere né sui vini che chiamiamo naturali. Non te la ricordi? Spero che almeno ti ricordi di Barbera e Champagne… dai!

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