Un protocollo per il vino naturale? Lo so, noi non siamo nessuno per proporre una cosa del genere. Però il nostro commentatissimo post del 20 giugno era così ricco di informazioni che vorrei riproporle in forma più sistematica e sintetica.
Qualcuno dice che non sempre è possibile adempiere al 100% alle indicazioni per produrre un buon vino naturale, alcuni vignaioli lamentano oggettive difficoltà legate al territorio. Altri suggeriscono invece che la buona riuscita di una vinificazione naturale è direttamente proporzionale alla bravura del vignaiolo.
Forse entrambe le posizioni sono vere, vinificare naturalmente ed ottenere un buon risultato finale dipende dal territorio, dal clima, e dalla bravura di chi il vino lo fa. E’ per questo che i produttori seriali preferiscono la scorciatoia degli ingredienti industriali: la sicurezza di evitare errori pur nella piattezza caratteriale del risultato finale, magari condita da un’incapacità di base nel vinificare.
Certo è che il vino naturale deve essere un orizzonte, un obiettivo da perseguire nella quotidianità. Tra i vini prodotti con metodi naturali, con la minore manipolazione possibile, ritroviamo i migliori baroli, grandi brunelli, tantissimi vini prodotti da vitigni autoctoni in giro per la penisola. Tutti vini che ottengono risultati di vetta, eccellenti, capaci di emozionare.
Ed in giro per il mondo grandi vini da grandi denominazioni, in Borgogna, Loira, Mosella e Reno, Austria e Ungheria: i capisaldi della qualità e della bontà mondiali. Ma anche negli Stati Uniti, patria della manipolazione e dell’artificiosità produttiva in enologia, i tempi sono maturi per radicali cambiamenti.
Ecco allora la sintesi che abbiamo fatto, la nostra idea di come vorremmo il vino dei sogni.
Dunque, il vino naturale dovrebbe essere:
– Prodotto con uve da agricoltura biologica certificata
– Vendemmiato con raccolta manuale
– Vinificato in assenza di procedimenti fisici capaci di alterare artificiosamente il profilo aromatico (rotomacerazione, microssigenazione, macerazione a temperature prossime allo zero, vinificazione in iper-riduzione)
– Vinificato da fermentazione spontanea, senza inoculo di lieviti selezionati, anche se autoctoni
– Vinificato senza acidificazione o disacidificazione
– Vinificato senza aggiunta di mosto concentrato o mosto concentrato rettificato
– Vinificato senza presidi enotecnici capaci di modificare colore, consistenza ed aromi (beta-glucosidasi, enzimi pectolitici, gomma arabica etc.)
– Vinificato senza aromatizzazioni artificiali (chips, doghe di legno in immersione, ma anche barriques nuove), ed in assenza di qualsiasi tipo di additivi aromatizzanti
– Vinificato senza chiarifica
– Vinificato aggiungendo il minor quantitativo possibile di anidride solforosa. Per esempio: fino a 40 mg/l di solforosa totale per vini con residuo zuccherino inferiore a 9 g/l, fino a 80 mg/l per vini con residuo zuccherino uguale o superiore a 10 g/l.
– Verificabile. Il vino naturale deve sottostare ad analisi chimiche che dimostrino la sua reale composizione, e non basarsi solo su presunte autocertificazioni.
Chiederei ai nostri lettori quali, tra questi punti, ritengono più importanti per un’idea di vinificazione naturale, e ovviamente ulteriori modifiche o proposte.
Il vino naturale non esiste. C’è sempre la mano dell’uomo
E le filtrazioni? Le intendi incluse nella chiarifica?
Dopo attenta meditazione, e prove sul campo, credo (Nic, Armando e Patrizia mi correggano se sbaglio) che una filtrazione grossolana possa a volte aiutare il vino senza snaturarne gli aromi, lo ingentilisce.
La chiarifica con bentonite invece mi sembra che lo appiattisca.
Il vino naturale dovrebbe essere autocertificato attraverso un’etichetta adeguata nella quale siano presenti gli ingredienti e i parametri più importanti ricavati dalle analisi : quantità solforosa, acidià totale, volatile, estratto secco ecc…
in teoria son d’accordo….ma in realtà ho parecchi dubbi sull’utilità di certificazioni e autocertificazioni…a
me piace l’approccio di Maule…(ovvero tu aderisci ad un’associazione e io ti CONTROLLO) e poi vaya con Dios
Auto certificazione e certificazione condivisa sono l’unica strada. Alle analisi si scappa troppo facilmente, parecchi sistemici hanno tempi di decandenza sufficentemente brevi per non essere rilevati, i lieviti non sono tracciabili all’analisi, idem per i processi chimico fisici o acidificazione e o disacidificazione.
Ciao Paolo, è un vero piacere leggerti.
Dobbiamo fidarci delle autocertificazioni? Potremmo… però l’ultimo punto del nostro schema richiede una verificabilità delle autocertificazioni. Vale in qualsiasi campo, perchè non qui?
Ho coinvolto degli amici universitari che si occupano di chimica organica e di analisi, e mi hanno detto che qualsiasi prodotto enotecnico è rintracciabile. Con le opportune analisi.
@Massimiliano Montes,
mah… prova a domandargli se riescono a capire se ci ci sono state aggiunte di tartarico o citrico, oppure se riescono a capire se c’è stata aggiunta di lieviti selezionati o se la malolattica è stata indotta o no, oppure quali residui lascia un passaggio in vigna col roundup a primavera…
@paolo rusconi,
Lieviti selezionati e batteri maollattici si, facile.
Sull’acido tartarico e citrico in teoria si può, perché gli additivi enotecnici hanno miscele isomeriche diverse da quelle presenti naturalmente nell’uva (se ho ben capito).
Il mio interesse personale, sinceramente, è prevalentemente orientato a tutti quei coadiuvanti ed additivi che modificano il profilo aromatico. La trovo una cosa al limite della truffa.
Tu suggeriresti invece di fidarci delle autocertificazioni senza neppure provare a controllare?
In ogni caso questo nostro tentativo vuole solo lanciare un’idea, non è una provocazione.
@paolo rusconi, ciao Paolo, non sono un chimico ma credo che le analisi possano dire parecchio, dipende da quanto si vuole investire. I controlli a valle sono fondamentali ma non vorrei che diventasse una lotta tra chi è più bravo a far rispettare una regola e chi è più bravo ad eluderla (anche perchè tutto dipende da ch ha più soldi per fare ricerca). Detto questo, l’unica autocertificazione che avrebbe davvero senso è quella che obbliga i produttori ad indicare in etichetta ciò che mettono nel loro prodotto e i procedimenti utilizzati. Non me ne frega niente che il produttore mi dica che fa naturale fissandomi negli occhi. Lo deve mostrare alla comunità attraverso l’etichetta, pronto ad assumersi le sue responsabilità in caso di falsa dichiarazione. Se poi in un’annata sbagliata, a causa di condizioni meteo particolarmente difficili, dovesse comparire qualche ingrediente “imprevisto” sarei il primo a premiare il produttore che ha scelto onestamente di dichiararlo.
Provocazione (tanto per cambiare) Se io vinifico delle uve certificate bio, al mosto aggiungo alimenti per lieviti, perchè il mio enologo mi dice che le mie uve sono povere di sostanze azotate (che sega di vignaiolo!) invece che fare una o più settimane di macerazione sulle bucce, riscaldo per 2 o tre giorni il mosto fino a 38 gradi per estrarre tutto il possibile (colore,ecc) poi filtro e refrigero il tutto e faccio partire la fermentazione con un inoculo preso da una vasca in fermentazione (da lieviti selezionati) che chiamo pied de cuve. Poi avendo un residuo zuccherino voluto per avere un vino più ruffiano, filtro sterile e imbottiglio con una solforosa totale a 80 mg/l. Ho prodotto un vino naturale?
Ciao Emilio. No che non è un vino naturale. Il terzo punto della nostra ipotesi di protocollo lo esclude.
Inoltre il pied de cuve si fa con le stesse uve vendemmiate qualche giorno in anticipo e fermentate spontaneamente, mica con i lieviti selezionati di un’altra vasca.
La nostra è solo un’idea, un sasso nello stagno. Si accettano suggerimenti e correttivi 😉
@Massimiliano Montes, Dimenticavo ovviamente aggiunta di tannini! Il terzo punto della tua proposta esclude macerazione a temperature prossime allo zero, quindi possibili a 38 gradi come a 15.E la filtrazione sterile utilizzata anche sui vini bianchi macerati? E l’acquisto da uve da altre zone vinicole, anche se confinanti anche se biologiche?Il dibattito avuto nelle settimane scorse sulle analisi effettuate da VinNatur, dimostrano l’inattendibilità dei risultati. Sono d’accordo con Nic :
Il vino naturale dovrebbe essere autocertificato attraverso un’etichetta adeguata nella quale siano presenti gli ingredienti, la solforosa totale ed una sintetica descrizione dei lavori in vigna e cantina. Solo questo tipo di etichetta comporta un’assunzione di responsabilità da parte dei produttori.
Il vignaiolo dice quello che fà e fà quello che dice.
@emilio, daccordissimo sull’etichettatura, lo sai.
Dimmi tu come si potrebbe limitare l’uso delle temperature.
La certificazione biologica in teoria esclude l’uso di uve non bio acquistate da terzi. Le analisi servono anche a smascherare i truffatori.
Per quanto posso, mi impegnerò affinchè questa proposta venga affrontata nel convegno di VdV a Fornovo quest’anno, anche perchè vorrei sapere gli altri produttori cosa ne pensano. La mia impressione è che l’applicazione rigida di questo protocollo taglierebbe fuori il 90% dei vini/aziende che ora si dicono naturali. Forse per questo è necessario uno strumento più elastico ed adattabile alla realtà, come l’etichetta trasparente. Le norme troppo rigide sono fatte per essere violate soprattutto se a violarle non si rischia nulla. L’etichetta trasparente invece implica una assunzione di responsabilità personale, individuale e non servono analisi di riscontro , perchè a controllare la veridicità di quanto scritto in etichetta vi è una schiera di organismi pubblici e privati ad iniziare dalla Repressione Frodi, NAS, ecc Sulla questione certificazione bio, si rischia di favorire l’equivoco perchè sapete bene che quelle aziende che otterranno la certificazione del vino bio secondo il reg 203/2012. possono in cantina usare di tutto e di più. Quindi dovremmo limitarci alla certificazione bio delle uve
E’ anche vero però che si può scrivere senza solfiti aggiunti, solo se si e certificati in base a detto regolamento. E che si può dichiarare in etichetta che non si usano pesticidi solo se si è certificati bio. Concordo che un vino naturale debba avere una qualche certificazione, ma anche qui trovo più seria efficace e vincolante l’autocertificazione riportata in etichetta. Avete mai letto di un finto biologico smascherato da un Organismo di Controllo del settore? In genere le truffe nel biologico sono smascherata dalla GdF, dai Nas, Ecc Inoltre per le analisi sui residui sarebbe necessario il consenso del produttore per prelevare i campioni e successivamente pubblicarne i risultati. Campioni preferibilmente acquistati in enoteca, in numero di quattro, uno per voi, uno per il produttore, uno al laboratorio, ed uno come controprova. Tutti i campioni sigillati e firmati dal produttore. Solo così potrebbe essere possibile pubblicare i dati. Sulle altre questioni io penso che la filtrazione sterile o anche filtrazioni spinte e refrigerazione o riscaldamento dei mosti siano pratiche che snaturino il vino e le vieterei; ma sono pratiche diffusissime soprattutto nei vini bianchi.
Addirittura il 90% delle aziende non rientra in questo protocollo? A me non sembrava così rigido… per quali punti prevalentemente sforerebbero secondo te?
Per quanto riguarda la certificazione bio avrai letto che al primo punto si parla di uve da “agricoltura biologica” e non di vino biologico. Non dimenticare che noi siamo stati i primi a scrivere sulla inutilità della legge sul vino biologico del 8/3/2012.
Non è vero che per fare le analisi occorre il consenso del produttore.
@Massimiliano Montes, Il consenso del produttore non serve per fare le analisi ma per pubblicarne i risultati senza querele si! I punti per i quali si sforerebbe il disciplinare sono diversi e non tutti contemporanei per ogni azienda. Molti non hanno la certificazione bio; molti altri per i bianchi utilizzano lieviti selezionati, chiarifiche, refrigerazione mosti e filtrazioni anche sterili. Molti altri imbottigliano sempre con una solforosa totale intorno a 80mg/l
Se usano lieviti selezionati e chiarifiche non sono comunque naturali! Indipendentemente dal nostro protocollo 😉
Per le querele ti sbagli. Trasmissioni televisive e guide (altroconsumo) hanno fatto la loro fortuna con le analisi. Antonio Lubrano ha iniziato così, con Mario Pastore.
La querela per diffamazione prevede un elemento oggettivo che è, appunto, la diffamazione. Ovvero lo spargimento di notizie infondate, non vere. L’analisi è una dimostrazione che la notizia è vera, ergo non c’è diffamazione. Se analizzo la bufala e ci trovo il 30% di latte vaccino sono perseguibile per diffamazione? Eccimancherebbe!!
Mea Culpa , Mea Culpa , domani imbottiglio Les Jeux sont faits ,un Syrah che rientrerebbe a pieno titolo nel nuovo disciplinare di Massimiliano che per comodità chiameremo ” Vino chi manu ” ,dal siciliano ,vino fatto con la mani , a cui tutti produttori devono attenersi ,rigidamente,anche con un solo prodotto .
Per cui non è necessario che tutta la produzione aziendale debba attenersi al disciplinare ,questo per far si che ,rispettando le economie aziendali , che vuole può andare oltre con almeno un prodotto .
Questo Syrah ha 2 mg/ l di S02 totale ,fermentazione spontanea e quindi senza lieviti inoculati , non chiarificato e quindi non filtrato .Il vino è stato prodotto da uve coltivate in regime biologico e sottoposto ad analisi ufficiali il 15 maggio per monitorare la S02 .
Invito tutti ad una grande bevuta ,anche perché , questo é il mio regalo per i venti anni della Azienda ed i regali vanno condivisi se sono liquidi 🙂
@Francesco Spadafora, complimenti per il nuovo nato che spero possa diventare presto un successo da replicare con il resto della produzione. Sollevi peraltro un punto interessante: dobbiamo parlare di vino naturale o di aziende che lavorano in maniera naturale? Io sarei per il vino però questo potrebbe trasformare in produttori naturali anche quelli che vi dedicano una parte assolutamente minoritaria della produzione totale, per la strana proprietà transitiva già citata da Emilio (un produttore non naturale partecipa ad una fiera e ne esce dopo tre giorni con la nomea di naturale). Cosa ne pensate?
@Nic Marsél, Per un aspetto penso si debba parlare di aziende che lavorano in modo naturale: i lieviti selezionati. Ad esempio che senso ha dire che si produce un vino da fermentazione spontanea, quando contemporaneamente in cantina vi sono altre vasche inoculate con lieviti selezionati, le tubature e le pompe sono le stesse? In tale condizioni è corretto dire che tutti i vini di quella azienda sono ottenuti con inoculo di lieviti selezionati.
@emilio, obiezione accolta 🙂
@emilio,
Mi sembra un po’ come quelle Aziende che cercano un rappresentante di vino che non abbia altri mandati 🙂
Quindi puoi non inoculere lieviti se non ne hai mai inoculati e quindi il protocollo vale solo per le aziende che nasceranno ?
I fondamentalisti mi sembrano più flessibili ,anche perché se il prinicipio é convertire più Aziende possibili ad un protocollo serio ,qualche idea bisognerà farsela venire .
Detto questo , se per preparare un pie di cuve per poi fare partire tutto il resto hai bisogno di tre giorni circa ,durante la vendemmia ,ti fermi per tre giorni in attesa che partono le fermentazioni ?
Per aiutare questo mondo a cambiare non si può avere un approccio intransigente ma accomodante , per cui se vuoi aderire al protocollo le regole sono stabilite ma o tutto il vino o nessuno non avvicina al cambiamento .
@Francesco Spadafora,
Francesco, ma Emilio e Nic non dicono che le indicazioni devono servire solo per le nuove aziende. Si chiedono se il protocollo debba essere applicato solo ad alcuni vini dell’azienda o a tutti. Cioè se l’azienda debba essere a conduzione naturale “in toto”. Interpretazione peraltro che io condivido.
Ciò significa che anche aziende convenzionali possono riconvertirsi, però per tutta la produzione.
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I pied de cuve tradizionalmente in Borgogna vengono fatti proprio così: si vendemmiano piccole quantità di uva 3-4 giorni prima della data prevista per tutto il vigneto, si mostifica e si mette il mosto al riparo anche in ambiente riscaldato per uso umano. Dopo 3-4 giorni si vendemmia tutto il resto e si inocula la massa con quella piccola quantità che nel frattempo è in fermentazione tumultuosa.
Uno dei motivi per cui produttori seriali da milioni di bottiglie non potranno mai fare vini naturali è perché non avranno mai tempo e modo di fare queste cose 😉
@Francesco Spadafora, Io sono stato sempre per un approccio graduale, per dare tempo ai giovani e comunque ai nuovi di maturare una scelta. Penso che il modo migliore per convertirsi al “naturale” non sia un rapido rinnegare ciò che si è fatto fino a ieri, ma bensì l’avvio di un processo in cui uno alla volta elimini coadiuvanti, addittivi, lieviti selezionati, ecc. Per fare ciò occorrono almeno 2 o 3 anni; in questo periodo ben vengano i vini da fermentazione spontanea in cantine che sono ancora il regno dei lieviti selezionati, se questo è un primo passo verso la conversione dell’intera produzione. Purtroppo spesso il successo commerciale non fà fare i necessari passi successivi. Anche in queso caso però sarebbe corretto comunicare tale condizione al consumatore.Vi sono aziende che dopo molti anni, continuano ad avere un solo vino da fermentazione spontanea, utilizzato come specchietto per le allodole. Stessa questione si pone per i consulenti. Non mi spiego come mai molte aziende che dichiarano di aver concluso una radicale conversione al naturale, mantenengano l’agronomo e l’enologo convenzionale. Per il pied de cuve, lo preparerai tre giorni prima dell’inizio della vendemmia, non vedo altra soluzione.
@Francesco Spadafora,
Ho paura che vi rivolgete solo a chi gestisce pochi ettari e quindi non contribuirete mai ad allargare gli orizzonti a mondo del vino . Io coltivò 95 ettari di vigneto e produco 3.500 ettolitri di vino , posso avere qualche vasca vinificata come il protocollo ,o devo vendere tutta l’uva e vinificarlo solo una piccola parte ?
Io ho l’impressione che oltre la teoria non va persa di vista la pratica e credo che alcuni vivono in un mondo che non gli piace ma senza volere affatto contribuire a cambiario .
Assodato che tutte le cantine sono inquinate da lieviti vari e quindi non hai idea quali contribuiscono alla fermentazione di quel vino ,anche non utilizzare S02 su una vasca non basta a definire quel vino “Naturale “?
Non credo che mai nessuno mi inviterà a partecipare a quelle fiere che hanno della parola “naturale ” marketing e quindi non mi pongo il problema ,ma ogni qual volta faccio qualcosa di nuovo in cantina sono contento e quindi esprimo una mia opinione ed accetto ovviamente quella degli altri ,ma che parlino però perché hanno vissuto una cantina ,una vendemmia ,un mercato ed assaggiato quei vini 10 anni dopo
@Francesco Spadafora,
Tu non sei così grande da non poterti convertire. E’ solo più difficile rispetto a chi produce 15.000 bottiglie.
Bellotti ha una produzione che sfora le 130.000 bottiglie.
@emilio,
quello che apprezzo di Francesco Spadafora è che il vino se lo fa lui, come vuole, nel bene e nel male. Senza consulenze esterne o enologi.
A differenza di tanta gente che investe pacchi di denaro ma di vino non ne capisce una sega (e da noi sono la maggioranza), Francesco è esperto in vigna e in cantina, e un grande bevitore (di grandi vini, non in grandi quantità), e questo non può che far bene a un produttore.
Ed è apprezzabile la sua volontà di sperimentare cose nuove. Il suo Syrah nature è veramente buono.
@Francesco Spadafora,
Occhio sempre alla proporzione ettari numero di bottiglie per capire come si lavora in vigna .
Convertire , sembra che abbia fatto qualcosa di male fino ad adesso 🙂
Massimiliano, personalmente non sarei per principio contro la barrique nuova, sebbene l’apporto aromatico di questo contenitore possa essere decisamente importante. Un vino che non possiede determinate caratteristiche in partenza, dubito che possa trarre giovamento dal passaggio in barrique nuove. Poi non è una guerra contro il bottaio nè al contenitore. Altrimenti cosa dire dell’anfora? Non è certo una scorciatoia enologica ma (in Italia) nella maggior parte dei casi è uno strumento di una brutta specie di marketing, non fa parte della nostra tradizione, non fa terroir e peraltro da origine a vini di qualità discutibile: soltanto uno specchietto per allodole insomma. Poi per qualcun’altro l’acciaio è l’origine di tutti i mali, la morte dell vino, con tanto di studi sull’effetto negativo di cariche elettrostatiche ed escursioni termiche. Secondo me tutto questo fa parte della cifra stilistica di un produttore. Forma e non sostanza, dove la prima non è assolutamente in secondo piano. Il vino naturale dovrebbe garantire la genuinità della sostanza lasciando alla mano del produttore l’abilità di plasmare la materia nella forma più consona.
Nic, personalmente invece sono contro la barrique nuova! 🙂
Proprio di recente un neo-produttore pseudo-naturale ha affinato il proprio passito in barrique nuove, facendogli perdere completamente gli aromi varietali tipici dell’uva.
Ricapitolando e facendo una somma dei suggerimenti:
– Mike Tommasi su twitter mi suggeriva di aggiungere al punto 3 la concentrazione ad osmosi inversa con membrane semipermeabili.
– Emilio vorrebbe anche un controllo delle temperature massime di fermentazione )per evitare che superino i 30-33 gradi credo). E’ ragionevolissimo, ma penso che lo facciano già tutti, naturali e non, perché alte temperature determinano eccessiva formazione di “olio di fusello”, quella miscela di alcoli superiori che conferisce un sentore “vinoso”, detto anche “amilico”.
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Ovviamente queste indicazioni vorrebbero rappresentare un orizzonte verso cui tendere, una prospettiva per tutti i vignaioli.
Non capisco perchè Francesco escluda a priori di poter vinificare tutte le sue vasche seguendo il protocollo. In questo modo è lui che dichiara di non aver fiducia nella possibilità di conversione delle medie e grandi aziende. Se vuoi, ti invito io a partecipare al prossimo Natural Critical Wine (Roma 12/13 ottobre), con il tuo Syrah, se questo è un primo passo verso la conversione dell’intera produzione. 😉
@emilio,
Grazie Emilio , ma mi sa che starò lottando fra i batteri , parlo di quelli malo che diventano lattici 🙂 .
La mia vendemmia dura circa 35 giorni spalmati in quasi due mesi , 3.500 ettolitri e 16 persone che raccolgono ,veramente pensi che possa vinificare come se ne avessi 350 ettolitri e 3 persone che raccolgono ?
Inoculo lieviti solo in alcune vasche perché non posso gestire tutto aspettando che parta da solo , utilizzo meno S02 possibile e ci riesco , non uso altri additivi e faccio tutto con le mani e con l’aiuto della temperatura più fresca possibile , ma il giorno che rinascerò chiederò di nascere trino e quindi proverò a superarmi . Quest’anno proverò ad esagerare con un po’ di Grillo ,così Massimiliano sarà felice ,ma chiedermi di fare tutto come se avessi poca uva da gestire la vedo dura .
Grazie ancora per l’invito ,se mi fai avere un indirizzo sarò felice di farti avere due bottiglie per assaggiarlo e vedere come é .
@Francesco, Scusa se insisto, ma serve anche a me per capire. Il pied de cuve lo prepari tre giorni prima dell’inizio della vendemmia e lo utilizzerai nella prima vasca. Le successive non dovrai ripetere il pied de cuve, basterà prendere qualche secchio da un mosto in fermentazione da utilizzare come inoculo e così via. Per il resto da quanto scrivi e da quanto dice Massimiliano il tuo lavoro è sicuramente da elogiare.GRAZIE.
@emilio,
Veramente io per scrupolo lo preparo in ogni vasca ,per questo diventa tutto più lungo ,perché dovrei avere una marea di vasche con poco prodotto dentro e poi passerebbe troppo tempo prima di riempirle .