Secondo uno studio condotto dall’Università di Stellenbosch in Sud Africa, i vigneti biologici e biodinamici hanno una popolazione di lieviti e batteri più ampia ed eterogenea di quelli convenzionali e in lotta integrata.
La ricerca è stata condotta su tre vigne adiacenti di Cabernet Sauvignon, coltivati in biodinamica, lotta integrata e convenzionale.
Lo studio delle popolazioni batteriche e fungine sull’uva e sulle viti ha dimostrato che la concentrazione di microrganismi è più elevata nei vigneti meno trattati. Ma soprattutto la popolazione è molto più eterogenea nel vigneto biodinamico rispetto a quelli convenzionale e integrato.
Lo studio delle uve è stato fatto con un campionamento su vigneti commerciali identici, stessa varietà, stesso anno d’impianto, stessa composizione del terreno. L’unica variabile era il tipo di conduzione agronomica.
I campioni sono stati esaminati microbiologicamente, dal punto di vista colturale, e con metodi di PCR ed ARISA per verificare il genoma microbico.
I risultati hanno sorpreso gli stessi studiosi, perché il vigneto biodinamico aveva un’amplissima eterogeneità della popolazione di lieviti e batteri, con una netta prevalenza di lieviti non-Saccharomyces.
Saccharomyces cerevisiae, che è il lievito che porta a termine i processi di fermentazione alcolica, e quello utilizzato nelle selezioni commerciali da inoculo, era rappresentato in concentrazioni molto basse, inferiori a 10 ufc/g.
Concentrazioni elevate sono state riscontrate per alcune specie di lieviti non-Saccharomyces capaci di apportare importanti componenti aromatiche al vino.
Questo studio sembra un’ulteriore autorevole conferma di come la conduzione agronomica dei vigneti determini incisivamente la quantità e la composizione delle popolazioni microbiche, ed influisca anche sull’aroma finale del vino.
The Vineyard Yeast Microbiome, a Mixed Model Microbial Map
Appunto, sai qualcosa oppure hai qualche dato sul risultato finale?
Leggendo la tua recensione presumo che si arrivi ad ottenere un prodotto di qualità se non superiore.
Ciao Carlo. La risposta alla tua domanda è… dipende 🙂
La maggior parte dei vini sono fermentati inoculando lieviti selezionati del ceppo Saccharomyces cerevisiae. Questo dopo aver trattato il mosto con anidride solforosa per uccidere ciò che c’era prima.
Così facendo qualsiasi apporto aromatico dovuto ai cosiddetti lieviti indigeni verrà a mancare, azzerato e soppiantato dal ceppo selezionato.
Se invece si lascia fermentare il mosto spontaneamente senza inoculo di lieviti selezionati, il vantaggio di una coltivazione senza uso di anticrittogamici sarà evidente.
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Questo studio pone le fondamenta scientifiche alla fermentazione spontanea, senza inoculo. Per due motivi:
1. Come si evince dallo studio, la maggior parte dei lieviti isolati nel vigneto biodinamico sono del tipo “non-Saccharomyces”. Questi sono lieviti indigeni, alcuni dei quali conferiscono un determinante apporto aromatico al vino.
Il trattamento del mosto con anidride solforosa e l’inoculo con Saccharomyces selezionati distrugge irreversibilmente questa componente aromatica.
2. La relazione diretta tra trattamenti sistemici e riduzione della popolazione di lieviti indigeni riscontrata nello studio, fa diventare il biologico-biodinamico e la fermentazione spontanea un binomio inscindibile. I lieviti presenti sulle pareti delle cantine derivano da quelli attivi in fase di fermentazione. Una popolazione di lieviti ampia ed eterogenea in vigna determina di riflesso un ampio ed eterogeneo reservoir di lieviti in cantina. Con una inevitabile caratterizzazione e individualizzazione del vino.
La risposta alla tua domanda quindi potrebbe essere la seguente: se un vino è prodotto da vigne a conduzione biologica o biodinamica (da anni, non di recente conversione) e viene fermentato spontaneamente, sicuramente ne trarrà giovamento.
@Massimiliano Montes,
Grazie per la risposta molto esaudiente!
Grazie per la segnalazione di questa ricerca.
Ho scaricato il documento, è davvero molto interessante.
La materia rimane complessa e, per alcuni versi, controversa.
Soprattutto se consideriamo che – secondo altri studi – la maggiore influenza sull’esito delle fermentazioni spetta alle popolazioni di lieviti presenti in cantina, sugli strumenti di lavoro così come nell’ambiente.
Quindi, sembrerebbe che la diversità e numerosità dei microrganismi “importati” dalla vigna (assicurata da conduzioni agronomiche “minimaliste”) si integri con le popolazioni che vendemmia dopo vendemmia si attestano in cantina, selezionando nel tempo i microrganismi meglio in grado di evolvere, e di garantire il successo della fermentazione e la trasmissione di quelle componenti aromatiche delle quali parla Massimiliano.
Tutto questo è davvero affascinante… 🙂
Esatto, credo che tu abbia proprio ragione. I lieviti in cantina sono numericamente preponderanti, ma sono comunque “importati” dalla vigna nel corso degli anni.
Un atteggiamento poco interventista in vigna consente di avere una popolazione più ampia e variegata in cantina.
Altro corollario interessante è l’importanza di questi lieviti per le fermentazioni spontanee. Se la maggioranza non sono del ceppo dei Saccharomyces cerevisiae, ma prevalentemente appartenenti alle forme apiculate, la fermentazione spontanea anche mediata da un pied de cuve è prevalentemente operata dagli apiculati.
Davvero una ricerca che ci fornisce ancora più stimoli ad andare sempre più avanti. Noi l’anno scorso, nel nostro piccolo, siamo andato un pò più avanti. Cercando di capire come lo zolfo influisca sui lieviti indigeni! http://www.vinnatur.org/2012/06/07/lieviti-e-zolfo-quale-relazione/
è solamente una prova empirica, ma ci aiuta a capire quanto sia importante diminuire le nostre dipendenze dai metalli pesanti e altre porcherie chimiche!
@Alessandro – VinNatur, Lo zolfo non è un metallo pesante, in biodinamica si può utilizzare senza limitazioni. Quindi si può supporre che sia stato utilizzato anche sui vigneti della sperimentazione in oggetto. Inoltre in commercio se ne trova ancora di miniera (provenienza Polonia), quindi cosa intendi quando scrivi: “…capire quanto sia importante diminuire le nostre dipendenze dai metalli pesanti e altre porcherie chimiche! -” ? E soprattutto quale alternativa proponi?
I lieviti non saccharomices non hanno un potere alcoligeno elevato e non riescono a portare a termine la fermentazione alcolica. Sono alcuni anni che li sto sperimentando e per portare a termine la fermentazione c’è bisogno di fare un inoculo successivo di un ceppo saccharomices ……
Quoto dal post:
“lieviti non-Saccharomyces capaci di apportare importanti componenti aromatiche al vino.”
Quali sono le componenti aromatiche aggiuntive rispetto ai saccaromiceti?
Qual è il potere alcoligeno dei “non saccaromicet”i?
grazie
@Sir, Goffredo
In questo lavoro del Prof. Paolo Giudici (http://tinyurl.com/kzwdl8w) si legge che i lieviti non-Saccharomyces conducono la fermentazione fino a quando la concentrazione dell’etanolo arriva al 3-4%. Poi proseguono e terminano il processo fermentativo i Saccharomyces cerevisiae. Basse temperature di fermentazione favoriscono la persistenza degli apiculati anche oltre.
La frase riportata da Panz è tratta dallo studio che è possibile scaricare in originale dal link a pie di post. Che gli apiculati diano un’impronta aromatica non è la prima volta che lo sento dire 😉
Ho letto tutta la ricerca, una faticaccia, ma non ho trovato nessun accenno alle “componenti aromatiche aggiuntive rispetto ai saccaromiceti”
Mi sembra che lo studio dimostri semplicemente che sui grappoli BD ci sia una bodiversità leggermente più accentuata rispetto a conv. e integrata.
Probabilmente mi sbaglio, il mio inglese per le cose così tecniche è parecchio impreciso, ma quello che dici nel post è frutto della tua personale interpretazione e di quello che tu chiami “sentito dire”
In tutti i casi, come riporti nel commento sopra, tutta questa biodiversità sparisce con il 3-4% di alcol, quindi dopo poche ore dall’ inizio della fermentazione. Tra l’altro uno dei prodotti secondari di fermentazione (di questi ceppi indigeni) di più “immediata” riconoscibilità è l’aldeide acetica e il metanolo… (la prima magari, ossidandosi in ac acetico ed essendo tremendamente volatile, si porta dietro qualche aroma magari non facilmente volatile… la seconda, il metanolo, è decisamente più pericoloso di una massiccia dose di so2.. massiccia dose.)
Insomma, non è che se si usano saccaromiceti l’unico risultato possibile è quello di avere vini con spiccati aromi extraterritoriali ed extravarietali (mango, frutto della passione….)
Vista così non sembra per nulla una conferma alla teoria “delle sostanze aromatiche aggiuntive” ma assomiglia di più ad un concetto “adattato” ad una ricerca.. e non viceversa..
Saluti
@Sir Panzy tu spari un mucchio di cazzate.
Tanto per cominciare firmati con nome e cognome perché sembri il solito enologo prezzolato o peggio un blogger invidioso e panzone.
Poi vienimi a trovare all’università di milano che ti spiego perché dici cazzate.
Sir Panzy è proprio all’inizio: “In the wine industry, the species composition of these communities is of significant importance since the microbial species that are present on the berry may contribute to the fermentative process and therefore the aromatic properties of the resulting wine”.
Occorre un ripassino di inglese? 😉
Panza, Francesco Spadafora, produttore convenzionale che da poco sperimenta la fermentazione spontanea, in questa intervista ci conferma sensibili differenze aromatiche tra fermentazione spontanea e fermentazione con inoculo di lieviti selezionati: http://tinyurl.com/k23z8p4
Addirittura secondo Spadafora la volatile totale era più bassa dopo fermentazione spontanea che non dopo inoculo!
Evitiamo atteggiamenti egocentrici e facciamo parlare chi col vino ci lavora.
E magari evitiamo di contestare anche le pubblicazioni scientifiche con argomenti pretestuosi
“Lo studio sui lieviti ancora potrà aprire nuove frontiere”. Lo hanno detto alcuni ricercatori in un convegno al “VinoVip” di Cortina organizzato da “Civiltàdelbere”. Ad una maggiore quantità di lieviti non sempre corrisponde una migliore qualità, anzi le due cose non sono affatto correlate e lo hanno dimostrato presentando due vini dello stesso vitigno ma vinificati con due diversi tipi di lieviti , un primo con i “Saccharomyces”, i secondi con i “non-Saccharomyces”. In un caso il test ha evidenziato un parco aromatico complesso, e pulito, ed una eleganza elevata. E lo stesso vino con vinificato con altri lieviti è apparso con caratteriste del tutto diverse. Con un altro vitigno lo stesso criterio(per prima i Saccharomyces e il secondo i “non-Saccharomyces”, ha messo in evidenza un ribaltamento delle stesse caratteristiche. Il primo è risultato piatto disarmonico, il secondo più elegante e gradevole. Giudizi,è bene precisare, emersi non di un singolo degustatore ma dalla maggioranza, per alzata di mano, di una platea di un centinaio di esperti tra enologi, sommelier e giornalisti del settore….
Ciao Stefano. Probabilmente ci vogliono tutte e due le componenti, come nelle fermentazioni spontanee naturali. Fermentare con un solo ceppo selezionato è come far suonare una musica a un singolo strumento invece che a un’orchestra.
La conoscenza apre sempre nuove frontiere. Un abbraccio.