E se li chiamassimo vini ancestrali?

Non voglio girarci troppo intorno. La parola “naturale” applicata al vino, provoca l’orticaria ai produttori seriali. A me certamente no, però è un fatto che questo vocabolo non si possa utilizzare per legge. Piuttosto non capisco come mai per altre tipologie di prodotti, non parrebbe esserci lo stesso accanimento da parte dell’indaffarata repressione frodi. Ma questo è un altro discorso.

Invece voglio cimentarmi nell’impresa di concentrare in un solo lemma ciò che ti scatta dentro quando incontri certi vini che se poi provi a descriverli, ti si ingarbuglia inevitabilmente la lingua in un groviglio di patetica retorica. Insomma, quello che ti viene in mente di fronte alle magiche creature di Josko Gravner, Frank Cornelissen, Alessandro Dettori, Stanko Radikon. A quello straordinario vino insieme primigenio, antico, e contemporaneo e d’avanguardia, quella materia viva e senza tempo, per oggi e per sempre, se per sempre si potesse vivere. Quel vino che ti procura ancora mille emozioni, in realtà suggerisce una parola soltanto: ancestrale. Ecco, se fossi vignaiolo vorrei che il mio si chiamasse vino ancestrale. Pazienza se in Francia per “méthode ancestrale” si indica ciò che per noi è la rifermentazione naturale in bottiglia. E se poi qualche spumantista modenese volesse farmi causa, conto su di voi amici per pagarmi l’avvocato. Ci state?

 

 

22 thoughts on “E se li chiamassimo vini ancestrali?

  1. A3C

    Precisazione amichevole: “méthode ancestrale” in Francia NON INDICA la Ri- Fermentazione in bottglia…ma semplicemente prevede che il vino sia imbottgliato PRIMA del fine della PRIMA/UNICA fermentazione che termina in bottiglia. Le bottiglie vengono poi inclinate per fare accumuare i lievti nel collo, e poi semplicemente stappate ( per rimuovere lieviti esausti) e ritappate. Stop.

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    1. Nic Marsél

      @A3C, Pero’ consentimi un commento : Ok per la singola fermentazione, tuttavia non mi risulta che vengano effettuate opreazioni di sboccatura (e conseguente ritappatura) se non al momento del consumo, pena abbassamento del livello della bottiglia sotto il limite. Concordi?

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  2. A3C

    lo devi fare per forza perché il deposito è veramente notevole….ma si perde pochissimo vino…. lo sanno fare bene….

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  3. maurizio gily

    in sostanza il metodo ancestrale non prevede l’arricchimento con zucchero per la seconda fermentazione ma l’utilizzo degli zuccheri residui dalla prima. In Italia (in Francia non so) si considera in genere metodo ancestrale lo spumante fatto senza alcun arricchimento, né prima né dopo. Sull’Asti ad esempio, o sul Prosecco, cioè vini in cui la prima fermentazione viene interrotta con il freddo, è particolarmente facile da realizzare, ed anzi non vedo alcun motivo per fare diversamente, salvo disporre di uve scadenti o incidenti di percorso in cantina.

    Comunque l’utilizzo del termine ancestrale per i vini invece di naturale mi pare un’ottima idea, era venuta anche a me ma non osavo proporla per timore che mi caricassero come un facchino.

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    1. Nic Marsél

      @maurizio gily, Grazie del contributo Maurizio. Quel timore ce l’ho anch’io e le motivazioni sono ben descritte nel “vino del bastone” pubblicato dalle tue parti 😉

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  4. A3C

    Il prosecco colfondo è ancestrale non sboccato…ma in Francia sono schizzinosi non commercializzerebbero mai un boccia con tanto deposito

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    1. Nic Marsél

      @A3C, il prosecco colfondo non è necessariamente “ancestrale non sboccato”. Alcuni produttori per quanto ne so aggiungono, in fase di all’imbottigliamento, la piccola parte di mosto che serve.

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      1. luigi fracchia

        @Nic Marsél, alcuni prosecchisti colfondo mediatici e no fanno anche tre fermentazioni e non credo riescano a mantenere residi zuccherini endogeni per tutte ste fermentazioni

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  5. Patrizia

    La terminologia ancestrale è abbastanza in uso e riferito a vini frizzanti. Ond’evitare di creare ben altre confusioni e orticarie, avrei pensato la definizione di “Vino Arcaico”.
    A me piace a voi?

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    1. Nic Marsél

      @Patrizia, anche a me non dispiace “arcaico”, ma “ancestrale” lo trovo molto più evocativo. Arcaico suggerisce qualcosa che non riesce a stare al passo coi tempi e la tecnologia. Ancestrale è fuori dal tempo, come eredità naturale dell’evoluzione. Certo che poi bisogna distinguere tra Metodo Ancestrale e Vino Ancestrale.

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  6. Roberto

    Fatico a capire perché un approccio nuovo al fare vino (intendo quello ora mal-definito naturale) debba rifarsi a parole che richiamano il passato se non per una mera questione di marketing (parole quali: familiare, casalingo, naturale, antico, della nonna, del contadino etc hanno sempre un imprinting positivo sul consumatore stupido).
    Non capisco perché un nuovo approccio all’agricoltura e al vino (ma non solo) che parte da una conoscenza approfondita della tecnologia debba considerarsi un passo indietro e non invece un passo avanti.
    Non capisco perché per pensare ad un futuro diverso e migliore si debba usare lo sguardo del culo e non degli occhi.
    Davvero non lo capisco.

    Io sono per chiamarlo “vino futuro”.

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    1. Nic Marsél

      @Roberto, infatti non lo intendo come un rifiuto a priori della tecnologia nè un ritorno alla preistoria, ma semplicemente una sorta di presa di coscienza. Comunque carina l’idea del “vino futuro”, dà speranza e suggerisce ottimismo 🙂

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      1. Roberto

        @Massimiliano Montes,

        il fatto che si possano usare additivi non significa che li si usi, chi lo fa (IMHO) compie un falso ideologico.
        Io di produttori “industriali” (vorrei esattamente capire poi che significa) ne conosco e conosco le loro pratiche in cantina. I più usano quei due/tre prodotti che ritengono utili ad avere un vino come dicono loro (il vino lo fa SEMPRE il vignaiolo e NON si fa MAI da solo). Quei prodotti sono: SO2, Albumina o bentonite (in alternativa e non entrambe) e lieviti selezionati.
        Sono cattive persone perché usano questi prodotti? Per me no, certo poi anch’io se trovo vini che hanno ancora meno aggiunte li preferisco (sempre se sono buoni, non puzzano, non hanno volatili alte, non sanno di aceto e non sono macerati anni tanto da perdere territorialità). LO faccio perché anche per il cibo ragioni alla stessa maniera, meglio biologico e biodinamico che non agricoltura che usa troppi agenti esterni.

        Rimane il fatto che, visto che i produttori “industriali” si ostinano a chiamare il loro prodotto vino, continuo a NON capire perché continuare a guardare il futuro col culo e non iniziare a farlo con gli occhi. A questo non vedo risposte.

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        1. Massimiliano Montes

          Roberto, concordo sulla ricerca degli alimenti migliori. Cerco di farlo anch’io in tutto il settore agroalimentare.
          Il vino naturale a me piace perché le migliori emozioni e la migliore piacevolezza l’ho avuta da vini naturali.
          So che la mia è una valutazione egoistica, tutta dalla parte di chi consuma. Chi produce ha delle necessità dettate anche da motivazioni economiche o ambientali (non tutti si trovano in territori vocati, capaci di dare grandi vini).
          Certo, il vino deve essere buono e senza difetti, ovvio.
          E credo che fare un vino buono senza usare scorciatoie sia più difficile, l’uomo che fa il vino deve essere molto molto bravo, avere ottime conoscenze tecniche di cantina.
          Comunque nessuna scorciatoia o additivo ti darà mai l’eccellenza, che è figlia solo del territorio e dell’abilità umana.

  7. Patrizia

    @Nic Marsel,buonasera.
    Comprendo il suo punto di vista, ancestrale suona decisamente meglio di arcaico,non comprendo però l’uso della tecnologia nel mettere alla luce un vino naturale.
    @Roberto,buonasera anche a lei.
    Fare il vino naturale è una metodologia che si perde nella notte dei tempi, non capisco purtroppo cosa intenda lei nel dire. “approccio nuovo al fare vino.”
    Se mai volesse rispondermi, potrebbe fare a meno dell’uso dell’anatomia umana?
    Grazie.

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    1. Roberto

      @Patrizia,

      perché non è vero che il vino si fa da sempre così, perché le conoscenze in materia sono sempre di più, perché la biodinamica è materia recente (Steiner muore nel 1925). Il riprendere pratiche già utilizzate non significa replicarle allo stesso modo, spesso lo si fa migliorandole e quindi sono di fatto pratiche nuove.
      Faccio inoltre fatica a capire perché questa voglia di guardare continuamente indietro e non porsi invece l’obiettivo di guardare avanti e costruire un futuro.

      (mi sono attenuto alle sue richieste di non usare anatomia nella risposta)

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      1. Patrizia

        @Roberto, grazie per aver esaudito la mia richiesta 🙂
        Che le pratiche di vinificazione si perdano nella notte dei tempi forse è più corretto., era questo che intendevo.Il vino quello naturale per me non e un’ esclusiva basata sulla scienza Steineriana neppure biologica per quello che mi riguarda al vino va lasciata libertà di espressione. Trovo molto più interessanti vini che esprimono quel qualcosa di non omologabile che molto spesso alcuni scambiano per difetti. Quelli sono vini unici e non difettosi, che cominciano ad evolversi nell’istante stesso in cui gli si da respiro (si stappano) continuando in un entusiasmante divenire di sentori e fragranze fino al loro ultimo sorso. E’ solo questione di pazienza o meglio come amo definirla, lentezza nell’approccio. Ben vengano quelle nuove metodiche che facilitano le colture tutte, purchè si mantenga in prims il rispetto per la natura e l’ambiente circostante.
        Un caro saluto

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  8. Patrizia

    Buon giorno @Massimiliano, premetto che non è minimamente un voler sminuire il lavoro di nessuno, il mio commento mira soltanto in un tentativo forse vano a fare chiarezza.
    Un vino prodotto con artifizi è un vino indubbiamente forzato, un abile tentativo di voler aggirare il corso perfetto della natura. Un pò come il somministrare viagra ad un adolescente per colmare la sua inesperienza o ad un anziano che non si rassegna all’inesorabile incedere del tempo oppure nel voler cancellare a tutti i costi, le caratteristiche rughe di espressione che tanto parlano di noi senza che apriamo bocca. Il risultato è senza dubbio stupefacente ma nell’illusorio!
    Al di la della metodica usata in biodinamica, biologica o naturale, io mi schiero dalla parte di chi lascia al vino la piena e massima libertà di espressione.

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    1. Massimiliano Montes

      Mah… tra non farlo completamente e farlo col viagra, la seconda è meglio.
      Il corso della natura in genere è tutt’altro che perfetto, in natura la vita media è di trent’anni.
      Per il vino credo che il discorso sia un po’ diverso.
      So che non tutti i territori sono vocati, e che non tutti i vini possono venire naturalmente eccellenti.
      Però penso due cose. Una è che nessun artifizio consentirà mai di raggiungere l’eccellenza. Al limite può far diventare “potabile” una porcheria immonda.
      La seconda è che il produttore seriale, o industriale che dir si voglia, usa gli artifizi per standardizzare il gusto della sua produzione. Sia tra le bottiglie di una stessa annata che tra diverse annate.
      Forse la soluzione sta nell’obbligare chi fa vino a indicare in retroetichetta tutto quello che aggiunge al vino. Poi il consumatore sceglie liberamente.

      P.s. Il cinquanta per cento degli ultra quarantenni soffre di disfunzione erettile, stai accorta a non offendere parte dei nostri lettori 🙂

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  9. Patrizia

    Lungi da me dall’offendere qualcuno! Ma poi offendersi per cosa @Massimiliano,contenti voi, continuate cosi 😉 resta una forzatura!
    Sull’imperfezione della natura ci andrei piano…li si entra in un discorso lungo e complesso.
    Se si dovesse indicare in retroetichetta tutto quello che è contenuto in un vino “artefatto” la bottiglia andrebbe venuta con un nutrito allegato cartaceo,impossibile.

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