Il vino può avere profumo di vino, ma non solo. Può odorare di agrume, albicocca, frutto della passione, gelsomino, bergamotto. In concentrazioni sempre più elevate: come se entraste in profumeria per scegliere un regalo. Il trucco sta negli enzimi, e in particolare nelle beta-glucosidasi.
Tutte le uve contengono, prevalentemente nella buccia, precursori aromatici. Per fare un esempio i Terpeni sono quelli che conferiscono gli aromi alle uve moscato, zibibbo, traminer. Le Pirazine regalano aromi di ortaggi, come il peperone del Cabernet Sauvignon e del Merlot. Il Rotundone le speziature pepate del Syrah, i Norisoprenoli fiori e violette.
Una categoria interessante di aromi è quella dei Tioli volatili, appartenenti alla famiglia dei mercaptani.
L’avete presente il profumo della scorza del mandarino? Che se più intenso ricorda il frutto della passione? Oppure il fiore di bosso tipico dei Sauvignon Blanc? Ecco, questi sono proprio i Tioli volatili.
Ritorniamo al trucco. La maggior parte di questi precursori è legata a residui zuccherini, non percepibile all’olfatto. La liberazione degli aromi dai rispettivi precursori avviene durante le fasi di macerazione e fermentazione. Naturalmente soltanto un 10% circa degli aromi si ritrova poi libero nel mosto-vino, il 90% rimane legato allo zucchero e non percepibile.
Gli enologi smanettoni attingono a questa riserva di precursori aromatici liberando gli aromi dallo zucchero con un enzima, la beta-glucosidasi.
La beta-glucosidasi agisce un po’ come una forbice, tagliando i legami tra aroma (chiamato anche aglicone) e zucchero, aumentando la concentrazione degli aromi percepibili.
Così si può prendere un Verdicchio, che naturalmente ha sottili sfumature aromatiche al mandarino, e trasformarlo in un Sauvignon Blanc con imponenti aromi di frutto della passione e fiore di bosso.
Il potenziale è enorme: più precursori ci sono, più se ne possono liberare con le beta-glucosidasi, e più si modifica l’aroma naturale del vino.
Anche i precursori possono essere incrementati artificialmente, mediante una fase di macerazione pellicolare a freddo prefermentativa insieme a enzimi di macerazione che li estraggono dalla buccia.
I risultati sono stupefacenti: potreste trasformare un Inzolia in un Sauvignon Blanc… oppure l’acqua in vino.
http://www.enotre.com/enzimi1.htm
http://www.lallemandwine.com/IMG/pdf_Catalogo_Lallzyme.pdf
http://www.enotecnica.it/pdf/Lafford/info12.pdf
http://www.enartis.it/download/Relazione%20modulo%20Enoforum%202009.pdf
Molto interessante. Secondo te questi enzimi (beta-glucosidasi o enzimi di macerazione) sono rintracciabili nel vino (intendo nel prodotto finale imbottigliato) attraverso analisi di laboratorio? Esiste una quota endogena che può non essere distinguibile da quella artificialmente aggiunta?
@Nic Marsél, Ciao Nic. Sulla rintracciabilità pubblicheremo qualcosa, in linea teorica si.
Questi vini comunque si riconoscono subito, sono quelli stucchevoli che sanno di caramelle alla frutta o big-babol.
Sono riconoscibili e talmente brutti che non possono essere bevuti: da lavandinare 🙂
Rintracciare gli enzimi nel vino è facile. Si acquista un campione di betaglicosidasi commerciale e si inserisce in un analizzatore a risonanza magnetica con la giusta diluizione, questa sarà l’impronta che la macchina ora è tarata a riconoscere. Si eseguono le analisi su campioni di vino e l’analizzatore confronta l’impronta precedentemente acquisita con il vino, indicandone l’eventuale presenza e concentrazione. In questo caso basterebbe la presenza per avere un test positivo.
Vale per tutti gli alimenti e tutte le sostanze, è quello che stiamo cercando di fare con Retelab, la rete di laboratori delle Camere di Commercio italiane attrezzati con analizzatori a risonanza magnetica.
L’unico problema è che fino ad oggi il Ministero ci obbliga ad avere prima il consenso del produttore della merce da analizzare. Che è un assurdità, perché chi contraffà merci non ti autorizza.
@Pippo, quindi si tratta di una molecola che naturalmente non è presente nel vino?
@Nic Marsél, alla macchina non interessa quello che è presente nel vino. Se inserisco come campione una diluizione di un prodotto commerciale è quello che andrà a cercare. Nel campione ci sono diverse molecole in diverse proporzioni, una miscela di enzimi, eccipienti, solubilizzanti etc. Quello viene memorizzato come campione di riferimento. Le dirò di più, ogni prodotto commerciale ha la sua impronta chimica, per essere precisi bisognerebbe campionare tutti i prodotti commerciali simili e creare un database. Così non ne sfuggirebbe nessuno.
@Pippo, d’accordo ma per un controllo efficace la sostanza deve essere 1) rintracciabile 2) dimostrabilmente esogena. Se per natura la molecola potrebbe essere già presente e non distinguibile da quella eventualmente aggiunta, che controllo sarebbe?
@Nic Marsél, scusi per il ritardo nella risposta ma il mio lavoro mi lascia a volte lontano da internet. Dunque mi spiego meglio. Ogni preparato in commercio è composto da uno spettro di molecole. Se lei lo passa da una colonna gascromatografica vedrà una serie di picchi ognuno dei quali appartiene a una singola molecola. Una cosa simile ma con precisione estremamente più elevata la ottiene con un’analisi rm. Il complesso dei picchi ottenuto è distintivo di quel singolo composto analizzato. È altamente improbabile che un diverso composto abbia la stessa composizione molecolare con le stesse proporzioni, come è altamente improbabile che due individui abbiano le stesse impronte digitali. Detto in termini tecnici significa che io posso identificare quel preciso prodotto commerciale con i suoi picchi caratteristici entro un intervallo di confidenza di almeno il 98%. Se analizzo un vino e trovo tutti quei picchi nelle medesime proporzioni, cioè della stessa altezza di quelli del campione di confronto, significa che in quel vino è stato usato quel prodotto. Spero di essere stato abbastanza chiaro.
Ora mi spiego perché molte volte alla cieca ho scambiato proprio Verdicchio con Sauvignon. Grazie Sig. Massimiliano.
@Il Duca, esatto! Sono rimasto stupito anch’io da alcuni verdicchi che sembravano sauvignon blanc. Uno di quei casi dove l’enologo andrebbe licenziato 🙂