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Con velo e senza velo. Non parliamo di Islam ma dello Jura

Pubblicato il 2 Gennaio 2014


di Massimiliano Montes 2 commenti

Un confronto tra due metodi di vinificazione diversi, per lo stesso vitigno, della stessa annata, dello stesso produttore: lo Chardonnay del Domaine Labet.

Sono sempre stato incuriosito dai metodi di vinificazione dello Jura. Qui sembra che i contadini e i vignaioli vivano in un altro pianeta, completamente distaccati dal resto del mondo. Fanno cose che metterebbero in alto livello di allarme la maggior parte dei vignaioli italiani (naturali e non) e farebbero tremare le vene ai polsi agli enologi.

La vinificazione tradizionale viene eseguita in barili da 228 litri (poco più grandi delle barriques di Borgogna), fatti con legno locale e generalmente vecchi.

Dopo la fine della fermentazione alcolica il barile viene lasciato scolmo per circa un terzo, sigillato e semplicemente atteso.

Vengono rimossi solo i residui solidi più grossolani, e il vino rimane a maturare insieme alle fecce fini che si depositano sul fondo. Non viene eseguito bâtonnage, ovvero rimescolamento delle fecce, che determinerebbe un’evoluzione ossidativa e l’incremento dell’acido acetico.

Invece viene fatto a riposare in tutta tranquillità, lasciando che sulla superficie si formi uno strato di crescita di lieviti, una specie di lanugine bianca che nel tempo aumenta di spessore fino ad alcuni centimetri: il velo, in francese “voile” (pronuncia: “vuàl”).

Vin de voile

Vin de voile

Il velo protegge dagli scambi gassosi con l’aria soprastante, che comunque è satura di CO2 e povera di ossigeno.
Questo è il motivo per cui il vino non viene mosso e non viene eseguito bâtonnage. La rottura del velo e qualsiasi movimento determinerebbero un maggior contatto del liquido con l’ossigeno, con formazione di acetaldeide che conferirebbe i tipici aromi di marsala o sherry.

La maturazione in botte scolma con velo procede fino a 6 anni e tre mesi secondo il disciplinare del Vin Jaune, ma può anche interrompersi prima.

Durante i primi tre anni il vino non acquista aromi ossidativi, o in alcuni casi lievi. Questi diventano leggermente più percepibili con tempi di elevazione più lunghi, anche se lo sviluppo in spessore e densità del velo protegge maggiormente il vino.

I vignaioli più giovani hanno iniziato a produrre vino colmando i barili (in francese colmatura si dice “ouillage”), impedendo la formazione del velo.

Il vino che abbiamo provato è Chardonnay del 2009 vinificato sia tradizionalmente come “vins de voile” che in seguito a colmatura della botte, come “vin ouillé”.

La famiglia Labet è originaria di Rotalier, un piccolo centro abitato della parte meridionale della Côtes du Jura. Fino al 1974 la produzione di vino era per uso domestico e l’eccesso di uva veniva venduto ad altri produttori della zona che imbottigliavano in proprio.

Alain Labet che ara le vigne

Alain Labet che ara le vigne

Da quell’anno Alain Labet decise di imbottigliare autonomamente e creare un’etichetta di Domaine. Nel 2003 suo figlio Julien iniziò a gestire una parte delle vigne etichettandole come “Julien Labet Vigneron”.

Oggi il Domaine Labet gestisce 9 ettari vitati, di cui 1.5 ettari di uva rossa (Poulsard 47%, Pinot Noir 35%, Trousseau 18%) e 7.5 ettari di uva bianca (Chardonnay 77%, Savagnin 23%).

Julien Labet gestisce 3.1 ettari, di cui 0.8 ettari di uva rossa (Poulsard 90%, Trousseau 10%), e 2.3 ettari di uva bianca (Chardonnay 75%, Savagnin 25%).

Julien Labet

Julien Labet

I vini che abbiamo provato sono:

- Lo Chardonnay «Les Varrons» Domaine Labet ouillé 2009, da una seleziona massale di viti di più di 65 anni di età, su suolo calcareo-argilloso a 280 metri sul livello del mare ed esposizione orientale;

- La cuvée du Hasard, Chardonnay “vin de voile” 2009, uvaggio da diverse vigne tutte con età superiore ai 60 anni, ed esposizione a sud-ovest e a est.

Chardonnay «Les Varrons» Domaine Labet ouillés 2009

Chardonnay «Les Varrons» Domaine Labet ouillés 2009

Entrambi i vini sono stati fermentati spontanemente, senza inoculo, in vecchi barili da 228 litri. Non filtrati né chiarificati, elevati per 36 mesi nelle stesse botti di vinificazione.

L’unica differenza è che le botti dello Chardonnay «Les Varrons» sono state colmate, quelle della cuvée du Hasard sono state lasciate scolme con formazione di velo.

Labet Chardonnay 2009

Senza velo e con velo

Il colore dello Chardonnay «Les Varrons» è giallo paglierino chiaro, quello della cuvée du Hasard più intenso e dorato.

Il profilo aromatico dei due vini è simile, sembra che la vinificazione tradizionale abbia agito da amplificatore e concentratore degli aromi.
Va precisato che questi due vini si discostano completamente dai profumi e gli aromi degli Chardonnay di altre zone. Degustato alla cieca non lo si riconoscerebbe come varietà. A me sembra molto più simile agli Chenin Blanc di Sebastien Riffault o di Puzelat.

Il naso suggerisce aromi di muschio, i profumi della campagna dopo la pioggia (geosmine), sottobosco umido, funghi chiodini. A seguire aromi di mela e di fiori bianchi.
Questo corredo è molto sottile ed elegante nello Chardonnay «Les Varrons», accompagnato da sfumature di frutta esotica (papaya, ananas). Diventa intenso e concentrato, più minerale, nella cuvée du Hasard vinificata “de voile”.

In bocca hanno entrambi una sottile acidità, una freschezza che richiama gli aromi di mela e di muschio, una mineralità gessosa. La persistenza de «Les Varrons» è esile, sfuma rapidamente. Quella della cuvée du Hasard prolungata, intensa, piacevolissima.

 

Domaine Labet
Place du Village – 39190 Rotalier
Tél : 03 84 25 11 13 – Fax : 03 84 25 06 75
email: domaine.labet@wanadoo.fr

 





2 Commenti


Vignaiolo italiano commenta:
03/01/2014 ore 12:24

“che schifo non togli la fioretta e lasci la botte scolma, ma sei un pazzo” testuali parole dette da un enologo di fama che cura diverse aziende, sia cantine sociali che privati. A volte non so più dove sia la verità, mi dicevano che la fioretta, o meglio la candida, faceva aumentare l’acetaldeide e rovinava immancabilmente il vino. La fioretta è catalogata tra le malattie dei vini nuovi. Questi in jura con una malattia ci fanno un vino potabile, e come dite voi buono.

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Massimiliano Montes risponde:
January 3rd, 2014 ore 12:57


@Vignaiolo italiano, non buono. Buonissimo!

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