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Breve ricognizione sulla (il) Freisa

Pubblicato il 21 Giugno 2020


di Marco Scarpa Scrivi il primo commento.

Il Freisa è uno dei più antichi vitigni piemontesi. Se ne ha traccia fin dal 1517 e dai documenti recuperati emerge come le carrate di “frese” abbiano valore doppio rispetto alle altre uve.

I nomi nei secoli scorsi variano e mutano e si ha traccia di “fresie” o “freise” nel XVII secolo. La prima descrizione ampelografica è del 1700 a cura del Conte Giuseppe Nuvolone-Pergamo, direttore dell’Orto Sperimentale della Reale Società di Agricoltura di Torino e si parla del vitigno Freisa come una tra le uve piemontesi di prima qualità. Diverse erano i nomi di alcune varietà rilevate: la “fresietta” (Freisa di Chieri) oltre alla “fresia pica” (Freisa piccola) e “fresia grossa” (Freisa grossa).

È interessante sapere che a cavallo dei secoli fino ai giorni nostri ci sono evidenze di estimatori e detrattori di questo vitigno. Nell’Ottocento, per alcuni (Strucchi, Mas e Pulliat), il Freisa poteva dire la sua tra i migliori rossi piemontesi mentre per altri (Gatta) risultava “sgradevole, se non nocivo”. Fino all’enologo Renato Ratti (1977): “Con il suo colore rosso rubino netto e con il profumo di lampone, il vino Freisa è portatore, sempre, di contenuta, festosa allegria.”

Da una parte sostanzialmente chi ne sottolinea le virtù (colore, tannino, ricchezza di polifenoli, buona produttività, resistenza alla peronospora) e dall’altra chi considera questo vitigno più adatto a vini leggeri, poco impegnativi o maggiormente utile come uva da taglio per “aiutare” vitigni meno resistenti. Certo l’anima rustica e sfacciata del Freisa potrebbe essere poco attraente per chi cerca finezza o facili compromessi ma dopotutto è una uva che sa regalare piacere nelle più diverse vinificazioni. Dolce o frizzante pare quasi fin troppo semplice come se solo una piccola parte di quell’anima ruspante suggerisse poche parole. Quando invece si cerca la vibrazione, si accetta e si contempla quello spirito energico, si regala tempo al vitigno e alla vinificazione i risultati sono interessanti e/o stupefacenti. Fresca e con pochi anni di bottiglia, magari in acciaio o cemento, senza troppi sofismi, sa affrontare la vita con piglio deciso, sferzante, decisa ma sa pure invecchiare bene, farsi saggia, ammorbidire qualche spigolatura, magari con un po’ di botte grande.

Mi piace riportare quanto scoperto da Anna Schneider e Vincenzo Gerbi durante gli ultimi anni di ricerche genetiche. Sembra che il Freisa abbia come parente di primo grado il Nebbiolo e si ipotizza che derivi da un incrocio spontaneo tra Nebbiolo e un altro “genitore” scomparso o ancora non conosciuto. E l’ennesima conferma risiede nei sinonimi con cui era conosciuta la Freisa (Spannina e Spanna Monferrina) che fanno chiaramente riferimento a nomi usati per il Nebbiolo nel nord del Piemonte. Una sorta di fratellastro dunque che magari non ha ancora dato vera prova di sé perché poco considerato nella vinificazione moderna ma che sicuramente può riservare sorprese.

Dopo questo preambolo il tentativo è qui di concentrarsi sui produttori di area naturale che vinificano in purezza questo vitigno.

Per fare questo non ho voluto concentrarmi solo nella bevuta di questi vini ma ho voluto sentire dalla voce di alcuni di questi vignaioli il loro pensiero su questo vitigno, un aneddoto, un ricordo, un’impressione.

Dovunque ho trovato un forte e sano orgoglio, la voglia di rimettere sul piedistallo un vitigno poco conosciuto al di fuori del Piemonte. Un vitigno che, giustamente, ha dentro di sé pregi e difetti ma soprattutto ha marchiato nel DNA la storia di una regione, di un territorio, di una pletora di tradizioni. E dimenticarsene, espiantandolo o relegandolo a comparsa in qualche uvaggio per aiutare il vitigno maggiore da solo insufficiente, è un atto di resa, l’abbandono di una visione vasta, la rinuncia a mani basse di una varietà in nome del profitto certo (Nebbiolo porto sicuro).

Una bottiglia veramente particolare è la Bett dell’azienda Rocco di Carpeneto. Lo si potrebbe chiamare esperimento ben riuscito. Si tratta di Freisa rifermentato in bottiglia, prodotte in sole 144 bottiglie nel 2018. Certo, un azzardo ma pure una scommessa vinta. Di fatto Lidia Carbonetti e Paolo Baretta hanno in gestione insieme a Marco Tacchino di Forti del Vento una vigna di Cortese da soli tre anni. Viti piantate nel 1968 e con all’interno alcuni filari di Freisa. Un peccato gettarla e quindi ecco l’idea per questo vino. Siamo sui 200 metri s.l.m. e il suolo è prevalentemente sabbioso. Raccolta pienamente matura con una resa di soli 10 q/ha. Paolo mi raccontava che si è trattato quasi di un atto d’amore per quel fusto, per come è corrugata tutta la pianta, per la visione anche di un solo grappolo sparuto a pianta. Non conosce nessuno che ha freisa intorno. E non è riuscito a sapere come mai quella Freisa fosse lì. Ma c’era e la base a Lidia e Paolo piaceva molto.

Dunque è stata vinificata senza macerazione, con l’utilizzo esclusivo di lieviti selvaggi. La rifermentazione ancestrale è stata innescata con il mosto delle stesse uve. Rifermentato in bottiglia. Non filtrato. Non dosato e non sboccato. Note ferrose si mescolano a gioia fusa di arancia amara e mandorle/bagigi. Sapidità, sostanza e corpo carico eppur agile e scattante. Praticamente una cometa. Peccato che la prossima versione non sarà Freisa in purezza ma sarà una nuova scommessa nata dall’unione di Freisa, Barbera e Dolcetto per cercare di trovare la formula alchemica di un vino ancora più riuscito e con una acidità maggiore.

Una azienda che crede fortemente in questo vitigno è Cascina Gasparda, animata dai gentilissimi fratelli Roberto e Mauro Salvaneschi. Nello specifico Roberto mi ha raccontato come il Freisa sia “sempre stato uno dei vitigni autoctoni di riferimento con barbera e grignolino, da che ho memoria nostro padre ha sempre avuto un pezzo a freisa da vinificare in purezza anche se qui tanti lo usavano e lo usano ancora per completare i barbera”. La loro scelta è di usarla in purezza per due vini diversi: un “rosato da bere giovane nella primavera dopo la vendemmia e un rosso in purezza da attendere almeno un anno per via dei suoi tannini un po’ esuberanti”. E molto probabilmente il futuro riserverà anche una vinificazione in legno. Quando poi è il cuore che parla Roberto confida che il Freisa “sicuramente sarà un vitigno che continueremo ad avere e ad amare anche perché il Piemonte è terra di BAGNA CAUDA e IL VINO che la porta a braccetto è IL FREISA!!!”

Io non posso che consigliare la loro Nuda e Cruda, Freisa in purezza, da viti da 6 a 15 anni, su suolo di argilla rossa sui 200 metri s.l.m. Rese basse, sui 50 q/ha. 20 giorni di macerazione senza controllo della temperatura, fermentazione spontanea con lieviti indigeni. Dopo la sfecciatura decantazione statica per 18 mesi fino all´imbottigliamento e infine 12 mesi in bottiglia. Una Freisa ruspante, erbacea, con un tannino tra i più cazzuti. More, lamponi, terra e cenere sul finale. Pare più complessa all’apertura ma poi sceglie di rimanere semplice con un sorso che si fa scrigno di densità vinosa. Godimento orsuto per 750 bottiglie prodotte.

Un’altra interessante realtà è quella di Andrea Tirelli che mi ha raccontato della sua stima per la freisa: “è uno dei miei vitigni preferiti perché è una pianta equilibrata e semplice da guidare. In cantina da molte soddisfazioni. E’ un vino molto versatile, lo bevi volentieri da giovane anche se ha un tannino accentuato e se aspetti qualche anno ti regala eleganza ed emozioni. Da queste parti era usanza piantare qualche filare di freisa in una vigna di barbera per poter dare alla stessa i tannini mancanti o, viceversa, per dare una spinta di acidità alla freisa”.

E lui risponde con il Druid, che nasce su un suono per 80% argilloso e per il 20% calcareo. Vigne di 35/40 anni sui 300 metri s.l.m., esposte a sud. Rese sui 40/45 q/ha. Una freisa che fa fermentazione spontanea con lieviti indigeni, macerazione di due settimane, rimontaggi e follature in diminuzione fino alla svinatura. Poi affina in botti di cemento. Infine illimpidimento naturale per decantazione e nessuna filtrazione. Riposa almeno 12 mesi in bottiglia. Un vino vichingo di una squisitezza che scuote palato e pensieri. Una freisa che a me ha colpito particolarmente e che a mio avviso mostra la mano scintillante del vignaiolo. Estrema all’inizio, con sentori quasi animali. China e asfalto bagnato dopo una giornata di pioggia. Un cielo blu oltremare. Un tuffo nel mare profondo. Saltellare allegri nel fango. Una tannica pugnalata di gusto. Poca eleganza. Pochi compromessi. Però ha lasciato un’impronta netta e succulenta. 1000 bottiglie.

Un’altra perla arriva da Tenuta Grillo, l’azienda guidata da quel mago delle macerazioni lunghe di Guido Zampaglione e sua moglie Igiea Adami. Grandiosi i loro vini. Solitamente usano la Freisa per l’uvaggio squisito del loro Pecoranera. Però è successo che abbiano vinificato anche la Freisa in purezza e il Crisopa ne è un esempio. Guido sostiene che “la Freisa è un grande vitigno” ma “per avere uva interessante deve produrre poco e basta poco perché perda identità”. Inoltre “molto più di altri vitigni è suscettibile al tipo di terreno e in cantina, soprattutto per i suoi tannini, è molto intrigante e molto adatto a vini da lungo invecchiamento”. Un vitigno “per cui ci vuole molta pazienza, dedizione e fortuna per ottenere grandi vini”.

Nel suo caso non credo sia fortuna, ma più che altro passione e abilità e questo nettare ne è l’ennesima dimostrazione. Nato da un terreno sabbioso, limoso e dotato di una grande capacità di drenare l’acqua. Viti di circa 30 anni sui 200 metri s.l.m. Rese basse sui 50/60 q/ha. In vinificazione solo lieviti indigeni e lunga macerazione sulle bucce. Poi affinamento prevalentemente in legno di grosse dimensioni, limitatissimo uso di solforosa nessuna filtrazione, nessuna chiarifica. E anche qui solo 1000 bottiglie prodotte (nel 2005). Parliamo quindi di un vino di ben quindici anni portati benissimo. Una freschezza straordinaria. Intriso di vita e di sostanza. Quasi materico. Una colatura di succo d’uva e fiori rossi che guardano al cielo. Rispecchia a pieno il suolo limoso/sabbioso e pare un nucleo che scalpita grazie ad una acidità controllata ma ancora vibrante. Crescendo vira sulla liquirizia e poi guarda senza paura agli anni che passano.

Un’altra azienda che crede nella Freisa in purezza è l’azienda Nadia Curto. Siamo nelle langhe e qui il suolo è argilloso/marnoso e le viti si trovano sui 300 metri s.l.m. La resa è di circa 70 q/ha. L’uva viene pigiata e diraspata e fatta fermentare con i soli lieviti indigeni. Pochi giorni prima della raccolta si procede a creare il pied de cuve, come starter per la fermentazione. Dopo una macerazione di circa 8 giorni con rimontaggi e follature manuali, viene svinato in una vasca inox dove effettua la fermentazione malolattica. Infine l’affinamento viene svolto in barrique usate e dopo un affinamento di 1 anno viene imbottigliato nei mesi estivi senza chiarifiche né filtrazioni. Ennesimo caso di sole 1000 bottiglie prodotte. Nello specifico La Fola 2013 si presenta abbastanza lineare, senza sbavature, magari un po’ contratto. Bella mineralità e buona acidità. E il legno non è invadente. Molto piacevole e obbediente, quasi come se fosse un poco addomesticato. Da l’idea che ci si sia fermati poco prima di ottenere quanto in potenza poteva essere.

Per alcune aziende il Freisa è addirittura uno dei fiori all’occhiello tanta è la fiducia in questo vitigno. Una di queste aziende è Trinchero con il suo Runchet. Freisa in purezza che nasce su terreno calcareo sabbioso, da viti di circa 40 anni sui 200 metri s.l.m. Fermentazione con lieviti indigeni e 40 giorni di macerazione sulle bucce. Affina ameno 24 mesi in botte grande di rovere di Slavonia da 15 hl, per poi sostare ulteriormente in vetro prima della messa in commercio, senza chiarifiche e senza filtrazioni. 2500 le bottiglie prodotte. Il Runchet, a differenza di altri, cerca altri orizzonti. Punta ai grandi. Austero, solido. Poco vibrante, non è un vino di movimento ma fa pensare alla comodità, al rilassamento, alla calma. Lo vedo come un vino da poche parole, riflessivo, pieno.

Un’altra azienda che punta ad una Freisa che non teme gli anni è Cantine Valpane guidata con mano salda da Pietro Arditi. Parlandoci è emersa la sua stima verso questo vitigno intriso di tradizione e cultura piemontese. Il suo tentativo, mi diceva, è di farla come la faceva suo nonno, ferma, secca e non vivace. In grado di durare lungamente nel tempo. Ed è così che le annate in vendita hanno 5-6 anni ma anche più. Nello specifico mi riferisco a il Canone Inverso del 2010. Freisa che cresce su suolo di argilla e calcare, da viti di circa 20 anni sui 260 metri s.l.m. Rese bassissime. Vinificazione in acciaio inox per 21-23 giorni e poi 12-18 mesi in acciaio inox e cemento, prima dell’imbottigliamento più minimo altri sei mesi in bottiglia. Una bellissima scoperta, sia per il vino sia per l’uomo, di una disponibilità e gentilezza rara. E la sua Freisa non è da meno. Una bella evoluzione dall’apertura della bottiglia. All’inizio più seduto tra note di muschio, terra bagnata, balsamici sbuffi e poi in apertura verso frutti pieni e una buona dose di liquirizia. E sul finale il ricordo di un caminetto spento, con cenere spostata dal vento e incensi a perdersi. Una sacralità diffusa. 2800 bottiglie prodotte.

Tra le aziende più recenti che cercano di valorizzare la Freisa è sicuramente da annoverare Ca’ del Prete guidata da Luca Ferrero. Ca’ del Prete è un’azienda piemontese che si trova a Pino d’Asti e produce vino da quattro generazioni. Dal 2011 Luca Ferrero è diventato il titolare al posto dello zio Giorgio Ferrero. Circa sei ettari tra Freisa, Malvasia di Schierano, Barbera e Bonarda.
In lui ho trovato uno dei vignaioli più disposti a confrontarsi e a spendere tempo per far conoscere questo vitigno. Giovane e loquace, Luca mi ha raccontato che “Sin da piccolo, i momenti conviviali di casa mia sono strettamente legati alla Freisa. Ed erano legati alla Freisa già quando era piccolo mio nonno! Perché nelle nostre colline si è sempre coltivata la Freisa. I nostri avi intuirono prima di tutti il potenziale altissimo che avrebbe avuto legare quello scorbutico vitigno ai territori ed ai micro territori in cui vivevano.

Pino d’Asti, per noi, è l’epicentro della coltivazione della Freisa.
Un po’ per sano o malsano campanilismo, un po’ per storia vera e propria.
I terreni di questo paese e delle colline adiacenti sono sempre stati caratterizzati da una forte presenza di residui fossili a testimonianza del loro passato di fondali marini. Calcare, sabbia e autentiche sorgenti di limo e argilla sparse qua e là. A rendere questo micro territorio speciale per la Freisa concorre un microclima unico. Mite d’inverno e ventilato nella bella stagione. Tanto da rendere possibile e tutt’ora attiva la coltivazione degli ulivi.
Ed è per questo, appunto, che da sempre troviamo Freisa coltivata negli appezzamenti migliori. Lasciando ai fondo valle ed alle mezze creste gli altri vitigni. Barbera, Malvasia e in qualche caso Nebbiolo.
Ed è anche per questo che dai primi del novecento i produttori di Langa venivano dal mio bisnonno e da altri a prendere il mosto di Freisa per migliorare i loro Nebbioli. Questo fatto è rimasto, purtroppo forse, un motivo d’orgoglio per chi ci ha preceduto nel fare il vignaiolo contadino qui.”

Questo spaccato di storia contadina ci traghetta fino ai giorni nostri in cui “è venuta meno la capacità di valorizzare e comunicare le potenzialità di questo straordinario vitigno. Una schiera di produttori ha fatto anche di peggio, coltivando e vinificando la Freisa in modo consapevolmente frivolo, al servizio di intermediatori ed industria. Per soddisfare il bisogno di cui sopra ed una clientela avvezza a vini briosi, dolciastri e con poca gradazione. La Freisa per me deve essere il veicolo per far venire alla ribalta lo strepitoso territorio in cui vivo. Rustico, un po’ grezzo, sicuramente non da cartolina. E la Freisa forse deve essere sempre più questa cosa qua: rustica, grezza forse un po’ scontrosa. Non bisogna mascherare il suo tannino e la sua freschezza attraverso la tecnologia e la chimica enologica, ma accompagnarli e agevolarli nella loro crescita. La Freisa è un sedicenne ribelle, con creatività, voglia di scoprire il mondo e fare esperienze nuove. Ha solo bisogno di luoghi e persone pronti ad accoglierlo per farlo esplodere definitivamente.”
Questa testimonianza è una delle più vivide espressioni di cosa significhi per me bere vino fatto da persone che uniscono testa e cuore, tradizione e visione, rispetto e orgoglio, dignità e lungimiranza.

Per quanto riguarda la Freisa, Luca la utilizza in due vini in purezza ma pure in un bel rifermentato bottiglia a base Malvasia di Schierano con un saldo del 20% di Freisa. Mi concentro qui sulle due Freisa in purezza.

Il Blenda 2018 è ottenuto da tre vigneti Pruc di 25 anni, Braia e Vignot di 10 anni. Siamo sui 400 metri s.l.m. e il suolo è calcareo sabbioso. Con grande presenza di fossili. La fermentazione è spontanea con piede di fermentazione. Nessun controllo della temperatura. Diraspatura e affinamento esclusivamente in acciaio, inoculo mosto refrigerato poco prima dell’imbottigliamento. Nessuna chiarifica e una filtrazione a cartone largo all’imbottigliamento. Tannino suadente. Sanguigno. Verace ma elegante. Una bellissima nota amarognola temperata, un accenno di cioccolato, di liquirizia fresca. Un vago rosmarino. Mi piace molto questo compromesso tra selvaggio e pacato. A distanza di tre giorni il vino ancora parla discutendo di susine mature. Credo il vino che ho preferito di tutta la gamma. 3000 bottiglie prodotte.

Il Casot 2016 è la seconda Freisa in purezza ed è ottenuta da un unico vigneto, il Casot appunto, di circa 30 anni. Sempre sui 400 metri s.l.m. ma qui il terreno raggruppa sabbia, calcare, vene argillose, tufacee e limose. Rese sui 45 q/ha. La fermentazione è spontanea con piede di fermentazione. Nessun controllo della temperatura. Prima un breve passaggio in acciaio e a seguire 18 mesi in botti di rovere da 3 e 5 ettolitri, botti vecchie e completamente esauste. Un vino potente ma non pesante che necessita ancora di un po’ di bottiglia per scrollarsi di dosso l’apporto del legno. Sicuramente elegante, pieno, austero. Nebbioleggia ma senza darsi tante arie. 4000 bottiglie prodotte.

Una azienda con una storia importante è poi Tenuta Migliavacca. Francesco Brezza è oggi la mente dietro questa cantina. Una famiglia che cura questi vigneti dal 1933 arrivati fino a 35 ettari negli anni sessanta. Lavora in biodinamica dal 1964, probabilmente la prima azienda italiana a lavorare in questo modo. A oggi la Tenuta Migliavacca comprende 50 ettari di cui 13 sono vigneti. L’obiettivo è qui di creare un circolo chiuso dove consumare quanto si produce. Ed è per questo che è previsto anche l’allevamento di bovini così come la coltivazione di fieno e cereali.
La Freisa 2018, assaggiata di recente, è davvero emblematica. Un vino riuscito, buonissimo con un equilibrio non piacione ma attento a valorizzare le asperità di questo vitigno. Parliamo di Freisa da vigneti di circa 30 anni cresciuta su un suolo calcareo argilloso. Diraspata, fermenta spontaneamente con i lieviti indigeni in botti di rovere di Slavonia da 40 hl e macera sulle bucce per 12-15 giorni. Poi successivo affinamento in acciaio inox per 6 mesi. Nessuna filtrazione né chiarifica. Un vino dalle sensazioni nette, che non si nasconde, un vino senza paura. Chiodi di garofano, radici, susine, amarene affumicate e via discorrendo si arriva alla liquirizia, alla cenere, a note chinate tra tannini tosti e note amare e balsamiche a riempire il palato. Ha una sua perfezione. 13 gradi che riassumono una densità ideale. 2600 bottiglie prodotte.

Tra le giovani aziende da segnalare c’è sicuramente Matunei che in dialetto piemontese significa ragazzi. Una realtà abbastanza giovane, nata nel 2015 dalle mani e dalla mente di Alberto Brignolo insieme alla moglie Carla. L’idea alla base è recuperare vigne antiche e tra questi ecco la Freisa, vinificata in purezza. Dru il suo nome. Cresce su terreno argilloso da viti di circa 20 anni sui 280 metri s.l.m. Rese molto basse sui 30 q/ha. La vinificazione prevede una pressatura soffice. A seguire 15/20 giorni di macerazione in contenitori in acciaio inox con solo lieviti indigeni. Ulteriore affinamento sempre in acciaio inox per circa 10 mesi. Nessuna filtrazione. Nessuna chiarifica. Circa 2000 bottiglie prodotte. La Dru 2017 appena aperta appare un po’ statica, sulle sue, fredda (non come temperatura), quasi timida. Poi emergono i frutti di bosco e note di muschio come pure vaghi ricordi di rame. Un vino che ha una sua freschezza ma non correlata a una bevibilità immediata. Risulta più riflessiva. Pacificata. Senza fretta di mostrarsi.

Un’azienda storica del Piemonte è Cavallotto, ben nota per molti suoi vini tra cui alcuni buonissimi Barolo. Un posticino nella squadra aziendale ce l’ha pure la Freisa, vinificata in purezza. E d’altronde per una famiglia di viticoltori da ben cinque generazioni in Piemonte sarebbe quasi uno sgarro non dare la giusta importanza anche a questo vitigno. Una famiglia che ci ha visto lungo e dal 1975 non utilizza alcun diserbo né insetticidi. Sicuramente l’impostazione è qui classica, in una comfort zone tra nobiltà ed l’eleganza. La Freisa Cavallotto nasce dentro il cru Bricco Boschis su colline che hanno un’origine geologica di tipo sedimentario marino che risale al Miocene (da 23 a 5 milioni di anni fa). Il sottosuolo è composto da marne calcareo-argillose compatte, impermeabili all’acqua con presenza variabile di sabbia. Le viti hanno di media 30 anni e si trovano tra i 270 e i 310 metri s.l.m., esposti a ovest. Le rese sono abbastanza basse, sui 40/50 q/ha per poco più di 3000 bottiglie prodotte. La vinificazione prevede una diraspatura totale, la fermentazione con lieviti indigeni e poi la macerazione a cappello semisommerso di 5-6 giorni. Segue la fermentazione malolattica in vasche di cemento durante la primavera successiva alla vendemmia. Infine l’affinamento dura 12-15 mesi in tradizionali botti di rovere di Slavonia. Infine in bottiglia per ulteriori 6 mesi. La Freisa 2016 ha una partenza segnata dal legno e i sentori di vaniglia sono predominanti. Probabilmente qualche anno in più in bottiglia gli avrebbe giovato. Un po’ di aria però le fa bene e così evolve morbido nel bicchiere. Piacione, si accomoda in poltrona e mostra viole, liquirizia e note mentolate sul calare. Una freisa sicuramente elegante, che richiama per impostazione Trinchero ma risulta più morbida. Non ha lo scatto ma credo le carte in regola per dare il suo meglio tra un po’ di anni quando sarà maggiormente integrato il legno.

Mi piace ricordare anche un’azienda tra le più storiche e stimate che ha nel suo parterre una Freisa in purezza di rara bontà. Mi riferisco a Bartolo Mascarello di cui tutti conoscono il Barolo. Un nome che è un assoluto riferimento in Piemonte. Magari non propriamente riconosciuto nella schiera dei naturali ma mi sembra comunque una valida citazione per avere un termine di paragone con un produttore che ha tracciato e seguito una propria strada, al di là delle mode. Ebbene la sua Freisa cresce su suolo principalmente costituito da sabbia e limo, su vigneti di circa 25/30 anni sui 300 metri s.l.m. La vinificazione prevede la fermentazione in vasche di cemento, con lieviti indigeni e frequenti rimontaggi. La macerazione ha una durata di 10 giorni. Segue l’affinamento in botti grandi di rovere di Slavonia. Nello specifico la Freisa 2015 ha mostrato, all’apertura, una minima carbonica subito volata via. Al contrario di Cavallotto qui il legno non si sente e regna comunque un’eleganza e una leggiadria rare. Veramente buona, non impetuosa ma quasi soave, a zonzo tra viole e spezie finissime come la maggiorana. Ecco, quanto penso è che questo sia l’esatto compromesso riuscito tra classicità e artigianalità.

freisa naturale

Un’altra azienda di cui mi piace sottolineare la passione è poi Cascina Tavjin, dal 2000 guidata con sempre maggior coinvolgimento da Nadia Verrua. Azienda che esiste fin dal 1908 che prima vinificava per consumo personale, poi per privati tramite botti e damigiane fino ad arrivare agli imbottigliamenti degli ultimi vent’anni. La dedizione di Nadia per i vitigni autoctoni è assai visibile e così trovano vita buonissime bottiglie di Grignolino, Ruchè e Slarina (un altro vitigno spesso dimenticato). Nonostante non abbia vigneti di proprietà di Freisa, utilizza dell’uva Freisa da fidati viticoltori e vinifica due-tre vini con Freisa in purezza. Come accennavo mi piace citarli perché i risultati sono assolutamente straordinari, almeno per il mio palato. La Freisa 2018, pur giovane ha già un suo equilibrio. Nello specifico il suolo dove è cresciuta è argilloso, da vigneti di circa 15 anni sui 300 metri s.l.m. Rese sui 70 q/ha. La vinificazione prevede tre settimane di macerazione sulle bucce in mastelli di plastica a cui segue un affinamento in vetroresina. L’imbottigliamento è recente (novembre 2018) e non visto solforosa aggiunta né tantomeno filtrazioni o chiarifiche. Solo 900 bottiglie prodotte. Sicuramente una Freisa ancora giovanissima eppure non solo fresca ma piena di coscienza. Pungente, vibrante ma anche levigata. Mentre il naso balla il tip tap, in bocca è un flusso di pensiero inarrestabile. Succosa, bomba di frutti di bosco con il lampone in testa. Ha l’allegria e l’umiltà delle cose semplici ed essenziali.

Non accontentandosi Nadia ha pure pensato a una Freisa passita. Pochissime bottiglie prodotte per quello che è poco più che un esperimento ma vivaddio speriamo sia un divertimento con un seguito perché questo vino è il classico coniglio dal cilindro. La ciliegina sulla torta. Un passito che non ha nulla di stucchevole ma anzi avanza con gentile acidità. Uva raccolta e passata al torchietto. Nulla più. Ma un cuore che pulsa tra miele e scorza d’arancia. E cioccolata aromatizzata alla genziana. La giuste fine. Un inchino. Un bacio sulla fronte prima di andare a nanna.





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"Pochi sforzan quel gambo di vite"

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