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Màriu e il metanolo: per non dimenticare

Pubblicato il 20 Aprile 2013


di Mario Crosta 25 commenti

Tanti anni fa aveva trovato ospitalità nella più bella cittadina turritana un personaggio stravagante: Màriu. Era un simpaticissimo burlone, un cantore, anzi un urlatore di canzoni, specialmente di quelle napoletane.

Applaudito come un divo nelle trattorie dove si presentava la sera con il suo cavallo di battaglia, “O sole mio”, si rigenerava subito dopo il famoso acuto con un sorso di birra per riprendere subito dopo, intonando altre canzoni. Era un personaggio dal lessico forbito e si diceva che fosse addirittura un mancato laureato in medicina. Nessuno sapeva veramente da dove provenisse, c’era chi diceva da Tattari mannu, chi da Gasteddu, chi diceva da chissà dove altro ancora, ma nessuno si era mai preoccupato di scoprire la sua vera identità perché tutto sommato divertiva e faceva sorridere i bambini che gli facevano subito cerchio intorno.

Laggiù la gente è sempre stata generosa e i caramba dell’indimenticabile capitano sapevano chiudere perfino un occhio con questi nonnetti di strada, qualsiasi cosa si dicesse di loro sulle altre panchine. Ricordo Michelino “la moncirola”, Gavino “lu maccu” e il  buon “sorighittu”. Anche “topolino”, 30 anni di prigione per un fatto mai commesso, ma condannato ugualmente per non aver fatto la spia, trovato poi morto nelle domus de janas a Ponti Pizzinnu, rosicchiato dai topi di campagna. Per Màriu fu diverso. Perfino la stampa locale se n’era occupata, dedicandogli un trafiletto nella cronaca cittadina per quanto era simpatico, chiamandolo però, ad un certo punto, “barbone”, un cartellino che i pennivendoli più perversi dovrebbero appiccicarsi addosso davanti allo specchio, facendosi schifo da soli e invece lo appioppano a quelli che imparano a vivere in strada e che, al contrario di lorsignori, sanno cantare fuori dal coro, non sono a libro paga del potente di turno e perciò andrebbero tutelati come monumenti nazionali dalla soprintendenza alle belle arti.

Fu proprio dopo quell’infame sentenza di uno scribacchino che tutto cambiò: Màriu non sorrise mai più e non fece mai più sorridere i bambini. Urlava soltanto, imprecava, malediva a parolacce quella masnada di ragazzacci che per puro divertimento lo insultavano per strada. Inseguito da questa muta di cani a due zampe che lo strattonavano e gli sputavano addosso, cadde in disgrazia fra gli imbecilli e cominciò a vivere soltanto sulle panchine dove poteva scherzare con tutti quelli che non lo prendevano in giro. E di scherzo, si dice, morì. Un’automobile che gli frenò dietro le spalle all’ultimo momento, mentre era appoggiato a una panchina nella piazzetta del municipio, un capogiro, e fu tragedia. Forse aveva bevuto un po’ troppo? No. Forse aveva bevuto molto male. Beh, sulla tomba, dovunque l’abbia, se ne ha una, scriverei: “«che Dio si dimentichi di tutti quelli che si dimenticano di me». Io non mi posso dimenticare di quelli come Màriu,  di quelli che bevevano fin da tempo immemorabile anche più di me.

E Màriu, se fosse ancora qui, direbbe con me la stessa cosa e cioè che non è giusto dimenticare tutte quelle persone che per aver bevuto male a loro insaputa ci hanno lasciato anche la pelle.

Era il 1986, avevo 34 anni soltanto e bevevo sicuramente meglio di Màriu, ma non ne sono troppo sicuro, visto che aveva anche lui certi amici, vicino al porto, che il vino buono da Sennori non glielo negavano mai. Commentammo insieme i titoli dei giornali su quei fatti dolorosissimi per tutti i bevitori come noi. Decine e decine di persone in Liguria, Lombardia e Piemonte vennero intossicate o addirittura avvelenate con quel vino cui era stato aggiunto del metanolo, appena sgravato di tasse rispetto allo zucchero. Danni gravissimi per tutti, dalla cecità alle mutilazioni. Per 23 vittime sopravvenne anche la morte. Non volendo vomitare, non faccio i nomi dei loro assassini, uno dei quali, uscito dal carcere per un cavillo legale nel 2001, nonostante una condanna a 14 anni inflittagli nel 1992, si ritrovò ancora perfettamente libero di “fare” il vino.

Non posso però non rammentarvi le località in cui vennero trovate le cantine di sofisticazione, perché i Vigili ed i Sindaci di quelle piccole comunità non possono far sempre finta di non sapere mai nulla: Narzole (Cuneo), Incisa Scapaccino (Asti), Quincinetto (Torino), Solarolo e Riolo Terme (Ravenna), Mezzano Inferiore (Parma), Veronella e Monteforte d’Alpone (Verona), Gambellara (Vicenza), Manduria (Taranto) e altre province della Toscana (Firenze, Lucca e Pisa) entrarono nel vivo delle indagini.
Siamo nel 2013, cioè 27 anni dopo, eppure l’associazione “Vittime del metanolo” deve battersi ancora adesso per riuscire a realizzare il diritto agli indennizzi per tutte le famiglie colpite, che ad anni di distanza non sono ancora stati riconosciuti, anche se ci sono state interrogazioni parlamentari e diverse iniziative in merito. Gli imputati, che avrebbero dovuto pagare pesantissime sanzioni pecuniarie, si sono sempre dichiarati ufficialmente nullatenenti e sono riusciti a tutt’oggi a evitare il pagamento di qualsiasi somma per i risarcimenti.

So che Màriu mi sorriderà da lassù se qualcuno di quelli che contano, sui giornali, riuscirà con i suoi scritti a far togliere le ragnatele alla bilancia della Giustizia anche per quei poveri Cristi che sono morti per aver bevuto il vino al metanolo. Io lo sentirò cantare, come una volta, “o sarchiapone”… e che ugola! Magari ancora in coppia, come nei suoi grandi duelli lirici, con quel testa-sempre-nera di Anghélu, classe di ferro 1928, zona Balai, lo sminatore di Guastalla nel dopoguerra (uno di quelli da 7.000 lire a morto, ma questa è un’altra storia)…

 








25 Commenti


Massimiliano Montes commenta:
20/04/2013 ore 11:13

Grazie Mario

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Mario Crosta risponde:
April 20th, 2013 ore 11:29


@Massimiliano Montes, era mio dovere. In questo paese del cavolo i politici e i loro pretoriani s’arraffano stipendi e pensioni da capogiro, mentre gli industriali e i commercianti si suicidano perchénon riescono a pagare le tasse oppure vengono fatti fallire dallo Stato, i disoccupati e i poveri cristi si suicidano perché non hanno da mangiare o pagare le medicine e i morti ammazzati dal lassismo del potere non ricevono giustizia neanche dopo 27 anni. Tiriamo fuori le ghigliottine per quella gentaglia che occupa i palazzi, i corridoi e gli sportelli del potere e facciamola finita.

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silvana biasutti risponde:
April 22nd, 2013 ore 20:59


@Mario Crosta, Grazie Mario, anche per avermi attratta su questo blog così netto.
Ho un ricordo vago dello scandalo del metanolo, il che rende ancora più scandaloso che ci siano ancora dei sospesi così dolorosi (e così gravi). Viviamo, accidenti, in un paese in cui l’ingiustizia è cosa quotidiana, e le situazioni sono così stratificate che mi paiono saldate tra loro, fino a formare un blob che avvolge e penetra questo che potrebbe essere il paese più bello del mondo, ma che ormai sta diventando irriconoscibile.
Siamo in tanti ad avere un Màriu nei nostri ricordi più veri; ne ho conosciuto uno al Jamaica che frequentavo intensamente da fanciulla brerina (quando era di quartiere e ogni volta che entravi era un incontro). Quello che io ricordo e di cui non faccio il nome era un pittore illustratore – un geniaccio, ma non per dire – e affogava alla lettera la sua difficoltà di vivere nel vino – vinaccio certo, allora – fino a morirne, di mal di vivere.
Ma grazie, caro Mario, per ricordare a tutti che il vino (e la vita) non è solo “mercato”!

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MAX commenta:
20/04/2013 ore 15:13

@Mario, tanti temi affronti, sai bene che é un argomento che mi sta a cuore, per le mille sfaccettature del problema, certo, so quanto é fastidioso non avere giustizia, e quanto in nome degli interessi, un certo tipo di persone nasconde o modifica la realtà, quindi, mi associo alla giusta indignazione e mi associo a quei vignaioli che fanno scelte coraggiose, facendo un vino naturale, che in questo momento non molti apprezzano in nome del profitto, e che anche giornalisti di settore snobbano per il semplice fatto che interessa solo il gusto perfetto, come se non sapessero che il gusto perfetto in molti casi si può ottenere.
Giustizia, questa parola vine confusa da molte persone, che la confondono con profitto…
Non confondiamo il libero arbitrio con ingiustizia, anche se molte persone pensano ci sia una sottile differenza, questa differenza é molto grande.

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Nic Marsél commenta:
20/04/2013 ore 16:22

Bravo Mario !

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Massimiliano Montes risponde:
April 20th, 2013 ore 16:28


Mario ha una sensibilità intensa e profonda.

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Carlo Macchi commenta:
20/04/2013 ore 17:51

Grazie Mario per il ricordo e per le parole che chiedono giustizia. Mi sembra giusto non lasciar cadere la questione e, se mi permetti, ne parlerò su Winesurf.

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Mario Crosta risponde:
April 20th, 2013 ore 18:01


@Carlo Macchi, te ne sono grato. Anche tu sei uno dei pochi a combattere le ingiustizie mai punite che gli altri dimenticano, come l’assassinio di Libero Grassi e di sua moglie, che ogni anno puntualmente ricordi su Winesurf e che Dio te ne renda merito. Qui ci legge anche Alessandro Dettori che, come me, non dimentica l’assassinio di Alina Cossu e penso che chi ci legge ed ama il vino non può che ricordare puntualmente a tutti gli altri che in petto ci batte un cuore anche per quegli sfortunati che non hanno più altro se non il nostro ricordo e la nostra solidarietà nel mantenere viva la speranza di giustizia.

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Patrizia risponde:
April 20th, 2013 ore 18:18


Grande@Mario Crosta per il senso di giustizia e la nobiltà d’animo!

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Anna commenta:
20/04/2013 ore 18:55

Non è necessario che ti manifesti il mio apprezzamento per come sei, come pensi e come scrivi, in quanto ti è arcinoto.
In questa pagina sei riuscito a compendiare una incredibile serie di nobili sentimenti e di accuse giustissime, rispolverando questioni che moltissimi hanno seppellito più o meno volontariamente nel dimenticatoio,
E vedo con soddisfazione, dai primi commenti, che esistono ancora persone che apprezzano queste tue qualità.
Ancora una volta ti ripeto: bravo, bravo, bravo.

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salvatore commenta:
20/04/2013 ore 23:45

Ciao MArio.

L’Italia è il paese delle grandi ingiustizie , che hanno colpito , il popolo, quindi hanno colpito , gli indifesi , sono talmente tanti i casi negli ultimi 40 anni che ci vorebbe un’enciclopedia , per elencarli tutti .
Da ustica al metanolo , dalla Moby a Liuvorno alle stragi di Stato , ultimo l’incendio alla Thyssen group.
Che dire ricorrere alle armi per una rivoluzione che nasca dal dolore e dalla rabbia del popolo??

Mahh!! , probabilmente nel DNA dell’Italiano , non vè traccia di una goccia di sangue rosso , rosso , come il sangue versato dai nostri fratelli, morti nelle stragi e nei roghi causati dall’avidita dell’uomo.

Quindi rassegnamoci ad osservare le ingiustizie e le porcate perpetrate ai nostri danni , senza essere poi vendicate.
D’altronde si sa , il perdono è cristiano, e finche avremmo nel nostro paese , chi si erge ad essere il rappresentante in pectore , di colui che narrava di porgere l’altra guancia …. avremmo per cosi dire sempre qualcuno che chiederà il perdono , sempre e comunque , perdono .

Perdono per i fratelli che sbagliano , perdono , per chi ha messo 100 kili di tritolo sotto l’auto di Falcone e Borsellino, perdono per MAso che massacro padre e madre per una manciata di dollari.

Perdono , strana parola ma facente parte oramai della nostra religione nonche cultura , parola che definisce un sentimento che ogni porco criminale, che si affaccia sulla faccia del nostro villipeso paese , otterrà sempre e comunque .

Quindi caro MArio , perdona anche tu , se no, sarai emarginato e fuori dal coro di pecorelle belanti di cui la nstra NAzione e colma ….

Un abbraccio Tore

PS io non perdono e nn perdonerò mai sti criminali , sono PAgano…..

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Mario Crosta risponde:
April 21st, 2013 ore 07:25


@salvatore, capirei questa tuo invito al perdono se servisse a qualcosa, ma qualche giorno fa ho letto che ben 3 milioni e mezzo di bottiglie di vino di bassissima qualità prodotto in Italia sono state spacciate per Doc e Igt e rivendute all’estero a Londra per un giro d’affari di 10 milioni di euro. Un’altra maxi-truffa scoperta dai carabinieri del Nas che ha portato all’arresto di 13 persone nell’ambito di un’operazione coordinata dalla procura di Vigevano (Pavia), avviata oltre un anno fa dal Servizio antisofisticazioni vinicole provinciali della Regione Piemonte, dove si troverebbe il dominus dell’organizzazione, un commerciante di Arona (Novara), uno dei 13 arrestati. A fornire il vino, secondo gli inquirenti, sarebbero state le Cantine E. Silva di Gravellona Lomellina (Pavia) e Enorobica di Bagnatica (Bergamo), coinvolte con la società inglese The Italian Wine Company di Londra. È stata accertata anche la complicità di due ditte di trasporti: Siap di Alba (Cuneo) e Baiguini di Pisogne (Brescia). Ai fini dell’indagine è risultato importante il contributo delle dogane inglesi: alcune persone sono state arrestate anche nel Regno Unito. 3 MILIONI E MEZZO DI BOTTIGLIE!!!
Come a dire: perdona, che continuo imperterrito!

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stefano commenta:
21/04/2013 ore 10:03

Come potrò mai dimenticare lo “scandalo del metanolo”, in quegli anni studiavo come perito chimico alle industriali, i ns. professori dedicarono una lezione su uno degli alcoli piu utilizzati nell’industria petrolchimica, non di certo “nell’industria” vitivinicola! Sono passati 27 anni e qualcuno ancora commercializza prodotti come il “kit del vino”, composto principalmente da una sostanza di dubbia provenienza, si presenta in polvere, aggiunta all’acqua “produce” il vino, alla faccia del Cannonau!

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Massimiliano Montes risponde:
April 21st, 2013 ore 12:57


Non è una polvere che si scioglie in acqua. E’ lo stesso mosto concentrato che abitualmente si usa nei vini che acquistiamo in enoteca e al supermercato.
Anche vini blasonati e costosi sono fatti col mosto concentrato.
–
Ne abbiamo parlato qui:
http://gustodivino.it/home-gusto-vino/il-barolo-fatto-in-casa/massimiliano-montes/90/
E qui:
http://gustodivino.it/home-gusto-vino/aridaglie-col-barolo-fatto-in-casa/massimiliano-montes/795/

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Mario Crosta risponde:
April 21st, 2013 ore 14:16


@Massimiliano Montes, guarda che Stefano non ha tutti i torti. In occidente i sofisticatori possono ancora utilizzare il mosto concentrato liquido come dici tu, ma in Ucraina ho già visto aggiungere all’acqua del rubinetto polveri di barbabietole rosse liofilizzate e le multinazionali del veleno in bottiglia ormai non hanno più nemmeno la cortina di ferro come deterrente.

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Massimiliano Montes risponde:
April 21st, 2013 ore 16:47


Da noi l’uso di dolcificanti in polvere nel vino è ancora illegale.
Però si stanno già muovendo per legalizzarlo…
Non so se sai che in Sicilia è nata la prima fabbrica di “Zucchero d’Uva Cristallino” ;-)

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Mario Crosta risponde:
April 21st, 2013 ore 17:12


@Massimiliano Montes, anche il metanolo era illegale e i morti e i mutilati sono ancora lì ad aspettare giustizia dopo 27 anni. Gli assassini di allora sono stati liberati in pochi anni e sono tornati a “fare il vino” come se niente fosse. In Italia, e non solo in Sicilia, c’è un’immensa fabbrica di cibi e bevande adulterati, ogni giorno si scoprono cose che fanno rabbrividire e nessuno paga per questo, tanto i ricchi e i loro pretoriani fanno la spesa altrove e sono loro che comandano, perciò che gli frega?

Fabrizio Penna commenta:
22/04/2013 ore 11:21

Caro amico Mario, ricordo molto bene nel 1986 il più grande affronto che il settore enologico abbia mai vissuto e poco dopo il più grande disastro nucleare, quello di Cernobyl. Un anno però che ha segnato, curiosamente, il mio esordio nel mondo del vino, perchè è proprio in quell’anno che ho creato Enotime e iniziato, spronato da un combattivo amico Gino Veronelli, ad andar per via ad insegnare le differenze tra vino e vino. Lo scandalo del metanolo è stato senza dubbio un dramma sociale, però anche una straordinaria opportunità di riscatto per il mondo del vino, un rinascere dalle proprie ceneri come l’araba fenice. E infatti così è avvenuto, dalle fumose osterie il vino è stato traghettato negli anni successivi nei salotti buoni, le cantine prima sbarrate si sono aperte al pubblico, le donne sono diventate fiere di essere imprenditrici enologiche ed hanno creato una propria associazione, i corsi sul vino si sono moltiplicati ed hanno dato da vivere anche al sottoscritto, e ancora continuano a farlo. Sempre nel 1986 nasceva arcigola, ad opera di un visionario comunistoide di Bra chiamato dagli amici Carlin. Come è andata a finire è sotto gli occhi di tutto il mondo.
Se tutti quei bevitori morti con il vino al metanolo non hanno ricevuto giustizia e risarcimenti è grave, ma è giunto il momento che il mondo del vino dedichi loro almeno una lapide con un epitaffio tipo questo: “A quei 23 sfortunati bevitori che, senza saperlo, del mondo del vino sono stati i più grandi trasformatori”.

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Stefano Cinelli Colombini commenta:
22/04/2013 ore 15:34

Bella storia, orrori della giustizia e dell’informazione a parte. Di quelli ne ho subiti e sentiti troppi, e non ne parlerò. Grande il tuo amico, le gente vera è sempre meno ed è bello sentirne parlare. Se un giorno ti degnerai di passare qualche sera qui tra i lecci ti racconterò di Bricco, due metri di camionista di Montisi che guida nella nebbia della valdichiana come se avesse il radar e non ha mai avuto in vita sua meno di due di tasso alcolico nel sangue. E che, alla facciaccia dei salutisti e degli ipocriti, non solo non ha mai avuto un incidente che fosse uno ma ha sempre portato fuori dalle guazze chiunque incontrasse e aveva bisogno di una mano. Ma con che animo si può parlar male di gente così?

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Massimiliano Montes risponde:
April 22nd, 2013 ore 16:17


Stefano è un gran piacere leggerti

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Mario Crosta risponde:
April 22nd, 2013 ore 16:30


@Stefano Cinelli Colombini, ti sembrerà strano, ma un tipo del genere azzarderei di averlo pure conosciuto. Gli sono stato dietro tra Sassari ed Olbia, lui col camion ed io con una Tipo, non sono mai riuscito a superarlo, per un’ora e un quarto. Quando siamo arrivati ad Olbia e lui è filato via con un giallo e io ho imbroccato il rosso secco, s’era infilato al porto, allo sportello dell’imbarco per Livorno. Quando sono entrato e ho chiesto ad alta voce chi era l’autista di quel camion appena arrivato con tre ruote (scherzavo, ovviamente, ne aveva quattro) s’e’ voltato un armadio che puzzava di vino in una maniera incredibile. Gli ho detto che ero l’autista della Tipo che non era mai riuscito a superarlo e gli ho fatto i complimenti. Mi ha risposto che era la prima volta che faceva quella strada, ma non era la prima volta che beveva quel vino… pensi che possa essere stato lui? Già che ci siamo ricordo un altro eroe dei camion della strada, Qualcini Mario, con il fucile sul cruscotto ogni volta che girava per la Russia ingovernata appena dopo la caduta del comunismo. Dobbiamo parlare di questa gente vera, di questi bevitori veri, non possiamo far finta di assaggiare soltanto il vino e degustarlo sputandolo come degli intenditori, quando invece ci piace berlo e non certo in dosi farmaceutiche, non facciamo male a nessuno e ci trattano come barboni o criminali. I veri criminali del volante bevono superalcolici pesanti, fumano droghe, si fanno le pere di narcotici, guidano in stato di trance per le medicine che prendono. Ah… scusa, ma questo e’ un altro discorso. Un’altro Mario…

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Stefano Cinelli Colombini risponde:
April 22nd, 2013 ore 17:58


Ci sta che fosse Bricco, lui accetta viaggi in tutta Italia e torna sempre. Diversamente sobrio, s’intende. Hai ragione, quelli che accoppano la gente al volante non sono quelli come noi o Bricco, sono i fenomeni che contano i secondi tra un appuntamento all’atro o quelli che con una mano guidano e con l’altra twittano mentre parlano col telefonino chiuso tra spalla e orecchio. Tipo il fenomeno della DHL che mi ha buttato fuori strada e rotto una vertebra.
Ma se fosse vero l’alcol rende la guida così pericolosa, allora qualcuno mi dovrebbe spiegare perché non si è mai visto un incidente all’uscita dal Vintaly. Intercessione di San Giovese?

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Mario Crosta risponde:
April 22nd, 2013 ore 18:14


@Stefano Cinelli Colombini, bravo, andava detta: sono certo che Màriu, da lassù, ti sorriderebbe. Gli assassini hanno cambiato il pelo, ma non il vizio, impuniti allora con il metanolo ed impuniti oggi con tutto il resto, ma le vittime sono sempre persone innocenti che vorrebbero vivere e vengono invece falciate per sempre, mentre loro si fanno un paio di giorni dentro e poi escono e continuano a girare liberi di ammazzare ancora.

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Sergio commenta:
30/04/2013 ore 15:26

Ciao Mario, condivido quanto scrivi.
Il vino è tradizione ed economia; spesso si trovano in commercio vini che non trovano un collegamento con il territorio di produzione e questo è male. Diventano prodotti che assomigliano agli standard di bibite industriali: simili anche se non uguali, riproducibili in qualsiasi ambito.
Per il facile guadagno spunta poi fuori il disonesto. E’ una storia antica.
A perderci chi sulla terra ed in cantina suda per darci un prodotto valido, magari al giusto prezzo

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Mario Crosta risponde:
May 1st, 2013 ore 12:58


@Sergio, perdonami, ma non sono riuscito alla tentazione di pubblicare anche il resto del tuo commento che mi hai inviato in privato. Non puoi negare ai lettori di questo blog, che sono persone semplici esattamente come te e come me, il piacere di leggere delle parole importanti come quelle che tu mi hai mandato. Ti abbraccio per questi minuti di nostalgia che mi hanno commosso e che non mancheranno di trovarti nuovi amici anche qui. Ciao.

“Ciao, Mario. Un breve pensiero te l’ho appena inviato sul blog.
Ora, invece di esprimere un mio commento esteso che mi troverebbe concorde su quanto scrivi, in questo contesto ti racconto una storia privata. “La tera l’è bassa”, dicevano i miei per significare la fatica del contadino. Io ne sapevo qualcosa perché sin da ragazzino li aiutavo in campagna.
Nella stagione del fieno mio padre si alzava alle quattro per tagliare il prato con la falce (la ranza) prima di recarsi al lavoro in opificio; il nonno ed io andavamo nei prati a rivoltare l’erba col tridente per poi pettinarlo a maturazione con un rastrello di legno.
Compito mio era anche quella di levare l’acqua dal pozzo con la secchia di legno per abbeverare le bestie nella stalla. Si era negli anni cinquanta e, pensando a ritroso, mi sembra si uscisse allora dal medioevo: in casa non c’era acqua corrente ma una secchia appesa al muro, il bagno lo si faceva nel
mastello di legno ed i bisogni in un bugliolo posto sopra la concimaia.
Non si viveva in un cascinale ma in centro paese e questa era la condizione di quasi tutte le famiglie.
L’economia familiare si basava sullo stipendio della fabbrica integrato con quello che ci dava la terra. Un poco di tutto: patate, il grano che conferivamo direttamente al fornaio, granaglie per le bestie, latte, animali da cortile e il vino. Quel che in pratica si vendeva era il latte ed il vino.
Il vino era molto importante per la nostra economia, anche se la cura della vigna era un impegno gravoso, affidato quasi tutto al nonno Pinin. Dopo la potatura si andava di zappa (la gaia) , poi a fare i trattamenti col verderame ogni settimana a partire da metà maggio sino ad agosto inoltrato.
Per scongiurare l’arrivo della grandine ci si aggrappava a tutti i santi; gli adulti ancora ricordavano cosa era successo nel 1929 quando una grandinata aveva distrutto anche i vigneti e la gente si era rifugiata terrorizzata sotto i letti.
I miei, come tutti i meno abbienti, avevano quasi tutti i terreni lontano dall’abitato, suddivisi in piccoli appezzamenti posti al limite del territorio comunale; era una tribolazione, ma in quel frangente fu una parziale salvezza, perché erano riusciti infatti a produrre almeno 50 brente di vino, 2.500 litri, un quarto
circa della produzione abituale. Quell’anno non una sola goccia di vino fu venduta ma tutto venne consumato in famiglia e condiviso con gli amici meno fortunati.
Nel 1944 mio padre aveva ceduto due damigiane di vino ad un bar locale; qualche tempo più in là , di domenica, nel recarsi dal titolare per riceverne il dovuto, era incappato in un rastrellamento dei nazifascisti che cercavano renitenti alla leva e braccia da mandare in Germania. Papà Mario si era trovato in testa alla colonna e, giunto in corrispondenza ad una via prossima a quella della sua abitazione, si era dato alla fuga. Non sarei mai nato se fosse mancato quell’attimo di buonsenso al ragazzotto fascista che, mitra in spalla, guidava la colonna: «potrei freddarlo ma tanto lo ripigliamo lo stesso», disse, secondo quanto gli fu poi raccontato da un compaesano, il Lino, rilasciato come altri perché già anziano. Non ci riuscirono.
Il nostro vino (di Ghemme) ha bisogno di invecchiare, non è di pronta beva. Ogni anno il profumo ed il grado alcolico è diverso. Ancora nel dopoguerra si aveva l’abitudine di fare un po’ di “vinetto” sciogliendo le vinacce provenienti dalla torchiatura in piccole bigonce (le benne) lasciandole per qualche tempo a macerare con dell’acqua. Si otteneva una bevanda dal basso tenore alcolico, 4 o 5 gradi e di breve conservazione; serviva a dissetarci durante i frugali pasti estivi ed a quetar l’arsura durante il lavoro nei campi. Lo si beveva dalla zucca come, appunto, nel medioevo.
Alla fine della guerra, con lo sviluppo della motorizzazione, l’economia del
vino cambia totalmente. Arrivano nei bar e sulle tavole vini più leggeri e di più facile beva provenienti un poco da tutto il nord, Veneto soprattutto e Monferrato; il nostro vino perde progressivamente quote di mercato. La speranza di avere un prodotto giustamente remunerato e riconosciuto qualitativamente arriva con la DOC, la sedicesima conferita sul territorio italiano.
Nasce un nuovo fervore, si fanno nuovi impianti. non si usa più il sistema a tre pali o maggiorino o quello ancor più complicato che si usava da noi a cinque pali. Si impianta a filari e si pota in modo differente rispetto a prima; meno produttività uguale più qualità, sembra.
Nascono nuove ditte che non si sa dove abbiano i terreni; il vino dell’una si distingue poco da quello dell’altra. Non basta; arrivano certi birbaccioni, che come tu sai e narri, per facile guadagno non si fanno scrupolo di avvelenar la gente. Non è gente del posto, ma da noi tutto si blocca e per i piccoli produttori è finita.
Oggigiorno in paese sopravvivono poche Ditte con appezzamenti significativi; alcune, come quella dell’amico Alberto che cura il vino come se fosse una creatura, fanno un prodotto di gran qualità , molto apprezzato in alcuni mercati di nicchia, soprattutto all’estero.
E noi piccoli produttori? Il mondo è cambiato, ho una unica vigna, per mia sfortuna l’unica tagliata nella realizzazione dell’utostrada; segno del destino. L’ho ripiantumata recentemente per cercare di mantenere una tradizione familiare che si perde nella notte dei tempi; fra un anno ho due avrò di nuovo
il mio vino che sarà quello “del figlio del contadino” .
Bevo poco o niente, forse offrirò quel poco vino che produrrò agli amici come fecero i miei nel 1929; ma guai se non lo apprezzeranno! Lavorar la terra mi pulisce il cervello dalle scorie da computer; mi serve per sentirmi in pace, con la speranza recondita di ritrovare l’armonia di quel vivere semplice con i miei familiari in un’epoca ormai scomparsa con loro, forse per ancorarmi ancora al loro ricordo e non vederli dissolvere nella nebbia del tempo.
Ciao Mario.
Sergio”

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