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Franco Giacosa a Sestri Les Vins: cosa sono i solfiti?

Pubblicato il 12 Marzo 2014


di Nicola Cereda (Nic Marsel) 21 commenti

Angiolino Maule me l’aveva anticipato: “se ti liberi dai preconcetti, sentirai delle cose interessanti”. Ho strappato questo breve video nel quale Franco Giacosa a “Sestri Les Vins” spiega cosa sono i solfiti.

Di un certo interesse, mi pare.
Per chi non lo sapesse Franco Giacosa, è stato enologo di alcuni colossi del vino italico e oggi, felicemente pensionato, segue alcune cantine biologiche, biodinamiche e naturali esclusivamente per passione. Ecco immortalata la benedizione del diavolo su Vinnatur!
“80 mg/litro di solforosa sono un valore alto per un vino cosiddetto naturale e normale per chi nel convenzionale lavora bene”

“Lavorando con zero solforosa l’incognita è la conservazione a lungo termine: ancora bisogna capire se il vino non maturi troppo velocemente e se resista all’ossidazione, ma questo dipende anche dalla struttura e da tante altre componenti del vino stesso. La conservazione rimane comunque la cosa meno conosciuta e ancora da sperimentare. Qualcuno si chiede se valga la pena lavorare senza solfiti: secondo me assolutamente sì e sono veramente grato a chi rischia del proprio per trovare la strada evitando prodotti chimici che, come minimo, bene non fanno”

 

 





21 Commenti


tommy commenta:
12/03/2014 ore 12:40

Indubbiamente giacosa ha ragione e la strada senza solfiti è quella migliore da percorrere per la salute generale, purtroppo relativamente all’argomento in italia e all’estero c’è molta disinformazione, si parla poco del fatto che siano omnipresenti in quasi tutti i cibi che mangiamo, di quale sia effettivamente la soglia per cui un vino potrebbe ” fare male” , di quale sia la soglia a cui devono stare attenti le persone allergiche, si parla pochissimo di solforosa libera e totale, ancora meno degli altri allergeni presenti nel vino ( anche il tannino può causare allergie, specialmente se aggiunto a posteriori )si parla poco anche della storicità dell’uso dei solfiti ( manco li avessero inventati negli anni 90) .’nsomma purtroppo è un argomento che viene spesso toccato da critici, blogger, produttori, etc ma spesso e volentieri in maniera superficiale .. solo chi è veramente del settore sa quali sono le varie “differenze” nell’utilizzo della solforosa e quando viene usata , e la stessa cosa si può dire dei lieviti indigeni e non ( lì ad esempio quasi nessuno sa che se una cantina ha utilizzato in anni passati i selezionati , la probabilità che il suo odierno lievito autoctono sia il discendente di quel selezionato è intorno al 90 % )

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Massimiliano Montes risponde:
March 12th, 2014 ore 14:31


@tommy, Hai ragione Tommy. Il problema si risolverebbe obbligando i produttori a indicare in etichetta QUANTA solforosa c’é nel vino, sia libera che totale.
Dal punto di vista della salubrità, mettendo da parte altre problematiche, la solforosa è il problema più grave del vino, anche perché si va a sommare a quella proveniente da altre fonti alimentari, oltrepassando spesso il limite massimo quotidiano complessivo che è possibile assumere secondo l’OMS.

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Mario Crosta risponde:
March 12th, 2014 ore 14:54


@Massimiliano Montes, quoto la dichiarazione di quanta solforosa c’è, sia libera che totale.

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Lorenzo risponde:
March 12th, 2014 ore 15:18


@Mario Crosta,

Premessa:
sono d’accordissimo con Giacosa, su tutti i fronti.
L’anidride solforosa è un “conservante”, sinceramente penso che eliminarla sia impossibile, più che altro perchè sono almeno 5-600 anni che fanno studi sulla stabilizzazione del vino durante il suo trasporto e l’unico elemento davvero naturale che riesce a conservare il vino è proprio la SO2.
Sono documentati utilizzi di solforazione nelle botti fin dal ’300.

Quindi, dopo svariati secoli di studi, dire che va tolta, vuol dire semplicemente ammettere che il vino non si conserverà, o meglio, non sarà come noi ce lo aspettiamo. Della serie “basta saperlo”.

Io ho paura che sulla solforosa si stia facendo una guerra inutile, nel senso che molti già stanno creando da questo la moda dei vini senza SO2. La domanda che dobbiamo farci è: Se non ci mettono la solforosa, cosa ci mettono ? O peggio, come ce la tolgono ?

Per quello che concerne l’etichetta, dal punto di vista giuridico ogni produttore è libero di scriverlo, ma, la cosa più importante, è che i vini in Italia, per legge, hanno un massimale di SO2 ammissibile. Tale quantitativo è molto ridotto per i vini certificati come biologico o marchiati come biodinamico.

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Mario Crosta risponde:
March 12th, 2014 ore 17:53


@Lorenzo, per me si devono indicare in etichetta (o in controetichetta) tutti gli ingredienti aggiunti al vino e la quantità. Il resto lo lascio agli esperti. A me basta sapere cosa c’è e quanto ce n’è. Riquoto la proposta di Massimiliano

Massimiliano Montes commenta:
12/03/2014 ore 15:35

@Lorenzo, “molto ridotto per i vini certificati come biologico” non direi proprio.
Sul sito di Federbio si legge: “Una delle norme del citato regolamento (il Regolamento di esecuzione UE n. 203/2012 dell’8 marzo 2012 che codifica la vinificazione biologica) fissa il tenore massimo di solfiti per il vino rosso a 100 mg per litro (150 mg/l per il vino convenzionale) e per il vino bianco/rosé a 150mg/l (200 mg/l per il vino convenzionale); vi è inoltre la possibilità di aumentare il contenuto dei solfiti, previa approvazione dell’autorità competente, in annate particolarmente difficili se le condizioni meteorologiche eccezionali di una determinata campagna deteriorano la situazione sanitaria delle uve biologiche in una data zona geografica a causa di gravi attacchi batterici o micotici”.
I naturali in genere non superano 40 mg/l.

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Lorenzo risponde:
March 12th, 2014 ore 16:41


@Massimiliano Montes,

Quella è la normativa che fissa un tetto massimo al quantitativo di SO2, questo non sta a significare che tutti i biologici/biodinamici siano su quel quantitativo, molto spesso sono di concentrazione gran lunga inferiore.

Sulla frase “i naturali in genere” starei molto attento, non esistendo una normativa, non esistono i controlli uguali, ripetibili e condotti a campione, quindi, non esiste una statistica di riferimento. I controlli che fa qualche consorzio o cooperativa, non possono essere presi come campione di riferimento.

Con ciò non sto sostenendo che la So2 nel vino ci voglia, tutto il contrario, speriamo che ne mettano sempre di meno, sto contestando il paragone.

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Massimiliano Montes risponde:
March 12th, 2014 ore 18:27


@Lorenzo, ti sbagli. Il protocollo di VinNatur prevede una dose massima di anidride solforosa di 50 mg/l. E loro le analisi agli associati le fanno, non c’è nulla di aleatorio o generale… ;-)
http://www.gustodivino.it/allegati/protocollo-naturale-di-vinnatur.pdf

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Lorenzo risponde:
March 12th, 2014 ore 19:36


@Massimiliano Montes,

Premesso che non ho nulla contro Vinnatur, anzi li stimo a dismisura, ti pongo alcune riflessioni di carattere generale.

Poniamo che esista un’associazione di vini che chiameremo CIAO.

Le riflessioni che le pongo sono:

1) chi è CIAO ? Sa bene che anche io e Lei domani mattina possiamo andare dal notaio e metter su un’associazione.
2) a che normativa fa riferimento CIAO ?
3) Che protocolli di controllo utilizza CIAO ?
4) ogni quanto fa i controlli CIAO su suoi associati ?
5) dove sono pubblicati i controlli che tracciabilità c’è su di essi?

Sono domande inquietanti. Provi a darsi una risposta.

Io e Lei, nella nostra CIAO, possiamo anche porre la solforosa a 0, ma se poi viene a mancare un protocollo di controlli seri, sono chiacchiere e tali rimangono.
Per protocolli di controllo intendo quelli SERI, a campione, ripetibili, non una frase “facciamo i controlli”. Non so se mi spiego…
Provi a vedere cosa comporta un controllo della normativa del biologico, vedrà che, quantomeno sotto il punto di vista normativo, mi darà ragione.

Io consiglierei a queste associazioni di darsi una veste più “inattaccabile”, così si rischia di mischiare chi il vino naturale lo fa veramente, con chi bara.

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Nic Marsél risponde:
March 12th, 2014 ore 23:26


@Lorenzo, fonti ben informate mi riferiscono che in cinque anni VinNatur ha “accompaganato alla porta” circa ottanta aziende,

Lorenzo risponde:
March 13th, 2014 ore 09:12


@Nic Marsèl,

io sto facendo il ragionamento su di un piano diverso, so che Vinnatur è serissima, io sto ponendo la questione su di una base normativa.

Una cosa è accompagnare alla porta se non si rispetta un accordo etico tra due parti private.

Una cosa è quando violi una norma, ciò include almeno tre reati penali, tra cui c’è quello di frode…. con, ovviamente, tutto quello che ci si porta dietro.

Questa è la mia riflessione.

Massimiliano Montes risponde:
March 13th, 2014 ore 10:55


@Nic Marsel, Uao… con ottanta aziende si fa un’altra manifestazione ;-)

paolo baretta commenta:
12/03/2014 ore 16:55

vi segnalo che secondo molti, anche esperti o pseudo, indicare in etichetta il livello di solforosa può essere pericoloso, per il produttore (per la serie: chi si preoccupa del consumatore?)
noi per esempio indichiamo il livello di solforosa totale prendendoci qualche cautela (traduco: a fronte di 38 mg scriviamo inferiore a 50 mg, visto che non si sa mai che in una distribuzione non perfettamente omogenea una bottiglia analizzata ne abbia poi 39, di mg..); ci è stato obiettato che occorrerebbe poter dimostrare con analisi ufficiali che il livello sia quello “all’atto dell’imbottigliamento”: ovvio, direte, ma sappiamo che le analisi ufficiali (con metodi ufficiali) di solito si riferiscono a un momento appena precedente l’imbottigliamento stesso (intendo per lo più le analisi per l’ottenimento dell’idoneità a dop), e quindi, in questa logica perversa, con una bella inversione dell’onere della prova (basterebbe aprire la bottiglia e sottoporre il contenuto ad analisi, no?), io produttore non sarei in grado di dimostrare al controllore di turno che le cose stanno così..
logica perversa, certo: ma è bello che chi si sforza di dare informazioni al consumatore sia ripagato con una sorta di accusa di probabile broglio..
quanto alla distinzione libera/totale è piuttosto rilevante, lo sappiamo: ma quanti sarebbero in grado di desumerne un’informazione utile?

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Nic Marsél risponde:
March 12th, 2014 ore 17:27


@paolo baretta, credo che tu abbia già identificato alcuni punti chiave da superare assolutamente per poter andare avanti sulla strada della trasparenza.
1) precisione (affidabilità?) delle analisi (e variazione dei valori di SO2 nel tempo?)
2) semplificazione burocratica per evitare che il produttore finisca vittima della propria buona volontà
3) Formare il consumatore finale alla differenza tra solforosa totale e libera

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Lorenzo risponde:
March 12th, 2014 ore 17:27


@paolo baretta,
chi le ha fatto questa obiezione si sbagliava di grosso,
esiste un protocollo internazionale per l’analisi della solforosa: OIV MA-AS323-04B R2009
http://www.oiv.int/oiv/info/itmethodesinternationalesvin?lang=it

altrimenti le varie normative a cosa farebbero riferimento ?

sul discorso della distinzione le do pienamente ragione, il consumatore medio è purtroppo pesantemente ignorante…

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paolo baretta risponde:
March 12th, 2014 ore 18:19


@Lorenzo, verissimo il protocollo OIV: ma altrettanto vero che gli esperti, o presunti tali, di etichette mi sa che di analisi chimiche o microbiologiche se ne intendono pochino..però è davvero sempre corretto, opportuno e doveroso risalire alle fonti, altrimenti si permette il chiacchiericcio casuale..

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Lorenzo risponde:
March 12th, 2014 ore 18:53


@paolo baretta,
non mi fraintenda, la sua esperienza è verbo per me.
Il discorso che fa lei è chiaro, io in vasca ho un contenuto di SO2, quando imbottiglio potrei averne un’altro… corretto ?
Quello che volevo dire è che una normativa di riferimento si basa su di un controllo. E’ quello, punto. Non vale solo per il vino.
Come faccio a dire se ho la glicemia alta? Mi faccio le analisi del sangue, attraverso un protocollo mi dicono il mio valore e, soprattutto, per prassi condivisa le devo fare la mattina, appena sveglio, senza aver fatto colazione.

Idem vale per il vino, anzi è più preciso, l’analisi viene effettuata prima dell’imbottigliamento secondo quel protocollo. Poi, sul dichiarato, ci sono delle analisi a campione sull’imbottigliato effettuate da un’ente preposto dallo stato e nominato da Accredia.

Altrimenti sarebbe facilissimo barare, non crede?

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paolo baretta risponde:
March 12th, 2014 ore 19:00


@Lorenzo, sottoscrivo da capo a fondo quanto ha scritto..soprattutto sul fatto che è bene stroncare chi bara, e che ciò lo si fa controllando a campione quanto imbottigliato: però spesso si ha molta attenzione per questioni molto formali, formalissime -di etichetta- e il contenuto della bottiglia passa in secondo piano..se scrivo in etichetta “inferiori a 50 mg” sono e devo esser pronto a sostenere qualsiasi tipo di controllo, sostanziale, rispetto a ciò che ho scritto, senza se e senza ma..

Lorenzo risponde:
March 12th, 2014 ore 19:39


@paolo baretta,

attenzione! io non mettevo minimamente in dubbio il suo operato! Non mi permetterei mai!

Quello che tentavo di dire, che a volte è meglio scrivere 50mg ed essere “tutelativi” verso se stessi come produttori, ma dall’altra faccia della medaglia avere una normativa serio che becca chi bara.

Purtroppo al giorno d’oggi, c’è poco spazio per l’etica!

paolo baretta risponde:
March 12th, 2014 ore 21:24


@Lorenzo, ripeto: siamo totalmente d’accordo, specie su una normativa seria, e su una seria applicazione della normativa: controllando cosa c’è in bottiglia, soprattutto..

Mario Crosta risponde:
March 12th, 2014 ore 17:57


@paolo baretta, molto acute le sue osservazioni. Ci sono vini che sono stati resi rivedibili dalle commissioni d’assaggio perché un campione aveva dei valori diversi, di poco, da quello indicato. E si devono rispedire altri campioni, allegare risultati di altri laboratori, insomma barcamenarsi fra le carte e i patemi d’animo.

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