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Etna a un bivio: Fiat Duna o Audi TT?

Pubblicato il 8 Settembre 2014


di Massimiliano Montes 3 commenti

Ci sono momenti in cui la storia ti chiede di scegliere. In questi momenti spero che la storia non si ripeta.

L’Etna del vino gode di un periodo di notorietà e fama che valica i confini nazionali. L’ottimo momento storico sta facendo lievitare i prezzi delle vigne e quelli del vino, attira nuovi investimenti da parte di imprenditori decisi a cogliere i frutti pubblicitari della fama raggiunta, ma anche da spendaccioni che acquistano il vigneto sull’Etna per esibirlo come un fiore all’occhiello, come si faceva una volta con le vigne nel Chianti.

La pressione sul territorio è elevata. Artigiani che fino ad oggi faticavano senza arrichirsi per piccole produzioni, così come aziende più grandi, sono allettati da ipotesi di facile arricchimento alla conquista di un fantomatico quanto aleatorio “mercato internazionale”.

Se invece di trovarci nel 2014 vivessimo negli anni ’90 potrei lasciarmi indurre in tentazione, convincendomi che una certa internazionalizzazione del gusto del vino (leggi marmellate al merlot) potrebbe attirare le grazie di un mercato parkerizzato alla ricerca soltanto di legnosità vanigliose e concentrazioni di frutto.

Però siamo nel 2014. Le guide del vino le comprano gli stessi produttori e non le legge più nessuno, Robert Parker ormai fa notizia solo per il suo cane scorregione e per il suo pensionamento.

Il pubblico si è evoluto, anche quello americano, e ricerca nel vino sempre più rappresentazione del terroir e mineralità. Il trend è questo, confermato dal fatto che dal 2008 in avanti gli unici vini che non hanno sofferto crisi sono i vini naturali.

Tra i vini più commerciali quelli che vendono maggiormente sono quelli che hanno resistito puntando i piedi all’introduzione nei propri disciplinari di vitigni internazionali, un esempio su tutti il Brunello di Montalcino.

Il rischio, oggi, per i produttori storici Etnei è non solo quello di non avere alcun vantaggio economico ma di affondare, diluiti e sviliti da produzioni piatte e poco significative, spalmati insieme ai debiti di grandi aziende in difficoltà.

Non vorrei essere tacciato di esterofilia, però le capacità di marketing di Francia e Germania sono ben migliori delle nostre, i più importanti movimenti di conservazione del terroir nascono in questi paesi, e i fatturati più elevati con vini di territorio sono proprio Francesi (Loira in testa) e Tedeschi (Riesling).

Se fossi un vignaiolo dell’Etna, ma anche un semplice consumatore, avrei timore di trovarmi domani per le mani una Fiat Duna invece di un’Audi TT.

 








3 Commenti


yoel commenta:
08/09/2014 ore 16:42

Articolo interessante come sempre sig. Montes ma a mio avviso un po’ “finto allarmistico”.
Non vi sono infatti basi concrete sulla “svendita” del prodotto/nome/zona Etna rilevate, se mi posso permettere.
Da quel che so, un territorio si vede (e si vende) grazie al rispetto di disciplinari rigidi, di un numero (anche esiguo, ma sempre numero, non singoli) di produttori di alto profilo, e anche da un po’ di sano marketing.

A questo punto faccio domande da ignorante:
- Il disciplinare Etna DOC favorisce la produzione artigianale a noi tanto cara sull’Etna? (Quella dei Cornelissen, dei Narioo, dei Biondi, Calabretta ecc?) O meglio, questi produttori tendono a rientrare nei disciplinari o ad uscirne? E perchè?
- Esiste un Consorzio?
- Come si promuove il vino dell’Etna? Gli enti fanno qualcosa? Oppure è un “hype” (positivo, per carità) derivato dall’attenzione globale a vini “controcorrente” (rispetto alle mitiche marmellate) che però appunto come dice lei rischia di esaurirsi senza fondamenta solide?
- Ci sono studi sulla storia vinicola dell’Etna, sui mitici alberelli ad esempio, sui suoli, sui sesti d’impianto ideali, che permettano anche a generazioni future di poter coltivare al meglio sulle sue pendici? Oppure al momento “ognuno fa per sè” e speriamo in bene?

Insomma, capirne di più non farebbe male ecco!

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Massimiliano Montes risponde:
September 8th, 2014 ore 17:41


@yoel, mi auguro con tutto il cuore che non ci siano “basi concrete sulla “svendita” del prodotto/nome/zona Etna” sia ora che, soprattutto, per un futuro a cui mi riferivo, proprio per l’amore che nutro per questo territorio. In realtà ho meno certezze di lei.
Il consorzio c’é e il Disciplinare pure, spero che qualche dirigente del Consorzio intevenga per fugare i suoi dubbi.
A mio parere se l’Etna manterrà unicità e diversità nei suoi vini potrà godere di solidi e duraturi benefici economici.
Viceversa, inseguire un traballante e inflazionato mercato internazionale si rivelerà fallimentare come, in altri settori, cercare di fare la concorrenza ai Cinesi. Le ricordo che nella zona del Barolo un produttore naturale come Rinaldi vende il Brunate-LeCoste a 30 euro franco cantina. La diversità paga.

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Eretico Enoico commenta:
08/09/2014 ore 18:24

Qualche piccolo sintomo di pericolo, ipertrofismo filo internazionale a scapito delle tipicità vincenti , esiste se consideriamo ( senza polemica ) la DOC Sicilia …

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