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Emilio falcione e il VAN. In che direzione va il vino naturale in Italia: “Si è evidentemente diffusa una pratica per fare dei vini naturali nell’aspetto e non nella sostanza”.

Pubblicato il 21 Febbraio 2020


di Massimiliano Montes Scrivi il primo commento.

Emilio Falcione è uno dei più attivi vignaioli naturali italiani, coordinatore di VAN, Vignaioli Artigiani Naturali, associazione che ha il merito di aver redatto il primo disciplinare del vino naturale in Italia nell’ottobre 2016.

Nel contesto di una serie di interviste ed approfondimenti che mirano a verificare lo stato del vino naturale in Italia, abbiamo fatto alcune domande ad Emilio.

Emilio, come iniziare? Il vino naturale negli ultimi anni ha avuto periodi di fama e crescita economica, con molti nuovi piccoli produttori e addirittura grandi aziende che hanno provato a creare etichette o linee “naturali”. Un successo inaspettato?

Non direi inaspettato. Confuso, vorticoso, con più rivoli. E’ la conferma che non si tratta di una moda, e sempre più è un fenomeno le cui caratteristiche sono determinate dal basso, da chi il vino lo
consuma. Siamo infatti passati da una confusione con i vini biologici, pressoché indistinguibili dai convenzionali, a una più chiara distinzione e riconoscimento del vino naturale. Ormai i vini naturali hanno una loro identità e un loro carattere, nonostante sussista un bel problema: sotto la stessa dicitura troviamo spremute acide di uve immature, imbottigliate pochissimi mesi, in alcuni casi settimane dalla vendemmia, vini corretti e vini con brett e volatili fuori controllo, vini per cui in vigna ed in cantina si sono utilizzati metodi naturali e vini taroccati ottenuti con uve convenzionali e lieviti selezionati, non filtrati per farli sembrare naturali.

Limitare al massimo i trattamenti in vigna e in cantina, insieme all’utilizzo di procedure manuali al posto di quelle meccanizzate, determina un inevitabile incremento dei costi di produzione del vino naturale. Il vino naturale ha dei prezzi medi più alti rispetto agli equivalenti commerciali. Questo intrinseco maggior valore aggiunto potrebbe attirare le intenzioni speculative di produttori o commercianti, diciamo così, “furbetti”?

La percentuale del vino naturale rispetto al resto dei vini, mi dicono sia ora arrivata al 5% del totale, certo è poco, ma è la nicchia con l’incremento in prospettiva più alto. Diverse ricerche di mercato
prevedono nei prossimi anni un aumento delle vendite, anche del 25%, dei vini “ecosostenibili” e tra questi quelli naturali hanno l’incremento più alto. Quindi la capacità di questa nicchia di attrarre aziende che nel convenzionale faticano a vendere è fortissima. Il problema anche qui è che non c’è una fase di passaggio intermedia, un periodo di conversione. Un’azienda che ha la capacità ed i soldi da investire per costruirsi una nuova immagine, può in poche settimane passare dal
convenzionale al naturale! Questo in assenza di una normativa specifica del settore è forse inevitabile; i piccoli vignaioli e le loro associazioni devono però difendere l’artigianalità su piccola scala delle loro produzione ed imparare a comunicarlo come un valore aggiunto.
Come associazione VAN ormai da diversi anni facciamo le analisi ai vini presenti in fiera, ed ultimamente abbiamo trovato dei cambiamenti: se fino a qualche anno fa trovavamo vini con 70 o anche 90 mg/l di SO2 totale, ma con volatili alte, probabili tentativi di vinificazione naturale non riusciti, ora trovi molti vini con valori non compatibili con una fermentazione spontanea, come ad esempio acidità volatile 0,20 g/l, SO2 totale 20 mg/l, acidità totale 7 gr/l, e questo in ogni annata, in ogni territorio,per ogni vitigno!
Si è evidentemente diffusa una pratica per fare dei vini naturali nell’aspetto e non nella sostanza. Si avviano le fermentazioni spontanee e dopo 3 o 4 giorni si aggiungono i lieviti selezionati.
Si possono inoltre aggiungere nutrienti, mannoproteine e scorze di lievito a fine fermentazione. Tutto ciò per avere i sentori di “naturale” degli apiculati ad inizio fermentazione ma assicurarsi profumi e fermentazioni portate a termine dai lieviti selezionati. Se poi non si filtra il vino, il gioco è fatto!

Sin dai tempi della storica “Association des Vins Naturels” francese per vino naturale si intende un vino elaborato da uve a coltivazione biologica o biodinamica, senza alcun additivo enologico eccetto piccole quantità di anidride solforosa all’imbottigliamento. L’Association des Vins Naturels prescrive non più di 30 mg/l per i vini rossi e 40 mg/l per i vini bianchi, mossi o dolci. La tua associazione prevede non più di 40 mg/l di solforosa totale all’imbottigliamento per tutti i vini.
La definizione consolidata è ormai questa, da decenni. Può, a tuo parere, essere ulteriormente migliorata, o finemente modulata?

L’ulteriore riduzione della solforosa totale nelle nostre condizioni e nel nostro clima non è al momento generalizzabile. Ma ci tengo a sottolineare che tutto ciò sottende alla produzione di vini stabili nel tempo. E come si ottengono vini stabili nel tempo? Si ottengono con uve sane ma non meno importante, equilibrate, con fermentazioni spontanee all’aria e regolari. Quindi non si può pensare di avere vini stabili da uve acquistate e processi di vinificazione improvvisati. Alcuni pensano di aver risolto il problema, producendo vini immaturi e molto acidi da bersi in fretta! Bevande a base di uva, il vino è un’altra cosa! Ma non porrei limiti più restrittivi, perché la riduzione della solforosa, scaturisce da un processo di evoluzione del vignaiolo, che richiede
tempo e non è uguale per tutti. Dobbiamo essere inclusivi.

Emilio, se mi trovo davanti una bottiglia di vino non filtrato, quindi lievemente torbido, o macerato, significa che quello che mi accingo a bere è un vino naturale?

Non è detto, anzi! Oggi la frode più in voga è vendere vini convenzionali non filtrati o di proposito addizionati di fecce fini, per spacciarlo come naturale. Una filtrazione sgrossante, in un vino bianco
non toglie nulla e migliora la piacevolezza della degustazione. A questo proposito qualcuno mi dovrebbe spiegare come mai molti scrivono in etichetta “vino non filtrato” dicitura illegale, vietata, e non scrivono i solfiti totali (dicitura ammessa) o la dicitura anch’essa ammessa “senza aggiunta di altre sostanze ammesse per uso enologico” oppure “dall’uva alla bottiglia senza aggiunta di altre sostanze ammesse per uso enologico”?

Già nell’ottobre 2016, grazie al tuo spirito di iniziativa, stavamo studiando insieme la possibilità di verificare direttamente mediante analisi sul vino in bottiglia se questo fosse stato fermentato spontaneamente o inoculato con lieviti selezionati. Ritieni questa strada ancora percorribile?

Molti vignaioli naturali rifiutano la certificazione bio o biodinamica, ed i relativi controlli, altri con un atteggiamento solo in apparenza contrario, si “nascondono dietro la certificazione bio”.
Scelta che può essere condivisibile, ma se vuoi vendere il tuo vino come naturale, dovresti avere il dovere morale di dimostrare in qualche modo a chi lo consuma che il tuo vino è veramente naturale. Lo si può fare riportando in etichetta tutte le informazioni consentite, già citate, ed aderendo a dei controlli, a dei protocolli di analisi, gestiti direttamente dalle associazioni del settore.
Se non si vuole alimentare la macchina burocratica, inefficiente e costosa dei controlli ufficiali affidati agli O.d.C. ci dovremmo impegnare tutti su questo fronte, il Movimento dei vini naturali ne
guadagnerebbe in credibilità. Quindi la risposta è si.

Ci sono a tuo parere dei punti in comune tra la tua e altre associazioni italiane per poter portare avanti un minimo comun denominatore di vino naturale in Italia? Le associazioni, pur rimanendo separate, potrebbero convergere e stimolare un’idea unitaria di vino naturale. Un’idea unitaria di vino naturale pur nel pluralismo della rappresentazione associativa dei vignaioli.

Si ci sono. La definizione di vino naturale è il punto in comune fondamentale. La difficoltà nel realizzare il resto di quanto ipotizzi è data dalla personalità di alcuni leader dei gruppi, dal fatto che le fiere e le distribuzioni ad esse legate fruttano molti soldi, ed infine, anche se non dichiarato, dal rifiuto di voler fare delle serie analisi a tappeto a tutti gli associati. Negli anni passati ci sono stati diversi tentativi di incontro, ma anche tentativi di instaurare rapporti particolari ed esclusivi con il Mipaaf , o riproporre schemi di certificazione obsoleti: tutti elementi che dividono più che unire. La
gran parte dei vignaioli, anche domani lavorerebbe insieme ai colleghi di altre associazioni.

Parlaci dei progetti in cantiere per la tua associazione, VAN.

Il nostro tentativo è quello di dare maggiore autonomia e potere contrattuale ai vignaioli, ma anche fornire delle garanzie a chi consuma i nostri vini. Realizziamo delle fiere in cui gli associati per partecipare pagano solo i costi vivi di realizzazione: nessuno lucra sul loro lavoro. In prospettiva vorremmo far divenire la nostra fiera di Roma un punto di riferimento internazione del vino naturale. Le potenzialità ci sono ci troviamo a solo 15 minuti dall’aeroporto internazionale di Fiumicino. Proseguiremo ed incrementeremo le attività di controllo interno con analisi dei vini e visite aziendali. Organizziamo degustazioni itineranti, di tre vignaioli per volta, nei ristoranti in tutta Italia. Abbiamo in programma anche attività formative, in particolare orientate verso la biodinamica e la microbiologia in cantina. Ma siamo un progetto culturale, sociale e politico: ad ogni edizione della nostra fiera raccogliamo fondi per l’associazione Baobab di sostegno ai migranti e nella prossima edizione ospiteremo anche un gruppo di Resistenza Rurale, agricoltori impegnati nell’ agricoltura rigenerativa e biodinamica e nel recupero di antiche sementi. Perché non bisogna mai dimenticare che il vino è un prodotto agricolo!

 




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